Paolo Uccello, Miracolo dell'ostia profanata

print this page

DATA: 1467-1468

TECNICA: Tempera su tavola

DIMENSIONI: cm 43x351

RESTAURO: 1954.

PROVENIENZA: Chiesa della Confraternita del Corpus Domini di Urbino, poi chiesa di Sant’Agata di Urbino; in seguito Collegio degli Scolopi di Urbino. Nelle collezioni della Galleria Nazionale delle Marche dal 1861.

INVENTARIO: INV. 1990 D 231

DESCRIZIONE: La tavola costituiva la predella della pala per l’altare della chiesa dell’importante confraternita urbinate del Corpus Domini. Inizialmente, nel 1456, fu incaricato Bartolomeo di Giovanni Corradini, detto Fra’ Carnevale, appartenente all’ordine domenicano, che però rinunciò al lavoro. Ad eseguire la commissione fu Paolo Uccello, che, come attestato dai documenti, ricevette compensi tra l’agosto 1467 e l’ottobre 1468. Durante il soggiorno ad Urbino, l’artista portò con sé il figlio Donato, allora sedicenne, che certamente collaborò con il padre, anche se risulta difficile stabilirne la misura. L’opera è stata interpretata come una forte dichiarazione antiebraica ed è stata messa in relazione con l’istituzione ad Urbino, nel 1468, del Monte di Pietà, costituito per volontà della Duchessa Battista Sforza. La predella è suddivisa in sei scene, che raffigurano la storia di un miracolo che ebbe luogo a Parigi nel 1290: nella prima scena una donna vende un’ostia consacrata ad un usuraio ebreo; l’ambientazione è uno spazio chiuso, una sorta di scatola geometricamente costruita, che, tramite una porta, si apre sulla scena successiva. Tutte le altre scene, ripartire da colonne, sono ambientate all’aperto. Questa la sequenza: l’ostia, una volta messa a cuocere, comincia a sanguinare; messa con processione solenne per la riconsacrazione dell’ostia; la donna sacrilega viene impiccata; il rogo dell’ebreo e della sua famiglia; angeli e demoni si contendono l’anima della donna. Nell’ultima scena è possibile notare che le figure dei demoni sono state ripetutamente graffiate, con la volontà precisa di cancellarle per sfregio: testimonianza viva della devozionalità assolutamente coinvolgente che le opere d’arte erano capaci di suscitare nei fedeli. Paolo Uccello, giunto ad una fase matura del suo percorso artistico, utilizza un linguaggio di stampo favolistico e mostra l’eccellenza delle sue ricerche prospettiche.