La fede in trincea: sacerdoti e cappellani militari calabresi

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La Grande Guerra fu caratterizzata dalla vita di trincea e vide gli uomini convivere con la presenza costante della morte accompagnata da sentimenti di paura, frustrazione e disperazione. In una tale situazione, a tratti irreale, assume forte significato la presenza della religione, vissuta come fede, speranza o più semplicemente come superstizione.

La storia non parla molto della figura dei cappellani militari, che ebbero un ruolo fondamentale nel sostegno spirituale e morale ai soldati. Questi religiosi entrarono ufficialmente nel panorama di guerra per volere del cattolico Capo di Stato Maggiore Generale Luigi Cadorna, che con una circolare del 12 Aprile 1915 istituì la figura dei cappellani militari prevedendone l’assegnazione di uno per ogni reggimento. I cappellani, provenienti non solo dalla Chiesa Cattolica ma anche da quella Evangelica Valdese, Battista e dalla religione Ebraica, venivano affiancati da giovani sacerdoti inquadrati come soldati che prestavano servizio presso gli ospedali militari.

Furono circa 24.000 gli ecclesiastici militari coinvolti nel conflitto, di essi circa 15.000 erano sacerdoti. Tra questi si ricordano figure illustri quali san Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, che fu chiamato alla armi nel 1915 e si arruolò come sergente nella 3a Compagnia di Sanità. Anche san Pio da Pietralcina, al secolo Francesco Forgione, fu coinvolto in prima persona come religioso nella Grande Guerra, sebbene la sua esperienza in uniforme durò ben poco a causa delle sue precarie condizioni di salute.