Il De Vulgari Eloquentia del 1529

Il De vulgari Eloquentia è un’opera di Dante, scritta in latino come riconoscimento dell’importanza dell’argomento che vi si affronta: la lingua letteraria volgare. Questo trattato teorico, insieme all’uso che della lingua viene fatto nelle sue opere, in particolare nella Commedia, fanno di Dante “il padre della lingua italiana”.
Il De vulgari Eloquentia si inseriva nella dibattutissima “questione della lingua”, in cui la posizione dantesca indeboliva la tesi di chi sosteneva che la lingua letteraria d’Italia potesse e dovesse essere il fiorentino. Dante metteva al centro la ricerca di un volgare illustre in grado di assumere i caratteri di lingua letteraria all'interno del variegato panorama linguistico italiano.
Nell’edizione esposta, stampata a Vicenza nel 1529, il trattato compare per la prima volta nella traduzione in volgare curata dal letterato vicentino Giangiorgio Trissino (1478-1550).
La scelta del Trissino di pubblicare il De vulgari eloquentia in traduzione italiana era dovuta alla preoccupazione di rendere l’opera immediatamente accessibile e spendibile sul terreno della discussione in corso.
L’originale latino sarà pubblicato soltanto nel 1577 a Parigi da Jean Corbon, per cura di Jacopo Corbinelli (1535 - post 1588), filologo fiorentino trasferitosi a Parigi, che contribuì alla divulgazione della letteratura italiana in Francia.
L’edizione del Trissino è anche notevole per i particolarissimi caratteri utilizzati dallo stampatore Tolomeo Gianicolo di Brescia, disegnati dal calligrafo vicentino Lodovico degli Arrighi (1475-1527).
L’Arrighi è autore de La operina di Lodovico Vicentino, da imparare di scrivere littera cancellerescha, il primo trattato teorico di calligrafia che sviluppa sistematicamente le regole di esecuzione della “scrittura umanistica” cosiddetta corsiva. Quest’opera ebbe numerose edizioni per tutto il Cinquecento.


D. Alighieri, Dante De la volgare eloquenzia…, (Stampata in Vicenza: per Tolomeo Ianiculo da Bressa, 1529 del mese di Genaro) , in fol. e in-4°.
Piacenza, Biblioteca Comunale Passerini-Landi, Fondo Landi, (L)R.10.054 e Fondo Anguissola, Ang. Cinq.n.223.

Sul frontespizio dell’edizione figura la marca tipografica dello stampatore Tolomeo Gianicolo. Spazi bianchi con lettere guida a stampa si trovano all’inizio dei due libri in cui è suddiviso il trattato dantesco e capoversi sporgenti contrassegnano l'inizio dei capitoli. Sono utilizzate ε ed ω per le vocali e ed o aperte, secondo la proposta ortografica di Gian Giorgio Trissino. L'esemplare è sistematicamente postillato ai margini da mano cinquecentesca, che pare la stessa responsabile della nota di possesso «Alberti Lollij».
La legatura del primo esemplare è in pergamena su cartone. In un cartiglio sul dorso si legge l’iscrizione per autore e titolo impressa in oro. I capitelli sono grezzi e marroni. La nota di possesso personale rinvia al letterato ferrarese Alberto Lollio (1508-1569), i cui interessi e posizioni linguistiche ne spiegano bene l’attenzione per questo volume. Timbri del British Museum indicano che il libro appartenne a quell’istituzione e fu venduto come duplicato nel 1831. Una nota manoscritta rammenta un acquisto che, probabilmente, segnò il passaggio alla Biblioteca del marchese Ferdinando Landi, pervenuta alla Biblioteca Comunale nel 1872.
La legatura del secondo esemplare, assai poco accurata, consiste di piatti di cartoncino, con dorso ricoperto in carta marrone. In alto e in basso sul dorso è riportata una collocazione precedente. La nota di possesso nel margine inferiore non è stata decifrata, perché cancellata. Il volume era tra quelli antichi della raccolta del conte Carlo Anguissola (1888-1961), pervenuta alla Biblioteca Comunale dopo la sua morte.
Vedi il pannello Il De vulgari eloquentia del 1529.