LE TESTIMONIANZE

L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.

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Risultati della ricerca

Pascoli (1898-1900)

«Carissimo signor Briganti, mi faccia il favore – poiché è tanto buono – di dire al cav. [Eugenio] Boselli – che saluterà tanto – che mi faccia venire da qualche altra biblioteca un'edizione (credo, Gautier) della Chanson de Roland, e sopra tutto Canti Greci e Illirici del Tommaseo, e la Légende des Siècles di Victor Hugo. Ella mi raccolga, di grazia, sollecitamente qualche bel fiore esotico o semplicemente straniero – inglese, francese, tedesco – da tradursi o tradotto.
Mi aiuti! Dica tante care cose a Manara [Valgimigli]. Presto può darsi che mandi bozze da collazionare con buone edizioni – di Machiavelli e Varchi.
Riverisca il cav. Boselli [...].
Ci sono costì le opere (quali?) di G. Barzellotti? Specialmente il David Lazzaretti.»
(Giovanni Pascoli, cartolina a Gabriele Briganti, [Barga 19 agosto 1898], in Lettere agli amici lucchesi, p. 341-342. L'edizione comprende solo una scelta delle lettere a Briganti conservate).

«Dí qualche cosa a Gabriele, e avvisalo che avrò molto bisogno della biblioteca e di lui.»
(Pascoli, cartolina a Alfredo Caselli, [Messina 25 giugno 1900], in Lettere ad Alfredo Caselli (1898-1910), edizione integrale a cura di Felice Del Beccaro, [Milano], Mondadori, 1968, p. 50. Il volume delle Lettere agli amici lucchesi ne comprende solo una scelta).

«Mio caro Gabrielino, grazie del Chiarini. Grazie dei libri promessi. La morte d'Artù ce l'ho già e nella rid. e nella trad. del Teza. Vorrei qualcuna di quelle poesie uso Siamo sette di Wordsworth, che ho tradotta tralasciando l'insulsa prima strofa. Qualche cosa di Longfellow. Coraggio. Mi aiuti. E mi prepari, con l'aiuto del carissimo Antonio [Valgimigli] e del cav. Boselli, che speriamo di salutar presto comm., Plutarco nel testo Didotiano e nella trad. dell'Adriani; e il passo del Cavallotti delle due navi dei Mille perdutesi di vista, e la vita di Garibaldi del Guerzoni, e qualche cosetta d'agricolo o no, ma toscano. Io sono innamorato del Nieri. È de' primi. È superiore e di molto al Fucini. La sua madre che scrive al soldato è immensa. È già presa. Mi perdonerà, il Nieri, e mi darà querela per appropriazione indebita, ma dopo! Intanto lasci fare. Mi aiuti, dolce Gabrielino. E faccia presto a decidersi con Alfredo a fare la scampagnata e portarmi i libri – in quella valigetta nera che non so chi l'abbia –.»
(Pascoli, lettera a Briganti, Castelvecchio di Barga 18 luglio 1900, in Lettere agli amici lucchesi, p. 344-346. Di Giuseppe Chiarini aveva chiesto, in una lettera precedente, Le terze «Odi barbare» di Giosue Carducci, uscito nella «Nuova Antologia» del 1° novembre 1889).

«Dí al caro Gabriellino che mi mandi lo Zanella e l'Aleardi e L'agonia di Roma di N. Tamassia e i canti del Nieri.»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Barga 24 luglio 1900], in Lettere ad Alfredo Caselli, p. 56. L'ultimo riferimento è probabilmente a Idelfonso Nieri, Vita infantile e puerile lucchese, Lucca, Giusti, 1898).

«Carissimo Alfredo, non ho ricevuto il Tamassia. Lo consegnasti a un barrocciaio di Barga? Male! [...] Aspetto a gloria anche il Nansen. Ti scriverò poi a lungo, sí a te e sí al Betti [Adolfo] e sí a Gabriele. [...] Voglia Dio (non quello di Barga!) che oggi riceva il Nansen!»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Barga 8 agosto 1900], ivi, p. 58).

«Mio carissimo Alfredo, del Tamassia non si sa nulla. Ho fatto fare una piccola inchiesta a Barga: nulla. Al Ponte di Campia non fu davvero consegnato. Come è? Cerca di ritrovare l'infido e porco barrocciaio. Il Nansen? Oh!...»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Barga 10 agosto 1900], ivi, p. 59).

«Mio carissimo Alfredo, ho chiesto il Nansen a Roma. Ne ho bisogno per un poemetto riguardante la morte del re, da stampare sulla Tribuna. Non te ne occupar piú. Il Tamassia lo ebbi da Celestino [Conti barrocciaio] che è un galantuomo. Non ti affliggere. Io non ebbi impazienze, ma timore.»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Bagni di Lucca 12 agosto 1900], ivi, p. 60).

«Non so se t'abbia scritto che ho avuto il Nansen e che m'è tutt'altro che superfluo, perché da Roma non me l'hanno mandato. Speriamo di fare qualcosa di degno. E grazie. Uno di questi giorni rimando tutta la biblioteca.»
(Pascoli, lettera a Caselli, Castelvecchio 17 agosto 1900, ivi, p. 61-62).

«Presto spedisco i libri a te, che li darai poi a Gabrielino.
Va bene? Scusa il tuo povero amico pieno di brighe e molto desideroso, e molto invano, di pace e di sonno.»
(Pascoli, lettera a Caselli, Castelvecchio 11 settembre 1900, ivi, p. 69).

«Dí al caro Gabrielino che sto incassando i libri del Boselli.
Digli che gli scriverò.»
(Pascoli, lettera a Caselli, Castelvecchio di Barga [27 settembre 1900], ivi, p. 74).

«Saluta Gabrielino al quale oggi o domani mando il Guerzoni e l'opuscolo.»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Barga 13 ottobre 1900], ivi, p. 76).

«Caro Alfredo, ti mando i libri che vorrai consegnare a Gabrielino. Manca l'opuscolo di Nino Tamassia che manderò domani per posta.
[...]
Digli che riscontri, a Gabrielino.»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Castelvecchio ottobre 1900], ivi, p. 77).

Pascoli (1901)

«Senti: ho bisogno immediato della lettera che è stata stampata dal Corriere (mi pare), della moglie di Tolstoi. Avrei bisogno di qualche romanzo del Tolstoi o, in genere, di qualche particolare sulla sua scomunica... Mi frulla in testa un grand'inno...
(Giovanni Pascoli, lettera a Alfredo Caselli, Castelvecchio 26 marzo 1901, in Lettere ad Alfredo Caselli (1898-1910), edizione integrale a cura di Felice Del Beccaro, [Milano], Mondadori, 1968, p. 108. Il volume delle Lettere agli amici lucchesi ne comprende solo una scelta).

«Oggi spero di mettermi alla mia poesia russa. Perché non mi hai mandato il II di Resurrezione? E ti ringrazio.»
(Pascoli, lettera a Caselli, Castelvecchio 3 aprile 1901, ivi, p. 110).

«Caro Gabriele, mi procuri degli altri pezzi, cioè procurami lettere, traduzioni, di tutto un po' o un bel po'. Consegna i mmss. ad Alfredo [Caselli]. Aiutami, giovane saggio. [...] I miei ossequi al cav. Boselli.»
(Pascoli, cartolina a Gabriele Briganti, [Barga 3 aprile 1901], in Lettere agli amici lucchesi, p. 348. L'edizione comprende solo una scelta delle lettere a Briganti conservate).

«Credo d'aver messa la mano su un soggetto che chi lo musicherà, farà correr brividi d'entusiasmo doloroso per l'Italia. Mi ci metterò al mio ritorno; avrò bisogno anche di te, per giornali e libri. [...]
Ringrazia Gabriele al quale scriverò.»
(Pascoli, lettera a Caselli, Messina Calendimaggio 1901, in Lettere ad Alfredo Caselli, p. 120).

«A proposito, ti scrivo per dirti che il 2 Giugno, pregato, seccato, ripregato, riseccato farò al Teatro qui a Messina una commemorazione di Garibaldi. E forse dentro il mese di Giugno metterò fuori un piccolo poema garibaldino, se non altro per rivendicare a me il mio. [...] Avrei bisogno che tu, senza dire che è per me, cercassi costí, in biblioteca, da librai o che so io, qualche cosa di particolare sulla fuga di Garibaldi e sulla pineta di Ravenna, che ho veduta ma di cui ho bisogno per anche rinfresco di memoria; e ho fretta.»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Messina 18 maggio 1901], ivi, p. 121).

«Della biblioteca di Lucca avrò grande bisogno. Gabriele mi sia propizio!»
(Pascoli, lettera a Caselli, Messina 24 giugno 1901, ivi, p. 128).

«Avrei bisogno di libri, anche voluminosi, della Bibl. di Lucca; ma come si fa? Già tu m'imbarazzi non lasciandomi pagare: cosí non m'arrischio piú.
[...]
In questo momento arrivano tre volumi, il Ricci e due Guerzoni. Grazie! Ma e l'incomodo? e la spesa?»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Castelvecchio] 16 [luglio 1901], ivi, p. 136).

«Ho bisogno urgentissimo di "Virgilio nel Medio Evo di Domenico Comparetti". Fa di portarmelo. Dillo a Gabriele. Cosí digli che mi cerchi qualche cosa sulle interpretazioni mistiche dell'Eneide, Fulgenzio etc.»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Barga 29 agosto 1901], ivi, p. 157).

«Ho ricevuto l'Alunno, che subito mi è utile per certe cose astrologiche dantesche. Lo cito subito.»
(Pascoli, lettera a Caselli, Castelvecchio 19 settembre 1901, ivi, p. 166).

Pascoli (1902-1903)

«Io avrò bisogno, nelle prossime vacanze autunnali, di molto aiuto suo per i miei studi. Ora vorrei la Notte di Dante (cosí mi pare intitolata) del Marchetti, che m'inebbriò nella mia giovinezza urbinate e che mi occorre ora per un poemetto. La troverà in Antologie vecchie, se non nelle opere del Marchetti. Volevo metterla nel Limitare, ma me ne dimenticai.»
(Giovanni Pascoli, lettera a Gabriele Briganti, [Barga] 1° aprile 1902, in Lettere agli amici lucchesi, p. 349. L'edizione comprende solo una scelta delle lettere a Briganti conservate).

«Caro Gabriele, sto per tornare a darle noia. E comincio subito. Avrò bisogno subito delle seguenti opere:
  Evangelia apocrypha per Tischendorf. Lipsia 1853.
  Fabricius – Codices apocryphi Novi Testamenti.
  Birch – Auctarium.
  Mansi. Miscellanea del Baluzo, Lucca, 1764.
Sono, almeno alcuni, nella sua biblioteca. Se non c'è il primo, vorrei che il cav. uff. Boselli (che saluterà) me lo facesse intanto venire; in modo che il 27 prossimo potessi farci alcuni brevi riscontri e studi su.
[...]
Mi saluti caramente il signor Antonio [Valgimigli], che apporrà, nel caso, la firma per me.»
(Pascoli, lettera a Briganti, Messina 22 giugno 1902, ivi, p. 350).

«Tra l'altro ho bisogno di disegni, costumi, didascalie per un libretto che ho compiuto; e mi ci vuol la biblioteca e... Alfredo Caselli».
(Pascoli, lettera a Alfredo Caselli, Castelvecchio di Barga 1° agosto 1902, in Lettere ad Alfredo Caselli (1898-1910), edizione integrale a cura di Felice Del Beccaro, [Milano], Mondadori, 1968, p. 366-367. Il volume delle Lettere agli amici lucchesi ne comprende solo una scelta).

«E se vengo [a Lucca], vengo in un giorno di lavoro, non di festa, perché devo prender molti appunti e molte misure in biblioteca. E Gabriele? Anche di lui aspetto notizie a gloria!»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Castelvecchio di Barga 12 agosto 1902], ivi, p. 373).

«Per venire, ho bisogno di sapere che Gabriele non è impedito da ragioni familiari di venire in biblioteca ed assistermi e fare qualche ricerca per me. [...]
Io, vedi, per venir da te, ho bisogno d'aver finiti certi lavori e d'aver certe notizie, come quella di Gabriele.»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Castelvecchio] 13 agosto 1902, ivi, p. 374).

«E dí a Gabriele che ho bisogno urgente dei comenti danteschi di Piero e di Jacopo di Dante, e del Boccaccio.»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Castelvecchio di Barga 15 novembre 1902], ivi, p. 417).

«Non è mica il comm. quell'edizione di Gabriele! Pur glie ne sono gratissimo; perché è bello e utile libro.»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Barga 26 novembre 1902], ivi, p. 421).

«Dí a Gabriele, dei libri plautini.»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Lucca 4 gennaio 1903], ivi, p. 441).

«Caro Gabrielino, tante cose a Giovannino che dica al suo babbino, che all'altro Giovannino bisogna un libriccino (Studi sulla letteratura latina arcaica di Enrico Cocchia, Napoli, Pierro) subito subito subito.
Tanto che sarebbe bene me lo facesse comprar sull'istante a mie spese. Così se trova – qualche altra cosa di Plautino, lo mandi a Giovannino».
(Pascoli, cartolina a Briganti, [Castelvecchio di Barga 12 gennaio 1903], in Lettere agli amici lucchesi, p. 352).

«Caro Gabriele, dica a Dantino Gabrielino Giovannino che dica al suo babbo:
«Grazie di tante piante che quasi tutte hanno tenuto [...].
Ora quel Giovanni a cui mandasti tanta bella roba ha bisogno urgente parte per la sua prolusione parte per certi suoi lavori poetici, delle seguenti notizie e opere,
1. Vorrebbe la vita di Paolo Uccello nel Vasari, o qualche opera che ne trattasse di proposito. Specialmente vorrebbe sapere i nomi degli uccelli quali esso li chiamava a' suoi tempi. Si può?
2. Vorrebbe l'opera di Carlo Pascal intitolata: Fatti e leggende di Roma antica. Firenze, Le Monnier 1903.
E quel Giovanni protesta che di qui a poco passando per Lucca pagherà e questo e altri suoi debiti librari. [...]».»
(Pascoli, lettera a Briganti, [Castelvecchio] 14 aprile 1903, ivi, p. 353-354).

«Parlane a Gabriele, dal quale aspetto a gloria due libri ultranecessari.»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Castelvecchio di Barga] 18 aprile 1903, in Lettere ad Alfredo Caselli, p. 483).

«Sono in pensiero per la mancanza di notizie di Gabriele Briganti dal quale aspetto due libri a me ora ultra necessari, e il quale mi ha scritto d'essere stato malato. Come sta ora?»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Castelvecchio di Barga 30 aprile 1903], ivi, p. 488).

«Caro Alfredo, se vedi Gabriele digli che il Vasari l'ho avuto d'altra parte e non mi bisogna piú. Ma il resto?»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Barga 4 maggio 1903], ivi, p. 490).

«Avrò bisogno di libri. Avvisa intanto Gabriele II.»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Castelvecchio] 12 settembre 1903, ivi, p. 521).

«Da Gabriele ho bisogno dei frammenti di Empedocle (ci deve essere un volume di Didot che li comprende tra altri o filosofi o poeti) e d'altro.»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Castelvecchio di Barga 14 ottobre 1903], ivi, p. 532).

Pascoli (1905-1909)

«Ti aspetto. Gabriele Briganti ha due libri (in tre volumi) da consegnarti per me. Fa dunque presto.»
(Giovanni Pascoli, cartolina a Alfredo Caselli, [Castelvecchio di Barga 5 marzo 1905], in Lettere ad Alfredo Caselli (1898-1910), edizione integrale a cura di Felice Del Beccaro, [Milano], Mondadori, 1968, p. 688. Il volume delle Lettere agli amici lucchesi ne comprende solo una scelta).

«Dire a Gabriele, se in questi giorni è aperta la biblioteca e quando si chiuderà.
Dirgli, che mi provveda, intanto, se non proprio i libri almeno cataloghi e indicazioni di libri di Folklore; novelline, superstizioni, costumi popolari etc.: specialmente stranieri
(Pascoli, biglietto a Caselli, [Castelvecchio luglio/agosto 1905?], ivi, p. 725).

«Domani, lunedí, poco dopo mezzogiorno, passeremo da Lucca, diretti a Pistoia Bologna. Avremo con noi certi libroni (quelli della Bibl. di Brera li abbiamo spediti per p.p. al comm. Fumagalli) degli italiani all'estero [...]».
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Barga 5 novembre 1905], ivi, p. 717).

«Passa l'acclusa nota a Gabrielino, e fa che risponda subito subito. Io qua non ho carte né giornali per riscontro.»
(Pascoli, lettera a Caselli, Bologna 24 febbraio 1906, ivi, p. 734. La nota è quella trascritta di seguito).

«Mio buon Gabriele, ho bisogno che ella mi trovi subito le date dei seguenti fatti:
Quando (giorno, mese, anno) il principe Giorgio si diresse con la flotta ellenica verso Creta?
Quando (giorno, mese, anno) morì a Domokós Antonio Fratti?
Quando (giorno, mese, anno) morì Manlio Garibaldi?
Quando finì la guerra di Cuba, e furono riportate le ceneri di Colombo?
Quando fu ucciso re Umberto? In che numero del Marzocco fu stampato il mio inno?
Può trascrivermi il preambolo in prosa che c'era stampato [il seguito della frase è cancellato].
Quando il ritorno della spedizione artica di Luigi di Savoia?
Quando fu inaugurato in Messina il monumento alle batterie siciliane?
[...]
Se qualche data non può essere da lei completata, la mandi come può, ma subito.
Mi trovi nella Minerva settimanale del Garlanda la nota che misi alla poesia – A Ciapin – e me la trascriva.»
(Pascoli, lettera a Gabriele Briganti, [Bologna 24 febbraio 1906], in Lettere agli amici lucchesi, p. 356-357. L'edizione comprende solo una scelta delle lettere a Briganti conservate).

«Ho scritto a Gabrielino. Farà?»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Castelvecchio] 22 marzo 1907, in Lettere ad Alfredo Caselli, p. 763. Pascoli aveva chiesto a Briganti, con una lettera del 20 marzo non inclusa nel volume di Lettere agli amici lucchesi, pubblicazioni sulla Versilia per preparare la commemorazione di Carducci).

«Mio caro buon Gabriele, io avrò bisogno martedì dopo Pasqua a Lucca, dove sarò di passaggio, di qualche libro. Sarebbe bene tenerli pronti sin d'ora, specialmente se la biblioteca sarà chiusa quel giorno. Avrò bisogno di elementi storici e coloritivi della battaglia di Legnano e in generale del carroccio e più in generale di istituzioni militari e politiche, imperiali e comunali.
Avrò bisogno di monografie e biografie storiche del nostro risorgimento... Ma forse di queste farò a meno.
Avrò bisogno di Sofocle. Il mio l'ho a Bologna.
Avrò bisogno sopra tutto di Gabriele il buono, di Gabriele il savio, di Gabriele il bravo, di Gabriele padre di Giovannino. Ai quali mando ringraziamenti e saluti.»
(Pascoli, lettera a Briganti, Barga 27 marzo 1907, in Lettere agli amici lucchesi, p. 359).

«Caro Alfredo, partiamo domani mercoldí 3, e passeremo da Lucca verso il tocco pomeridiano. Porteremo i libri di Gabrielino. [...] Avvisa il gentile Brigantino. Vorrei parlargli.»
(Pascoli, cartolina a Caselli, [Bologna 2 luglio 1907], in Lettere ad Alfredo Caselli, p. 767).

«Nel caso, dunque, probabile che quest'altro anno io non sia piú professore a Bologna, in te, oso credere, l'entusiasmo per Bologna diminuirebbe... L'essere poi invece, per buona parte dell'anno, a Castelvecchio, e di quando in quando qualche settimana a Lucca per studi in biblioteca, [...] ti farebbe, sin d'ora, apparire piú bella la libreria a Lucca con succ. a Massa, o viceversa...»
(Pascoli, lettera a Caselli, [Bologna 11 marzo 1909], ivi, p. 824).

Pasolini (1941)

«Sono, ora, preso nel vortice di una nuova occupazione, l'esercitazione d'italiano: le Rime del Tasso dopo S. Anna: la bibliografia è immensa, sono ormai in totale quattro ore di lavoro in biblioteca, solo per annotare e guardare che libri vi siano intorno a questo argomento.  È questo il classico lavoro universitario, fatto per puro senso di retorica e di erudizione, da cui aborro e che stroncherò, con atto di coraggio, sul viso stesso al prof. Calcaterra, quando pronuncerò la mia relazione. Cosa può importare a me, che idolatro Cézanne, che sento forte Ungaretti, che coltivo Freud, di quelle migliaia di versi ingialliti ed afoni di un Tasso minore?»

(Pier Paolo Pasolini, lettera a Franco Farolfi, [Bologna inverno 1941], vol. 1, p. 28)

Pasolini (1952)

«Caro Nico,
molto bene per l'inchiesta: uscirà nel primo numero. Per la tua tesi: le letterature dialettali che hanno origine nel '300 sono la friulana, la genovese, l'umbra, la siciliana, la veneziana. Ma nel '300 c'è tutta una poesia «macheronica» interessantissima. Per avere un’idea delle dialettali va in biblioteca e dà un'occhiata alla Treccani; per la «macheronica» leggi sul numero di aprile del 1951 lo studio di Contini Preliminari sulla lingua del Petrarca (che è meraviglioso). La tua tesi si potrebbe intitolare per es. «Testi della poesia dialettale genovese (o umbra, ecc.) delle origini», e consistere in un'edizione critica dei testi con note filologiche e letterarie.* Tieni presente l'antologia del Sapegno uscita in questi mesi, e come orientamento generale studia la poesia realistica del '300, sulle orme di L. Russo (che per es. ha pubblicato presso Laterza le poesie dei notai perugini del XIV sec. –  che a noi, dati i loro oggetti, interessano moltissimo, fra l'altro... –). Intanto continua a fare ciambelle, col buco o no. E manda pure a Betocchi, perché no?, il libro di Elio.
Un affettuoso abbraccio                                                        Pier Paolo

* Potrebbe essere la base di una futura antologia per Guanda da farsi insieme noi due.»

(Pier Paolo Pasolini, lettera a Nico Naldini, [Roma dicembre 1952], vol. 1, p. 510)

Pasolini (1953-1954)

«Caro Ciceri,
t'incalzo con uno stillicidio di favori, perdonami. Sto impazzendo col mio lavoro (sai che fra l'altro la Nazionale di Roma è crollante, oltre che disordinata: sí che adesso per due settimane è del tutto chiusa). Avevo chiesto alla [Novella Aurora] Cantarutti (come sai) di farmi avere in prestito un libro di suo possesso (il Chiurlo) e uno della biblioteca di Udine (Ive A., Canti popolari istriani, Roma 1877): mi è arrivato proprio ieri il solo Chiurlo. Ora tu dovresti andare in biblioteca [a Udine], ritirare per tuo conto il volume dell'Ive e spedirmelo subito. Entro tre o quattro giorni al massimo lo riavresti. Puoi farlo? Ti chiedo di nuovo scusa, e ti stringo con tutto l'affetto la mano»

(Pier Paolo Pasolini, lettera a Luigi Ciceri, Roma, 25 settembre 1953, vol. 1, p. 601).

«Caro Leonetti,
qui si parrà la tua nobilitate. Oggi ho avuto in biblioteca il colpo di grazia: per quindici giorni la Nazionale [di Roma] è chiusa a tutti gli effetti.
Io devo consegnare l'Italia Sett. a Guanda il 10 ottobre: sono perciò alla disperazione. Mi aggrappo a te, non potresti richiedere per te, o fingere che richieda Roversi, i libri di cui ti ho dato l'elenco, e mandarmeli privatamente [da Bologna]? Hanno fatto questo per me già degli impiegati alla biblioteca di Udine (la Cantarutti, ch'è mia amica) e di Venezia (lo Sguerzi, che conosco attraverso mio cugino): perché tu non lo potresti fare? Bada che in pochissimi giorni avresti i libri intatti, con la massima puntualità e esattezza. Sono veramente angosciato di gettare sulla nostra rinascente amicizia questa maledetta ombra: sono certo però che la «rinascente amicizia» resisterà. Mi sei stato simpaticissimo: tu e tutta la tua famigliola. Una miglior riuscita sentimentale non potevi avere.
[...] Ah, dimenticavo: mandami i dati (stavo per dire bibliografici) di quel tuo meraviglioso sapone per barba.»

(Pier Paolo Pasolini, lettera a Francesco Leonetti, [Roma] 25 settembre 1953, vol. 1, p. 602).

«Carissimo Leonetti,
è stata proprio la disperazione di una decina di giorni fa a farmi scrivere quella lettera, di cui poi mi sono cosí atrocemente pentito, soprattutto per il ricatto, che potevo davvero risparmiare. Comunque tu esci trionfante: con tutta la «nobilitate» piú che parsa, esplosa. Lo dico scherzosamente, ma non scherzo. Accetto in pieno la tua lezione sulla pazienza da esercitarsi sopra le biblioteche: stavolta è stato un attacco frontale, garibaldino. La prossima volta sarò Fabio Massimo. Intanto non soffrire: i libri sono giunti e in parte utilizzati, fra pochi giorni faranno ritorno a Bologna, e la loro avventura sarà felicemente terminata».

(Pier Paolo Pasolini, lettera a Francesco Leonetti, Roma 5 ottobre 1953, vol. 1, p. 609).

«Caro Leonetti,
un rapidissimo biglietto, tra gli ingranaggi della mia giornata in cui vivo coi soli nervi: ti spedisco finalmente il pacco, dopo il previsto. Tengo ancora per due o tre giorni il Visconti...»

(Pier Paolo Pasolini, lettera a Francesco Leonetti, Roma 29 ottobre 1953, vol. 1, p. 612).

«Caro Contini,
le Sue lettere hanno sempre un potere magico: inoculato di gioia, è una settimana che non mi accorgo del vecchio travaglio ferroviario e scolastico: Ciampino è a due passi, i miei scolari dei geni, i pischelli suburbani dei fiori. Si è placato perfino il rancore per le crepe della Nazionale, da cui il mio lavoro – orgia e orgasmo, sulla poesia popolare per una nuova antologia guandiana – è inceppato...»

(Pier Paolo Pasolini, lettera a Gianfranco Contini, Roma 22 novembre 1953, vol. 1, p. 616).

«Caro Sereni,
ti mando finalmente «il canto popolare»: ho cosí tardato un po' perché volevo lasciar depositare le ultime correzioni e vedere se funzionavano, ma soprattutto perché dovevo citare alcuni versi popolari, piemontesi e siciliani, da libri che si trovano solo alla Nazionale, e la Nazionale era chiusa: adesso poi che è aperta quei libri sono in prestito...»

(Pier Paolo Pasolini, lettera a Vittorio Sereni, Roma 2 gennaio 1954, vol. 1, p. 627).

Pasolini (1960 circa)

«Ho letto Cecchi e Montale nel '38 (a sedici anni) e subito dopo il Sentimento del tempo e il Sole a picco; poi ho messo tutto insieme la «Voce», la «Ronda» e «Solaria», riempiendo con la mania dell'adolescenza più disagiata che si possa immaginare interi quaderni di elenchi di autori «contemporanei» da leggere. Ma il ciclo di letture più completo di quel periodo di escluso, nella viziosa biblioteca dei portici del Pavaglione, fu quello sull'impressionismo francese, con la guida di Soffici, che del resto, in Rete mediterranea, fu il primo a indicarmi l'Allegria. Sui banchi lisci e nemici della biblioteca, in ore di metafisica emicrania, passarono sotto i miei occhi in disordine i numeri e le edizioni della «Voce»; la più estrema modernità fu per me la disperazione anti-borghese dei Boine e anche dei Papini.»

(Pier Paolo Pasolini, appunto dattiloscritto per Passione e ideologia (1960), poi non incluso nel volume. Dai Saggi sulla letteratura e sull'arte, tomo secondo, p. 2920-2921)

Pasolini (1960)

«BIBLIOTECA NAZIONALE

Si vedono in scorcio le due o tre grandi sale di lettura della biblioteca nazionale: l'arredamento triste, pesante, le luci bianche e scarse sui tavoli, i grandi finestroni chiusi.
Nelle sale di lettura c'è un profondo silenzio: chi legge, chi prende appunti, chi cammina in punta di piedi entrando o uscendo.
Nella sala della distribuzione, e, prima, nella saletta del catalogo, c'è più confusione: si parla, si ride, ci si riposa. Marcello e il Commissario, entrano nella saletta del catalogo, salgono i due o tre gradini che portano verso le sale di lettura, passano davanti al banco della distribuzione, con pile di libri, e guardano verso il triste, semibuio spettacolo delle sale.
Marcello avanza in punta di piedi, guardando tavolo per tavolo.
Ed ecco, là in fondo, la Pina, seduta davanti a cinque o sei libri aperti, che sta prendendo degli appunti.
Marcello si muove verso di lei, cercando di vincere l'angoscia.
La Pina alza gli occhi, lo vede e lo riconosce. Si alza in piedi come per riceverlo, con la lieta sorpresa corretta nel sorriso dalla sua solita, mite discrezione.
PINA   Buon giorno, Ravagli... È venuto a lavorare anche lei qui? E la prima volta che la vedo...
Marcello resta in piedi, sorride stentatamente, poi dice, a bassa voce, per non disturbare i vicini:
MARCELLO   Signora... usciamo. Deve tornare a casa.
Pina guarda Marcello senza capire. Di colpo intuisce che qualcosa di grave è successo. Resta in piedi, immobile, aspettando una parola rassicurante. Con voce improvvisamente mutata, chiede:
PINA   A casa? Perché?
MARCELLO   Venga, parleremo fuori... È successo... Venga... andiamo...
Automaticamente – mentre qualcuno, attorno al tavolo ormai guarda un po' incuriosito – prende il fascicoletto degli appunti e lo mette nella borsa, con la penna. Tenta ancora di sorridere, ma già le labbra le tremano.
Guarda anche verso il Commissario, più indietro. Poi prende sottobraccio i cinque o sei libri, va verso Marcello, e con lui s'incammina verso il corridoio tra i tavoli. Ad essi si aggiunge il Commissario.
Al banco della distribuzione, Pina riconsegna i libri. Marcello, come ella ha finito, le indica il Commissario.
MARCELLO   Il dottor Mazzella... Signora... È successa una cosa molto grave.
Pina fissa Marcello senza fiatare.
MARCELLO   Usciamo... Parleremo in macchina...
Con voce atona, già spenta, Pina domanda, fermandosi:
PINA   Cos'è successo?
Marcello la prende sottobraccio e la sospinge dolcemente attraverso la saletta del catalogo.
MARCELLO   Venga... Non qui...
Pina si arresta, caparbia. Guarda prima Marcello, poi il Commissario. Con voce sempre più atona, dice:
PINA   I bambini... È vero?
Il Commissario, pronto, con un gesto rassicurante del capo:
COMMISSARIO   Li vedrà... Non subito... Sono feriti...
E sostiene lo sguardo di Pina. Costei ha un sorriso ebete, barcolla un attimo.
MARCELLO   (deciso) Usciamo. 

NELLO SCALONE DELLA BIBLIOTECA

Lo scalone si apre sotto gli altissimi archi barocchi, polverosi, scuri.
Pina scende meccanicamente i primi gradini.
PINA   Ditemi... Ditemi la verità. (tace un momento)
Dov'è mio marito?
Il Commissario la prende per un braccio delicatamente.
COMMISSARIO   Venga...
Marcello e il Commissario la spingono dolcemente giù per i gradini, che sembrano inabissarsi, nella triste luce meridiana, sotto le antiche volte.
Fondu

(Pier Paolo Pasolini, Per il cinema, v. 2, 2327-2329)

Ultimata la prima stesura della sceneggiatura de La dolce vita, Fellini incaricò Pasolini di scrivere una versione alternativa di alcune scene del film, poi quasi tutte scartate. Tra i quattro episodi scritti da Pasolini (che non sarà inserito nei titoli di testa), la testimonianza si riferisce alla scena in cui Marcello (interpretato da Mastroianni) e il commissario annunciano la morte di Steiner alla moglie, nella versione cinematografica ambientata nei pressi della fermata di un autobus, e qui nei locali della Biblioteca nazionale di Roma (allora allocata in un’ala del monumentale palazzo cinquecentesco del Collegio romano).

Biblioteca nazionale centrale di Roma - sede al Collegio Romano (una delle sale di letture)

Una delle affollatissime sale di lettura della Biblioteca nazionale di Roma nella sede del Collegio romano, in una foto degli anni Cinquanta-primi Sessanta tratta da: Cento biblioteche italiane, Roma, Palombi, 1964.

Pasolini (1961)

«Ma in questo mondo che non possiede
nemmeno la coscienza della miseria,
allegro, duro, senza nessuna fede,
io ero ricco, possedevo!
Non solo perché una dignità borghese
era nei miei vestiti e nei miei gesti
di vivace noia, di repressa passione:
ma perché non avevo la coscienza
della mia ricchezza!

L'essere povero era solo un accidente
mio (o un sogno, forse, un'inconscia
rinuncia di chi protesta in nome di Dio...).
Mi appartenevano, invece, biblioteche,
gallerie, strumenti d'ogni studio: c'era
dentro la mia anima nata alle passioni,
già, intero, San Francesco, in lucenti
riproduzioni, e l'affresco di San Sepolcro,
e quello di Monterchi: tutto Piero,
quasi simbolo dell'ideale possesso,
se oggetto dell'amore di maestri,
Longhi o Contini, privilegio
d'uno scolaro ingenuo, e, quindi,
squisito... Tutto, è vero,
questo capitale era già quasi speso,
questo stato esaurito: ma io ero
come il ricco che, se ha perso la casa
o i campi, ne è, dentro, abituato:
e continua a esserne padrone...
Giungeva l'autobus al Portonaccio,
sotto il muraglione del Verano:
bisognava scendere, correre attraverso
un piazzale brulicante di anime,
lottare per prendere il tram,
che non arrivava mai o partiva sotto occhi,
ricominciare a pensare sulla pensilina
piena di vecchie donne e sporchi giovanotti,
vedere le strade dei quartieri tranquilli,
Via Morgagni, Piazza Bologna, con gli alberi
gialli di luce senza vita, pezzi di mura,
vecchie villette, palazzine nuove,
il caos della città, nel bianco
sole mattutino, stanca e oscura...»
(Pier Paolo Pasolini, La ricchezza del sapere, in La religione del mio tempo, p. 20-21.)

Pasquali (1920)

«chiunque ci rifletta su un solo momento, vedrà che le fotografie non possono sostituire le trascrizioni e le collazioni, ma sono destinate a essere esse stesse trascritte e raffrontate, e che si preferisce avere a lavorare sulla fotografia invece che sul codice, per non dovere sudare o gelare nelle biblioteche quelle poche ore del giorno che restano aperte, tra il cicaleccio degli uscieri e dei frequentatori e con la fretta addosso, per potere studiare con comodo a casa nostra quando più ci piace, e aver facilità di riscontrare, ogni volta che ci viene un dubbio.»
(Giorgio Pasquali, Filologia e storia, p. 21. La prima edizione dell'opera fu pubblicata da Le Monnier nel 1920).

«Sesto Empirico, fonte importantissima per gli studi di filosofia greca, era svisato qua e là da lacune piccole ma non facili a supplire: ne ha colmate pur ieri gran parte uno studioso tedesco, morto in questa guerra, il Mutschmann [Hermann], valendosi di una versione medievale. Un altro tedesco, il Nebe [August], ha trovato qui a Firenze in Laurenziana un manoscritto del medesimo autore sfuggito anche al Mutschmann, che per certe parti del testo presenta lezioni nuove e giuste: vergogna per noi Italiani di non averlo trovato noi. Due diverse epitomi delle parti perdute della Biblioteca di Apollodoro, il testo forse più importante per gli studi mitografici, sono state scoperte non in archivi egizi ma in biblioteche, l'una delle due per opera di uno studioso tedesco in una biblioteca romana, in tempo non lontano, quando l'Italia era già da un pezzo entrata nell'agone della filologia scientifica. Chi vuol consultare un altro mitografo, Igino, deve ancora contentarsi di un'edizione mal fatta, poco pratica, e per giunta esaurita e difficile a trovarsi anche in biblioteche italiane.»
(ivi, p. 18).

Pasquali (1929a)

«I bibliotecari di tutto il mondo si raduneranno a Roma nel prossimo giugno e percorreranno poi il nostro paese, visitando biblioteche e archivi, da un capo, si può dire, all'altro di esso. [...] I bibliotecari stranieri ammireranno in Italia biblioteche ricchissime di manoscritti, fornite mirabilmente di libri antichi e tenute al corrente della produzione moderna in una maniera che appar miracolosa, se si riflette alla ristrettezza delle dotazioni; ma specie quelli tedeschi e per certi riguardi anche gli americani giudicheranno la nostra organizzazione alquanto arcaica.
Di biblioteche l'Italia ne ha troppe e troppo poche. In alcune città, a contare solo le grandi biblioteche pubbliche statali, le più senza un indirizzo particolare, senza una specializzazione facilmente riconoscibile, non bastano le dita della mano: in Roma la Nazionale, la Casanatense (questa per vero specializzata e specializzata bene), l'Alessandrina, l'Angelica, la Vallicelliana, la Lancisiana; qui in Firenze, la Nazionale, la Marucelliana, la Laurenziana, la Riccardiana. Una delle città del mondo nella quale si studia di più, Berlino, con un numero di abitanti sei volte maggiore di Roma, con popolazione poco concentrata, cioè con distanze enormi, ha solo due grandi biblioteche pubbliche, la Nazionale e l'Universitaria, e queste non per caso sono collocate una accanto all'altra. Troppe biblioteche dello stesso genere nella stessa città portano una doppia serie di inconvenienti: economici e di comodità di lavoro. [...]
Ma i danni per l'economia del lavoro dei frequentatori sono, secondo me, anche più gravi, perchè il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato: e sabato sarebbero in questo caso i libri e le biblioteche. Ora uno studioso non può, a Roma, esser sicuro che un libro manchi, se non ha prima consultato i cataloghi almeno di quattro o cinque biblioteche (e intendo anche qui come altrove per biblioteche solo quelle appartenenti allo Stato italiano e pubbliche, escludendo quindi la Vaticana e quella dei Lincei e quelle dei Ministeri, della Camera, del Senato, dei moltissimi istituti scientifici stranieri e così via), di quattro o cinque biblioteche separate l'una dall'altra da chilometri e chilometri di strada. [...]
Il rimedio? Fondere le biblioteche pubbliche minori con le maggiori della stessa città? [...] Opposizioni sentimentali non mi commuovono gran che: anch'io apprezzo la malìa dello studio in un'antica e venerabil sala, cui si giunga attraverso broli verzicanti e chiostri di architettura perfetta, ma mi indispettisco poi, se la venerabil sala ha troppo poca luce, e se d'inverno nonostante il termosifone vi si battono i denti, e se i silenzi dei secoli sono rotti dalla voce troppo alta di un impiegato romagnolo, brav'uomo probo e operoso, se altri mai, ma di carattere eccitabile e dotato da natura di voce troppo più sonora che non richiederebbe il suo ufficio. [...]
Ma la fusione e concentrazione non risolve ancora il problema. L'Italia, si è detto, ha troppe biblioteche; ma essa ne ha anche troppo poche: troppo poche di specializzate e troppo poche di popolari. Le specializzate si vanno a poco a poco formando: non c'è ministero, non c'è pubblica istituzione che non abbia ormai una sua libreria accessibile solo a una cerchia che offre garanzie particolarissime, ma a quella accessibile quasi senza formalità e senza limitazioni. E non c'è in ispecie Facoltà o scuola universitaria la quale, nonostante le presenti ristrettezze, non s'ingegni meglio che può di tener al corrente la propria biblioteca particolare a uso dei propri maestri e dei propri scolari. Che molte, forse tutte seguano in ciò criteri errati per pedanteria burocratica, e scemino così il beneficio che potrebbero recare, non si deve tacere, e si dirà brevemente più sotto. Ma una tale biblioteca, comunque organizzata, allevia il compito delle biblioteche pubbliche: lo studente che si trova un libro a portata di mano, lo consulta a suo agio tra una lezione e l'altra, e non si scomoda ad andare nella pubblica, cioè rinunzia a incomodare per cosa superflua i pochi impiegati di questa, distogliendoli da altri compiti, meno facilmente fungibili. Ma di biblioteche popolari si vedono in Italia appena appena i princìpi, e invano par combattere per esse da molti anni un bibliotecario davvero illuminato e moderno, Luigi de Gregori. In Italia le funzioni delle biblioteche statali, che non possono essere se non funzioni scientifiche, e quelle delle biblioteche popolari non sono ancora distinte, e s'intralciano a vicenda. Alla Nazionale si recano del pari il dotto per studiare e lo scolaro, lo sfaccendato, il fiaccheraio che vuol passare un'ora in letture dilettevoli. Si deve dire che, se del sistema presente soffrono tutti e due, quello che alla fine si accorge di aver fatto peggio i suoi conti, è non il dotto ma lo scolaro o lo sfaccendato? Una disposizione generale del regolamento vieta di concedere in lettura, tranne per fini scientifici, opere di amena letteratura. Romanzi, dunque, nelle biblioteche pubbliche non se ne possono leggere; eppure v'è un pubblico al quale un romanzo, diciamo, di Alessandro Dumas padre o anche i Pirati di Mompracem sarebbero nutrimento spirituale più confacente che p.e. l'Igiene dell'Amore, che pure non tutti i bibliotecari s'accordano nel comprendere tra le letture amene. [...] Si è rimediato inventando una sala a parte per studiosi, la quale non semplifica davvero il servizio. A me pare strano che nelle biblioteche, che sono fatte per studiare, ci sia una speciale stanza nella quale sola si possa studiare. E per eliminare questa contraddizione proporrei di sostituirla con un'altra, che è più grave solo nella forma verbale: nelle biblioteche pubbliche non ci dovrebb'essere sala pubblica. Così è in paesi che pure si credono ormai più democratici che l'Italia: in Germania per avere accesso alle biblioteche occorre avere certi requisiti, p.e. quello, che anche da noi dovrebb'essere pienamente sufficiente, di essere scolaro di scuole superiori; ma, una volta ammessi, si è in possesso di tutti i diritti, non si è esclusi da nessun locale, si possono senza garanzie sussidiarie ottenere libri in prestito.
Ma, perchè questo procedimento sia tollerabile, occorre che siano create finalmente le biblioteche popolari. Per una tale istituzione i tempi corrono, mi sembra, meno sfavorevoli di quel che parrebbe a prima vista. Non c'è circolo fascista di cultura che non si vanti della propria biblioteca circolante. Basterebbe che le istituzioni di una città si coordinassero tra loro e rendessero accessibili le proprie raccolte anche a chi non è iscritto al partito, perchè le fondamenta per le biblioteche popolari fossero bell'e gettate. In molte città le Case del Fascio hanno esercizio pubblico di ristorante e di albergo diurno; in molte esse si sono date speciale cura dello scolaro medio e dello studente. Nè ci sarebbe forse neppur bisogno di allargare la concessione dell'uso di tali biblioteche a tutto, indistintamente, il pubblico. [...] Che tali biblioteche siano destinate in larga misura al prestito, non mi par che guasti; che siano distribuite in rioni diversi, anche periferici, mi sembra piuttosto un vantaggio: così è, se sono bene informato, anche nelle grandi città dell'America del Nord. [...]
La maggior parte delle biblioteche pubbliche sono aperte dalle nove alle quattro, cioè nelle ore nelle quali proprio quelle classi sociali che per la loro professione hanno più bisogno della biblioteca, studenti, maestri di scuole medie, professori, hanno di solito lezione. E quelle medesime sono anche le ore di ufficio per professionisti, avvocati o medici, che cercano a spizzico di soddisfare impulsi e curiosità scientifiche. E chi, con uno sforzo, magari saltando il desinare, provi a recarvisi tra il mezzodì e le due, troverà che proprio in quel tempo quasi tutti i servizi sono o sospesi o rallentati, perchè una buona parte del personale si è allontanata per la refezione. In altre parole, con l'orario presente le biblioteche servono solo a chi non se ne serve. Non è necessario che sia così: la maggior parte delle biblioteche tedesche è aperta, almeno per quel che è sala delle riviste e sala di lettura, dalle otto di mattina alle dieci di sera. E non si vede perchè questo debba rimanere appannaggio della Germania, tanto più che simili prolungamenti di orario sono stati attuati sia pure in misura un po' minore e con qualche limitazione che in Germania non c'è, nella Marucelliana di Firenze e, se non m'inganna la memoria, anche a Brera. [Un orario ottimo, pomeriggio e sera, ha a Venezia la Querini-Stampalia; uno buono, pomeridiano, la piccola Comunale di Belluno.] [...]
Nelle biblioteche italiane si scrive troppo, e il troppo scrivere rallenta il servizio. Io penso a quel che avviene nelle cosiddette sale del prestito, che ancora nelle biblioteche maggiori sono per lo più stanzuccie rimediate. Chi vuole un libro, scrive nome di autore, titolo e segnatura sur una scheda, consegna questa a un impiegato e aspetta che il libro gli sia portato. Intanto arrivano altre persone che riportano opere avute in prestito; fanno calca allo sportello irrazionalmente unico del prestito, si urtano con gli aspettanti. Quando il libro richiesto arriva, il richiedente è chiamato allo sportello, dove lì per lì deve riempire e firmare una scheda a due o tre divisioni, identiche tranne nell'ordine delle indicazioni. L'impiegato esamina la scheda, la corregge, la ritira, e poi scrive anche lui a sua volta un lasciapassare. E intanto la folla aumenta e non entra più nella stanza, e il servizio ristagna. In questo campo il governo presente, che pure ha bandito guerra alle scartoffie, non ha ancora mutato nulla; una biblioteca almeno ha di suo reso più complicata la scheda di ricevuta. [...]
Nelle nostre biblioteche la sala pubblica di lettura è anche in questo veramente sala di lettura che il libro riconsegnato deve la sera per lo più ritornare a posto: non si riesce a immaginare che esso possa normalmente rimanere oggetto di studio per parecchi giorni di seguito; e anche dalla maggior parte delle sale di studio o riservate il libro deve essere rinviato al suo posto nei magazzini almeno a fine di settimana. [...]
In Italia il numero di opere delle quali un lettore può contemporaneamente fare uso, è almeno nella sala pubblica strettamente limitato; in altre parole, in sala di lettura è impossibile qualsiasi lavoro scientifico. Limitazioni, ve ne sarebbero teoricamente anche per le sale di studio: in pratica i bibliotecari, più assennati dei loro regolamenti, sanno passarci sopra con leggerezza. [...]
E non limitato è per lo più in Germania il numero delle opere che uno può prendere in prestito. Introdurre questa libertà nelle biblioteche italiane, rimettersi alla discrezione degli studiosi, che sono spesso egoisti, significherebbe secondo taluno spogliare le biblioteche, rendere impossibile una consultazione rapida. Questi tali avranno ragione. Ma conviene dire che per gli studiosi il prestito è necessario, anche perchè la maggior parte dei dotti dai venticinqu'anni in poi non può per nervosità lavorare in biblioteca, può, cioè, scorrere libri e prendere appunti, ma non pensare, quando v'è troppa e troppo rumorosa e mobile gente nella stessa stanza. [...]
E agli stessi fini di render possibile il prestito e insieme di alleggerire altri servizi, quelli della distribuzione, servono le sale di consultazione delle grandi biblioteche, dalle quali opere che vi hanno posto permanente, non dovrebbero potere esser allontanate se non eccezionalmente. Ma la sala cosiddetta di consultazione, e s'intende di libera consultazione, deve, se vuol giovare a qualche cosa, essere veramente tale. Se no, serve anch'essa ad aumentare il numero delle scartoffie. Dev'essere lecito a ciascuno tirar giù libri a sua posta senz'appunti e senza schede, e solamente esser vietato di rimettere a posto le opere consultate, che non avviene mai senz'errori. Si costringano gli studiosi a scrivere il loro nome in un registro, ogni volta che entrano in sala di consultazione, si stabilisca un controllo rigoroso alla porta, ma nulla di più, o si renderebbe illusoria l'utilità. Questa necessità non è, mi pare, ancora intesa bene in Italia. Ancora nella estate scorsa io avevo vantato l'utilità somma che gli studenti ricavavano dalla grande, luminosa, comoda e ben fornita sala di consultazione della biblioteca della Facoltà di lettere di Firenze. Mentre io a Kiel scrivevo questo in un articolo, il rettore e il consiglio della Facoltà di lettere, turbati dai troppi libri scomparsi negli ultimi tempi da quella sala, deliberavano di assiepare gli scaffali, sinora aperti, con una rete di filo di ferro e di non concedere nessun libro in «consultazione» se non contro scheda regolarmente firmata. Una sala di consultazione nella quale i libri sono resi intangibili e invisibili, una sala di consultazione con schede: due bell'e buone contradictiones in adiecto. [...] E, per quanto la discrezione del valente e dolce collega che regge ora quella biblioteca, si adopri al solito a mitigare la rigidità, come a me pare, non del tutto giustificata di quelle disposizioni, nella cultura degli studenti e nelle loro dissertazioni si mostrano già gli effetti di questo non avere più quasi un'intera biblioteca davvero sotto mano. Nella biblioteca della Facoltà di lettere di Firenze nessuno va ormai più per mero piacere. Si deve esigere che i giovani studino, ma si deve anche procurar loro modo di studiare comodamente. [...]
Nelle nostre [biblioteche] i nuovi acquisti rimangono a lungo a ciondolare in direzione; sono catalogati solo dopo mesi; divengono accessibili alla lettura piuttosto tardi e clandestinamente; solo molto più tardi, per una disposizione del regolamento, possono essere dati in prestito. [...] Ma il male è che una esposizione al pubblico dei nuovi acquisti, poco importa se rapida o tarda, non è nè prevista dai regolamenti nè, che io sappia, praticata in alcuna biblioteca dello Stato italiano.
D'altro ancora avrei voluto parlare, p.e. di certe limitazioni poste alle fotografìe dei codici, che, senz'esserci utili, ci recano pregiudizio nell'opinione degli scienziati stranieri. Ma ho voluto per questa volta limitarmi ad argomenti d'interesse generalissimo. [...]
Il problema dell'alta cultura è da noi, lo ripeto ancora una volta, in primo luogo, un problema di biblioteche.»

(Giorgio Pasquali, Biblioteche, «Civiltà moderna», 1, n. 1 (15 giu. 1929), p. 46-61. Poi in Vecchie e nuove pagine stravaganti di un filologo, [Firenze], De Silva, 1952, con piccole varianti, l'aggiunta sulle biblioteche di Venezia e Belluno – presumibilmente inserita nelle Pagine stravaganti di un filologo, Lanciano, Carabba, 1933 e qui riportata in parentesi quadre – e una Postilla finale scritta per la nuova edizione).

Pasquali (1929b)

«Gentile Signorina, Ier sera non potei esaurire le parecchie riviste che nonostante il prudente ostruzionismo del Suo chef si erano accumulate in questi giorni al mio posto sul tavolone della stanza da studio. E oggi non potrò venire perché stamani ho a erudire i fanciulli e le fanciulle negli elementi della nobile lingua centrale, e stasera parto già al tocco per Vallombrosa. Ora io temo che la bestialità burocratica dell'ossequiosissimo usciere Veneto («Mei doveri, Sior Profesore»!) mi mandi al posto, conforme ai vostri regolamenti, le riviste che una settimana è bastata appena a raccogliere. Potrebbe la Sua gentilezza intervenire presso il Cav. (m'immagino) V. E. Baroncelli perché questa iattura mi sia risparmiata cosicché possa lunedì, al mio ritorno, ritrovare le riviste non tocche? Io manderò a Lei un pensiero grato d'in cima al Secchieta.
Voglia esser così buona da farmi avere una risposta per mezzo del molto giovanile latore della presente Dev.mo Giorgio Pasquali.»
[Sul margine:] «Altre volte con la Mondolphia ottenni lo stesso favore».
[Sulla busta:] «Per favore del Signorino Luigi Terzaghi All'ornatissima Signorina Teresa Lodi. Biblioteca Nazionale».

(Giorgio Pasquali, lettera a Teresa Lodi, Firenze 30 novembre [1929], in: Gli archivi della memoria e il carteggio Salvemini-Pistelli, p. 92. Il riferimento a Vittorio Emanuele Baroncelli dev'essere un errore (a meno che non sia errata la datazione del biglietto) perché Baroncelli aveva lavorato alla Biblioteca nazionale di Firenze fino alla morte, avvenuta nel maggio 1923. Non è chiaro se nella nota a margine Pasquali volesse riferirsi ad Anita Mondolfo – che in quegli anni non lavorava più alla Biblioteca nazionale – o ad Adele Mondolfi, collega della Lodi).

Pasquali (1934)

«Qualche errore e molte più lacune dipenderanno dalla mancanza di libri specialmente della prima metà del secolo XIX nelle biblioteche di Firenze. [...] Debbo riconoscere con animo grato che i direttori della Biblioteca Nazionale, di quella della mia Facoltà, della Laurenziana, della Marucelliana hanno gareggiato nell'aiutarmi largheggiando nel prestito, facendo venir libri di fuori o acquistandoli quand'era possibile; che l'Istituto Archeologico Germanico di Roma, con una liberalità che io conosco fin da quando, trenta anni fa, ero studente, mi spedì opere che non avrei trovato altrove; che mi procurarono in prestito libri da Roma L. De Gregori, da Torino L. Ginzburg, da Halle C. Wendel. Senza l'aiuto degli ordinatori, distributori, custodi della nostra biblioteca di Facoltà, sempre solleciti a ricercarmi e a mettermi insieme i numerosi libri di cui avevo bisogno, avrei impiegato molto più tempo a finire il mio lavoro, o forse avrei desistito dal proposito, per disperazione. Ma nessun aiuto poteva cavar di sotto terra, per virtù d'incanto, libri che in Italia mancano; e non tutto le biblioteche straniere mi potevano mandare in prestito, nonostante la buona volontà dei loro direttori.»

(Giorgio Pasquali, Prefazione [alla prima edizione, 1934], p. XII-XIII)

Pasquali (1940)

«Caro Gianfranco,
io non ti posso mandar nulla, perché qui [a Firenze] le biblioteche sono chiuse e è chiuso il prestito fino a posdomani. Ma provvederà posdomani il dotto, spaventosamente dotto e ameno fanciullo [Dino] Pieraccioni.»

(Giorgio Pasquali, cartolina a Gianfranco Contini, Firenze 30 luglio 1940, p. 400)