LE TESTIMONIANZE

L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.

N.B. La casella di ricerca qui sotto opera soltanto sul titolo della testimonianza (di norma, cognome dell'autore e anno).
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Risultati della ricerca

Muscetta (1992c)

«Segno concreto della stima che Leone [Ginzburg] aveva di me furono le presentazioni a molte persone di spicco. In biblioteca [nazionale di Torino] mi fece conoscere Luigi Salvatorelli e Ferdinando Neri, relatore della sua tesi di laurea su Maupassant e poi collega all’università, dove Leone insegnava letteratura russa, avendo conseguito la libera docenza nel '32.»

(Carlo Muscetta, L'erranza, p. 114)

Muscetta-Pavese (1942)

«Caro Pavese,
t’invio un saggio di traduzione del Tristan [sic] Shandy che uscirà nell’Universale Bompiani. La traduttrice, previa tua approvazione, potrebbe tradurre il Lorenzo Benoni? Nell’Universale verrebbe quattrocento pagine. E sarei incerto. Consultati con Einaudi per la mole. Forse si potrebbe pensare a un tutto Ruffini nei giganti. La stessa signorina ha tradotto un elisabettiano per Vittorini (Pantheon). Conclusione, se non il Ruffini, che cosa si potrebbe affidarle? Il giornale a Stella è stato affidato?
Potrebbe tradurre qualcosa da de Quincey o da Shervood [sic] Anderson? Di tutti e due possiede i testi.
Colgo l’occasione per dirti che se ci sarà bisogno di testi inglesi, non escluso il Gordon Pyne [sic], si può ricorrere agevolmente alla Nazionale di Roma, anche attraverso la Nazionale di Torino. Posso aiutarti anch’io nella “bisogna”!»
(Carlo Muscetta, lettera a Cesare Pavese, Roma 21 ottobre 1942, p. 19).

«Caro Muscetta,
Ricevo il Shandy e studierò il caso. Escluderei comunque il Benoni che mi sembra poco brillante. Il Giornale a Stella è liberissimo da parte nostra.
Certamente la N.N. potrebbe tradurre da De Quincey o da S. Anderson di cui ha i testi, ma quali ha?
Sappi che ho ricevuto il Pym dal Vieusseux e un giorno o l’altro lo studierò.»
(Pavese, lettera a Muscetta, Torino 24 ottobre 1942, p. 20).

Mussolini (1909)

«La mia vita intellettuale è più intensa qui [a Trento] che a Forli. Oltre alla ricchissima Biblioteca Comunale, c'è una magnifica sala di lettura aperta a tutti, dalle nove del mattino alle dieci di sera, e provvista di quaranta giornali e di ottanta riviste fra italiane, tedesche, francesi, inglesi. Qui passo molte delle mie ore libere ed ho la rara soddisfazione di leggere negli originali le più belle produzioni degli artisti stranieri; fra le ultime l'Oiseau blessé di A. Capus. Una società pro coltura del genere di questa tridentina non sarebbe certamente istituibile a Forlì, la città dei mercanti di maiali e di erba medica.»
(Benito Mussolini, lettera a Torquato Nanni, Trento 26 febbraio 1909, in Opera omnia di Benito Mussolini, 2, p. 264).

«Per diventare un «buon monello»› io passo molte ore in Biblioteca, curvo su vecchi libri dalle pagine grige, per diventar un «buon monello» non rifuggo dalla lettura di libri cristiani e anche cattolici, per diventar un «buon monello» accumulo note, appunti, osservazioni, accumulo la breccia scheggiata viva col mio lavoro ostinato, il materiale cioè da cui trarrò i ciottoli per allontanare le bestie rognose a qualunque gradino della scala zoologica. appartengano.»
(Benito Mussolini, Il monello risponde, «L'avvenire del lavoratore», 15 aprile 1909, ivi, p. 75-77: 75. In questo periodo Mussolini utilizzò intensamente la Biblioteca comunale di Trento, in particolare per documentarsi per il suo romanzo storico Claudia Particella l’amante del Cardinale, pubblicato a puntate nel 1910).

«Protesto contro la parola «pregiudicato» che mi viene affibbiata, poiché tutti quelli che mi conoscono sanno che nella mia giovinezza ho frequentato molto le biblioteche, poco le osterie e ancor meno persone equivoche.
Non sono neppure di carattere turbolento, tanto è vero che sono di carattere riservato.»
(Benito Mussolini, Interrogatorio del 17 settembre 1909, ivi, p. 272).

Mussolini (1912)

«Io vivevo dando lezioni d'italiano e scrivendo sui giornali. [...] Lottavo col disagio economico. Passavo le mie ore libere nella Biblioteca universitaria di Ginevra, dove fortificai e accrebbi la mia cultura filosofica e storica.»
(Benito Mussolini, La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911, in Opera omnia di Benito Mussolini, 33, p. 215-269: 254).

«Tornai a Losanna, dove il 9 maggio [1904] m'iscrissi all'Università, nella facoltà di scienze sociali.
[...]
Fu quella un'estate di forte occupazione intellettuale. Divorai, si può dire, una biblioteca intera. Alla mattina mi recavo all'Università, nel pomeriggio studiavo in casa [...].»
(ivi, p. 256-257).

«Sono stato quaranta giorni a Ginevra [marzo-aprile 1904] ed ho partecipato pochissimo alla politica. Quasi tutto il tempo ho frequentato la biblioteca. Ho parlato soltanto per la commemorazione della Comune ed è in questa occasione che ho avuto il piacere di stringervi la mano.»
(Benito Mussolini, lettera a Adrien Wyss, deputato socialista al Grand Conseil di Ginevra, Annemasse [5? maggio 1904], in Opera omnia di Benito Mussolini, 35, p. 204).

Mussolini (1939)

«Questo «ritorno di fiamma» [per Alfredo Oriani] si concretizzò tra l'altro, il 26 giugno 1939, in una visita d'omaggio di Mussolini all'«eremo» del Cardello, alla tomba e alla casa di Oriani. Nella biblioteca dello scrittore Mussolini volle vedere i manoscritti de La lotta politica in Italia e della Rivolta ideale e sottolineò l'importanza di queste due opere. Cfr. «Il popolo d'Italia», 27 giugno 1939. Al Cardello Mussolini era già intervenuto, il 27 aprile 1924, ad una celebrazione di Oriani pronunciandovi un discorso di esaltazione della sua opera e in particolare proprio dei due libri testé ricordati [...], che fu successivamente utilizzata come prefazione all'Opera omnia, curata dallo stesso Mussolini e edita da Cappelli.»

(Renzo De Felice, Mussolini il duce, 2: Lo Stato totalitario, 1936-1940, p. 287-288, nota 76).

Muti (2019)

«Tutto questo per ribadire la fama e gli unanimi riconoscimenti di cui all’epoca Napoli e i musicisti che alla sua scuola si erano formati godevano. E di cui oggi, purtroppo e colpevolmente, non rimane che una sbiadita memoria. Così nel Museo del Conservatorio di San Pietro a Majella è conservata con cura la sedia rossa su cui sedette Wagner nell’aprile del 1880, in estasi all’ascolto del Miserere per due cori di Leonardo Leo, eseguito dagli allievi dell’istituto, ma non si trova il modo di valorizzare, come sarebbe doveroso, il patrimonio di manoscritti, centinaia di tesori della storia della musica che giacciono silenziosi sotto una coltre di polvere e di oblio nella ricchissima biblioteca dello stesso istituto.
Una biblioteca che frequentavo spesso, quando studiavo in quel Conservatorio, e la cui ricchezza mi affascinava e turbava al tempo stesso, proprio perché coglievo quanto fosse ingiustamente trascurata.»

(Riccardo Muti, L'infinito tra le note).

Nalli (1940)

«Un po' più in là, prima timidamente, poi con sfacciataggine, misi piede nelle Biblioteche, e dovetti lottare a lungo con gli uscìeri, che non volevano farmi entrare perchè non avevo i diciotto anni prescritti dal regolamento. [...]
Fu forse per attenuare questo dispiacere che il destino mi condusse nelle Biblioteche: e da allora, purtroppo, non ho trovato più un usciere che mi abbia vietato l'ingresso: tutti mi salutano anzi, con molto rispetto e troppa gente mi viene a cercare. Bisogna che vada all'Ambrosiana, o che entri nella biblioteca pubblica di un'altra città, dove nessuno mi conosce, per avere l'illusione di essere un lettore qualunque.»

(Paolo Nalli, Bibliofilia di un bibliotecario, «Meridiano di Roma», 5, n. 18 (5 maggio XVIII [1940]) p. VIII. I suoi ricordi di gioventù si riferiscono a Palermo).

Negro (1945)

«Uno degli ambienti più pittoreschi che servirono di rifugio ai ricercati fu il tetto della chiesa della Minerva tenuta dai domenicani. E' l'unica chiesa gotica di Roma, questo vuol dire che, visto di sotto alle capriate coperte di una polvere secolare, il tetto è tutto un acrocoro di montagnole in miniatura. Tra le strida vicinissime delle rondini vi si respira un'aria magica e rarefatta; dalle vaste aperture senza impannate si guarda su una distesa di tetti che non ha soluzione di continuità [...]. In un certo periodo stettero sul tetto della Minerva anche sessanta persone suddivisesi naturalmente in vari accantonamenti: ricercati politici, militari italiani, prigionieri inglesi fuggiti dal campo di concentramento, ebrei, austriaci e tedeschi che non volevano servire Hitler. C'era una radio ricevente, una scuola di lingue, una rudimentale biblioteca circolante, e perfino un'orchestrina. I gruppi scaglionati nei vari angoli organizzavano visite, té, trattenimenti. Dal più giocondo buon'umore, ci ha raccontato uno dei rifugiati, si passava ad ore d'inquietudine e di angoscia spaventose; la lotta con il freddo era estenuante e per resistere essi andavano a turno a passare un'ora in una delle tepide stanze del convento.»

(Silvio Negro, Ebrei in clausura: a Roma, al tempo dei nazisti, vivevano nascosti sotto le cupole delle chiese; e qualcuno finanche nelle tombe, «Corriere d'informazione», 27 luglio 1945, p. 2).

Nessi (1920)

«Se entrate nella R. Biblioteca di Brera – pigliando una scheda, un libro e un raffreddore (per il latitante riscaldamento provveduto dallo Stato) – e scartabellate, ad esempio, la pomposa storia di Francesco Cusani, troverete a carte 126 – o giù di lì – quale sia veramente l'etimologia del nome teppisti. Ecco: «dal luogo di uno dei loro notturni convegni nello spalto al lato sinistro del Castello coperto da una specie di erba crittogama muscosa chiamata in dialetto milanese «teppa»; questa è la spiegazione più plausibile dello strano nome. [...]
[...] Se voi aveste preso una scheda, un libro e un raffreddore alla R. Biblioteca di Brera, avreste – non dopo molte carte – letto eziandio (sempre nel Cusani) che la Teppa non era se non «lo sfogo di agitazione di infime classi dopo i grandi rivolgimenti sociali». Capite? un movimento politico [...]».

(Angelo Nessi, Il centenario della Teppa, «Il mondo: rivista settimanale illustrata per tutti», 6, n. 3 (18 gen. 1920), p. 6-7: 6. L'articolo deve riferirsi a uno dei volumi della Storia di Milano dall'origine ai nostri giorni e cenni storico-statistici sulle città e province lombarde di Francesco Cusani (1802-1879), pubblicata in 8 volumi a Milano dal 1861 al 1884).

Nicoletto (1930)

«Io sto benone: di giorno in giorno mi ambiento sempre piú al luogo e mi abituo alla nuova esistenza: quando sono stanco di star qui in camerone o dormitorio come vuoi chiamarlo, vado un po’ giù a Lipari a passeggio [...]; stanco di passeggiare mi riduco o in biblioteca oppure in riva al mare. E qui resto molto tempo canticchiando Madame Butterfly:
Un bel dì vedremo
levarsi un fil di fumo
là in su l’estremo
confin del mar...
e aspettando anch’io di veder levarsi il fil di fumo del piroscafo che dovrà portarti qui.»
(Italo Nicoletto, lettera al padre dal confino politico di Lipari, 19 luglio 1930, p. 56. Arrestato nel 1927 per attività sovversiva e condannato nel 1928 a tre anni di reclusione, Nicoletto scontò la pena presso il carcere di Viterbo, dove si legò al collettivo dei detenuti comunisti partecipando attivamente a varie agitazioni; scontata la pena fu considerato elemento politicamente pericoloso, quindi condannato a due anni di confino e destinato alla colonia di Lipari; qui, tra il 1930 e il 1931 fu incaricato di dirigere la biblioteca, e in qualità di direttore scrisse a Benedetto Croce chiedendogli l’invio de «La critica»).

«Ti hanno detto, quando sei andato a informarti in Questura che finora la mia condotta è buona. Lo credo bene io! E non potrebbe essere altrimenti. E ti dico subito il perché.
Alla mattina esco verso le nove per andare a prendere la mazzetta.
Vado in biblioteca dove resto un paio d’ore e ritorno a casa. A mezzogiorno vado alla mensa a mangiare e finito ritorno a casa, da dove non esco che alle sei di sera per andare di nuovo alla mensa. Dopo cena un’ora o due di passeggio sul corso principale di Lipari. Alle otto immancabilmente sono a casa; e di là fino alla mattina seguente alle nove non esco.
Come vedi tutto il mio tempo lo trascorro a casa o in biblioteca (qui esiste una discreta biblioteca dei confinati politici). Bere non bevo, a nessuno do fastidio o disturbo, m’interesso dei fatti miei e lascio gli altri sbrigarsi i loro.
Di più non so fare e non faccio.»
(lettera al padre dal confino politico di Lipari, 25 settembre 1930, p. 62).

«mai come nei giorni passati sono stato in una continua (non dico spaventosa perché sarebbe troppo) tensione nervosa che mi impediva di eseguire anche i miei più elementari doveri del giorno (come la contabilità della biblioteca, lettura dei giornali, rispondere alle lettere ricevute, ecc.). Ho trascorse alcune giornate che posso chiamare veramente nere.»

(lettera alla madre dal confino politico di Lipari, 28 dicembre 1930, p. 68).

Nicoletto (1981)

«Per la loro stessa natura, le mense, gli spacci, le biblioteche erano utili strumenti per tenere strettamente uniti i confinati; dimostravano la loro capacità organizzativa e la loro forza politica; rappresentavano in definitiva, la vitalità dell'antifascismo e dei partiti antifascisti. A Lipari nel 1930-31, ero stato per un anno direttore della biblioteca dei confinati e mi ero fatto una larga esperienza degli scontri inevitabili con la direzione della colonia nella difesa dei nostri diritti.»
(Italo Nicoletto, Anni della mia vita, 1909-1945, p. 108-109).

Nitti (1961)

«La nostra vita era regolata da norme precise e sottoposta al controllo continuo della polizia. La posta era passata al vaglio della censura, sia all'arrivo che alla partenza, e così ogni pacco o altro invio da parte di nostri familiari. Avevamo ottenuto il permesso di costituire una piccola biblioteca, ma con quale pavido spirito si censuravano i libri! Ricordo che molte opere erano sequestrate all'arrivo perché ritenute «pericolose» o avverse al regime fascista: Bernard Shaw perché era inglese, Carlyle perché filosofo e storico liberale (la sua poetica Rivoluzione francese fu considerata diabolica); gli scrittori francesi moderni esclusi perché ritenuti anticonformisti. Qualche volta potemmo giocare sulla crassa ignoranza dei sorveglianti, riuscendo ad avere libri che il fascismo avrebbe dovuto considerare ben più esplosivi! Organizzammo anche, con il permesso del direttore della colonia, una scuola: si davano e si ricevevano lezioni di storia, letteratura italiana, matematica e lingue straniere. Dopo alcuni mesi la scuola fu chiusa dalla direzione per timore che le lezioni servissero soltanto a riunioni di carattere «cospiratorio».»
(Fausto Nitti, La fuga da Lipari, in Trent'anni di storia italiana, p. 199-200). Nitti fu arrestato il 2 dicembre 1926 e giunse a Lipari nel marzo del 1927, riuscendo a evadere il 27 luglio 1929 assieme a Carlo Rosselli e Emilio Lussu a bordo di un motoscafo guidato da Italo Oxilia e proveniente dalla Tunisia. Sull'episodio Nitti ha rilasciato una testimonianza orale, poi pubblicata nel volume einaudiano, con lievi differenze: «La nostra vita era quella dei prigionieri ai quali si vietava tutto ciò che era sospetto. E per i fascisti, per il regime fascista, tutto era sospetto. Avevamo avuto, dopo molte insistenze, il permesso di organizzare una biblioteca, ma avremmo dovuto certamente segnare, annotare, per non dimenticarle, le atroci buffonate alle quali dovevamo assistere quando arrivavano dei pacchi di libri. Ogni libro era sospetto. Sospetto Bernard Shaw perché era inglese, dicevano. Sospetto l'altro inglese, Carlyle, che aveva scritto una Rivoluzione francese poetica e nient'affatto pericolosa. Pericolosi in gran parte gli autori francesi. Pericoloso tutto. Comunque noi riuscivamo, giuocando sull'ignoranza dei nostri sorveglianti, a organizzare almeno un piccolo scaffale di libri interessanti.». La registrazione, assieme all'intero ciclo di lezioni e testimonianze tenutesi a Torino presso il Teatro Alfieri tra l'aprile e il giugno 1960 e poi confluite in volume, sono disponibili all'indirizzo <http://www.metarchivi.it/dett_FONDI.asp?id=359&tipo=FONDI>.

Onoranze a Pasquale Villari (1907)

«A Firenze, nella Biblioteca Laurenziana e all'Istituto di Studi Superiori, Pasquale Villari ha ricevuto solenni e affettuose dimostrazioni da autorità, da colleghi e da antichi allievi, mentre s'inaugurava la mostra pei codici ashburnamiani da lui assicurati all'Italia e si scopriva una lapide a ricordare il fatto.
Parlò primo Guido Biagi e ci duole non poter riportare tutto l'elevato discorso. Ne riferiamo l'esordio:
«Cinquantasette anni fa, il 14 febbraio 1850, nell'Albo dei visitatori che ci ha conservato le firme di Vittorio Alfieri, di Volfango Goethe, di Alessandro Volta, di Alessandro Manzoni e di quanti altri illustri dalla metà del settecento ad oggi son venuti a studiare o ad ammirare i tesori laurenziani, un giovane ventitreenne scriveva con mano ferma e sicura.
Pasquale Villari, venni a studiare sul Savonarola.
Quella stessa mano con immutato carattere segnerà oggi nei fasti della Biblioteca un'altra data: questa della celebrazione dell'ottantesimo anniversario d'una vita tutta volta agli studi e al risorgimento morale della patria.»

(Le onoranze a Pasquale Villari, «Nuova antologia di lettere, scienze ed arti», fasc. 862 (16 nov. 1907), p. 322-324: 322).

Orioli (1944)

«Nell'impossibilità di sobbarcarsi più oltre la spesa di mandarmi a scuola, mio padre mi mise nella bottega di un barbiere all'età di dodici anni. Avevo ben poco da fare, tranne il sabato e la domenica. [...]
In questo periodo cominciai a ricuperare il tempo perduto in fatto di cognizioni generali. Mi occupai di geografia, poiché non avevo imparato niente a scuola, e presi a leggere libri. Il primo che mi capitò fra le mani fu un romanzo di Paolo de Kock – di cui non ricordo il titolo – che parlava di una prostituta.
Mia sorella tentò di farmi leggere I Miserabili in una versione italiana, ma il libro non mi piacque, come non mi piace neppure ora. D'altra parte uno studente in medicina di nome Sandrino, che si trovava a casa in vacanza, mi prestò Nanà di Zola, e altri tre o quattro romanzi dello stesso autore. Nanà era il mio libro preferito. Poi il bibliotecario della nostra piccola biblioteca circolante, il maestro [Vincenzo] Ballardini (che era il migliore dei nostri insegnanti scolastici e col quale sono ancora in corrispondenza), mi prestò alcuni libri di Flammarion, di Giulio Verne e di Dumas.
Non so perché, non mi piacevano le opere nostre come I Promessi sposi, Marco Visconti ed Ettore Fieramosca. Mi annoiavano e quindi continuavo ad attingere dalle versioni italiane della letteratura francese, appassionandomi alle opere di Montépin, Eugenio Sue e di altri autori di romanzi d'appendice. Solo durante il servizio militare, e non prima, cominciai a studiare i grandi autori italiani come Dante e Ariosto, nonché le traduzioni dei classici greci e latini.».

(Giuseppe Orioli, Le avventure di un libraio, Milano, Il Polifilo, 1988, p. 19-20. Il libro uscì in inglese a Firenze nel 1937, col titolo Adventures of a bookseller, e dopo la morte dell'autore fu pubblicato in italiano, a Milano, da Modernissima, nel 1944).

Palazzeschi (1960)

«Non ho mai letto molto né con metodo, e la mia ispirazione letteraria venne suscitata sempre dall'osservazione diretta della vita e dalla mia naturale fantasia. La mia vera maestra fu la strada. Rare volte sono andato in biblioteca riportandone sempre un senso di oppressione e di malinconia. Ciò nonostante, oltre alla letteratura del mio Paese, ho amato molto i narratori russi dell'Ottocento e i narratori e poeti francesi dell'Ottocento medesimo.»

(Aldo Palazzeschi, testimonianza per Ritratti su misura, p. 314).