LE TESTIMONIANZE

L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.

N.B. La casella di ricerca qui sotto opera soltanto sul titolo della testimonianza (di norma, cognome dell'autore e anno).
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Risultati della ricerca

Feo (2015)

«Un nuovo spettro si aggira per l'Europa, anzi per l'universo mondo, e anche per Pisa. È l'odio per i libri. È uno spettro che ha origini lontane e ha prolificato nelle civiltà a noi vicine, la greco-latina, l'ebraica, la cristiana e l'islamica (ché di altre non ho contezza). [...]
In questa città [...] fu chiusa la Biblioteca Universitaria col pretesto di una lesione causata dal terremoto della lontana Emilia. Si promise che sarebbe stata riaperta dopo due mesi, poi dopo sei mesi, poi dopo un anno, poi dopo due anni, e intanto di anni ne sono trascorsi due e mezzo, e si rinnovano promesse sempre più lunghe. I libri della BUP sono stati smembrati e dislocati. Foto rubate mostrano la gloriosa sala delle riviste ridotta a squalentia terga atro pulvere. A nulla sono valse le proteste. A chi scrive, per aver raccontato la tristezza dell'ammutolito palazzo della Sapienza (Il ponte del giugno 2014), è stata comminata uno scomunica da Comintern, cui zelanti clientele rettorali hanno aggiunto minacce di roghi, condite dell'elegantissimo osservazione che chi parlava non era nemmeno professore dell'Università di Pisa. Ora l'esempio fa scuola: dalle biblioteche di dipartimento dell'Università e dalla Biblioteca Comunale si gettano via libri di valore, spesso con dedica e in esemplare unico. Alle proteste frammentate sui quotidiani locali e su periodici on-line si risponde negando l'evidenza e aggredendo l'onorabilità di chi protesta. Si dice che Pisa ha troppi libri: questa affermazione mi ricorda pericolosamente la motivazione con cui un anonimo poeta medievale spiega il bruciamento di Arnaldo da Brescia: sapeva troppo. Ma la provinciale amministrazione della grande Pisa non sa che la città non ha più di 500 mila libri e che Algeri nell'Africa coloniale al tempo della battaglia per l'indipendenza ne aveva 6 milioni.
Si dice che i libri della Sapienza si ricompatteranno: è una promessa da pseudo-profeti. In Italia non si tocca mai più ciò che è provvisorio, e sempre dentro e fuori Italia la divisione e lo spezzettamento sono i primi passi verso la distruzione. Si cercano soldi per rifare il palazzo della Sapienza. Istituzioni pubbliche e private si dice abbiano già promesso tre milioni. Ma nessuno dice cosa del Palazzo si intenda fare: nessun proclamo, nessuna impalcatura, nessun cartello, nessun progetto visibile. Onde il sospetto che a tutto si miri che a rimpatriare BUP. Noi diciamo al nostro Ministro dei Beni Culturali, alle banche e alle benefiche associazioni: non date un euro finché non si abbia un progetto pubblicamente evidente, pubblicamente discusso e accettato, che rimetta al centro l'interesse collettivo, la salvezza del bene, il diritto al sapere, la salvaguardia di un patrimonio unico, insostituibile, irrinunciabile.
I libri sono muti e terribili testimoni. Non costringiamoli a dire invidiosi veri con tutta l'eloquenza di cui sono capaci. Le biblioteche sono l'archivio della memoria collettiva dei popoli e di tutto il genere umano. Memoria tangibile, carezzabile, odorabile. Memoria che sta qui, sulla terra che ci ha generati e non negli spazi siderali. Perdere il contatto fisico con questa memoria potrebbe significare naufragare senza appigli. L'ho già detto altra volta. Mi si perdoni se qui lo ripeto. L’umanesimo ha realizzato la inconsapevolmente profana metamorfosi del vas electionis, l'assemblea eterna di tutti i membri del corpo di Cristo, nel terreno vaso librario, che è la chiamata a raccolta di tutti gli artefici della parola reificata nei libri. Distratti, non ci accorgiamo, quando entriamo in una biblioteca, di entrare nel sacrario dove i nostri morti aspettano silenziosi di rispondere alle nostre domande. Perché non possiamo fare a meno della parola dei nostri morti.»

(Michele Feo, Büchervernichtung ovvero la guerra di Pisa, p. 5).

Fermi (1917)

«Io vado tutte le mattine alla Vittorio Emanuele. Qualche giorno fa sono stato dal prof. Eredia per fare graduate il barometro ma non l'ho ancora graduato».
(Enrico Fermi, cartolina a Enrico Persico, Roma 7 settembre 1917, pubblicata in Emilio Segrè, Enrico Fermi, fisico, p. 191).

«Nella prima cartolina a Persico, in data 7 settembre 1917 Fermi dice che sta studiando regolarmente fisica alla Biblioteca Vittorio Emanuele a Roma. Si stava infatti preparando per il concorso di ammissione alla Scuola Normale di Pisa, che doveva svolgersi l'autunno successivo. A questo scopo studiò sistematicamente il grosso trattato di fisica dello Chwolson, un testo canonico in quegli anni. Approfondì anche il trattato di meccanica del Poisson già menzionato nella lettera dell'ing. Amidei.»
(Emilio Segrè, Enrico Fermi, fisico, p. 13. La biografia fu pubblicata per la prima volta in inglese nel 1970).

«Da alcune lettere che Fermi scrisse al Persico tra il 1917 e il 1924 è possibile ricostruire in parte quali furono le prime letture che posero le basi della sua cultura fisica. Le prime notizie su questo argomento sono dell'estate 1918, quando, terminato il liceo, si preparava a concorrere per la Scuola Normale di Pisa. Nell'agosto di quell'anno egli termino di leggere, nella traduzione francese, il grosso Trattato di Fisica del Chwolson. Per questa lettura, che durò naturalmente molti mesi, egli andava quasi quotidianamente alla Biblioteca dell'Istituto Centrale di Meteorologia e Geodinamica, in Via del Caravita, grazie al permesso concessogli dal meteorologo Filippo Eredia, che era stato per qualche tempo suo professore di fisica al Liceo Umberto I di Roma.»
(Emilio Segrè, Nota biografica, in: Enrico Fermi, Note e memorie (Collected papers), vol. 1: Italia 1921-1938, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1962, p. XVII-XLII: XXII).

Ferrero (1927-1930)

«Caro Alberto.
Grazie dell'invito; ma non posso lasciare, per lavorare, i libri che ho sul tavolo (40) e le biblioteche di Firenze. Per ora – quindi – non mi è possibile muovermi.»

(Leo Ferrero, cartolina a Alberto Carocci, [Firenze] 14 settembre 1927, in: Lettere a Solaria, p. 22).

«Io qui passo le giornate in biblioteca a leggere i resoconti di quelle sedute parlamentari del 1875 che hanno dato origine alla III Repubblica, mirabile regime di cui intendo scrivere la difesa.»

(Leo Ferrero, cartolina a Alberto Carocci, [Parigi giugno 1930], in: Lettere a Solaria, p. 241-242).

Ferri (1991)

«Frequentava a Roma ambienti antifascisti?
No, piuttosto leggevo per conto mio. Andavo alla Biblioteca Alessandrina e chiedevo libri senza un ordine, secondo la curiosità. Chiesi un libro di Nitti una volta, e non me ne vollero dare: dissero che ci voleva un motivo specifico di studio, la malleveria di un professore. Non ce l'avevo. Vede, il mio era un antifascismo che nasceva proprio così, dalle letture.».
(Enzo Siciliano, Ma tu che libri hai letto?, p. 22; l'intervista è datata al 5 febbraio 1972)

(Seppur priva di data, la testimonianza è forse databile al 1942, anno in cui Mauro Ferri si laureò; la consultazione delle opere di Nitti nelle biblioteche, già in parte vietata negli anni precedenti, fu infatti preclusa a seguito della diramazione dell’Elenco di autori non graditi in Italia, avvenuta nel maggio del 1942)

F. S. Nitti, Il capitale straniero in Italia

La scheda di catalogo di un'opera di Nitti posseduta dalla Biblioteca Alessandrina di Roma e contrassegnata con il timbro "RISERVATO", che segnalava le opere escluse dalla lettura.

Foa (1935)

«Qui la biblioteca è molto ben fornita e leggo numerosi libri; mi sono fra l'altro fatto dare i Codici, mi sono rimesso a studiarli e mi accorgo ogni momento di più della mia inesausta ignoranza.»
(Vittorio Foa, lettera ai genitori, [Torino] 17 maggio 1935, p. 5. Foa era stato arrestato il 15 maggio e rimase detenuto nelle carceri di Torino fino a giugno).

«Oltre ai miei codici leggo dei romanzetti per signorina della romantica Sonzogno e cosí il tempo passa assai rapidamente.»
(Foa, lettera ai genitori, [Torino] 18 maggio 1935, p. 7).

«Continuo ad avere tutti i libri che chiedo e, per non affaticarmi troppo, alterno le letture serie e di studio, coi romanzi e coi giornali illustrati.»
(Foa, lettera ai genitori, [Torino] 22 maggio 1935, p. 8).

«Leggo molto, ma do la preferenza alle letture leggere, ai romanzi; ma questa fatuità non mi preoccupa piú che tanto, poiché so che la voglia di studiare non mi scappa, anche se qualche volta si addormenta.»
(Foa, lettera ai genitori, Torino 25 maggio 1935, p. 9).

«Il tempo restante lo occupo per lo piú nella lettura – e leggo effettivamente un gran numero di libri e di giornali e non sono mai sazio.»
(Foa, lettera ai genitori, [Torino] 29 maggio 1935, p. 11).

«Ho sempre qualche cosa da leggere e posso riconoscere con soddisfazione che dal giorno in cui fui arrestato non ho avuto un minuto di noia o di sconforto.»
(Foa, lettera ai genitori, [Torino] 1° giugno 1935, p. 12).

«anche in questi due giorni in cui ho avuto letture scarse ed insufficienti (ora avrò il permesso di usare i libri della biblioteca speciale) non ho mai avuto un istante di malinconia.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 7 giugno 1935, p. 13. Foa era stato trasferito a Roma, al Carcere di Regina Coeli).

«durante il giorno leggo – per quanto per ora abbia poco da leggere ma domani o dopodomani aspetto numerosi libri e giornali che ho richiesto [...].
In questi giorni, siccome avevo da leggere soltanto un'antologia scolastica per ragazzini, non sapendo cosa fare, mi sono rimesso a studiare a memoria tutte le poesie che avevo imparato al ginnasio».
(Foa, lettera ai genitori, Roma 10 giugno 1935, p. 14-15).

«Non ho ancora ricevuto i libri dalla Biblioteca Speciale, ma li aspetto da un momento all'altro; ho però avuto qualche romanzo ed ho comperato tutti i giornali e riviste che è possibile acquistare di qua, e cosí, coll'«Illustrazione Italiana», la «Nuova Antologia», «Critica fascista», la «Lettura» ecc. ho molte cose interessanti da leggere. Giorni fa ho ricevuto la visita del cappellano delle carceri, un giovane molto simpatico e cordiale, il quale, come preposto alla biblioteca, ha promesso di farmi avere dei libri di storia.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 14 giugno 1935, p. 16).

«Io ora ho abbastanza roba da leggere ma non sono ancora completamente soddisfatto; poco per volta però tutto si sistema.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 17 giugno 1935, p. 18).

«In questi giorni non ho modo di annoiarmi perché sono immerso in piacevoli letture; il cappellano mi ha fatto gentilmente avere alcuni libri che gli avevo richiesti e cosí mi vado rileggendo i Promessi Sposi e beando nella lettura delle Storie del Colletta che non avevo mai avuto il tempo di leggere quando ero un libero cittadino.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 28 giugno 1935, p. 22).

«la mia vita quotidiana – dedicata in massima parte alla lettura, in minima parte a fantasticherie o ricordi – varia soltanto in funzione del contenuto dei libri che leggo, e non merita quindi di essere raccontata. Certo la lettura qui dentro è una meravigliosa occupazione, poiché ci si dimentica completamente di essere fra quattro mura ed una inferriata, e si va piacevolmente in giro per il mondo e si chiacchiera con dei grandi uomini; per me poi in particolare è un vero godimento perché posso leggere libri che da tanto tempo desideravo di leggere e che, ora gli esami, ora le occupazioni assorbenti della professione, mi avevano impedito.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 1° luglio 1935, p. 24).

«Ottimo mezzo di attaccamento mondano sono i giornali e le riviste che io acquisto ogni settimana e che mi tengono informato del cammino del mondo; poi ci sono i libri: finite le storie del Colletta, mi sono immerso in quelle del Thiers; leggo poi dei romanzi vari, dei libri di filosofia ed appago la fantasia colle favole di Andersen. Cosí le giornate passano ancora abbastanza in fretta.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 5 luglio 1935, p. 26).

«Ho infine chiesto di potere tenere in cella carta penna e calamaio, non certo per risolvere le parole incrociate dei giornali, ma per rimettermi a studiare il tedesco o l'inglese, dato che posso avere delle grammatiche e dizionari dalla biblioteca delle carceri.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 22 luglio 1935, p. 32).

«La mia vita trascorre inalterata – senza alcun mutamento; l'unica nota di varietà è il cambio dei libri e l'arrivo delle vostre lettere; ora ho parecchi libri interessanti da leggere, di tutti i generi, e sono perciò soddisfatto. [...]
Sto leggendo un romanzo famoso, che ancora non avevo letto, il Viaggio al termine della notte di Céline, e vi assicuro che ne sono quasi entusiasta. Del resto quasi tutti i romanzi contengono descrizioni di disgrazie e di desolazioni di fronte alle quali la mia e le vostre impiccioliscono e la lettura non è quindi soltanto motivo di distrazione ma anche di consolazione e di fiducia.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 26 luglio 1935, p. 33-34).

«Per intanto sto leggendo, fra l'altro, le opere morali di Seneca; non c'è peggior razza dei filosofi; il trattato sull'Ira, che dovrebbe dimostrare che l'ira è un sentimento bestiale indegno dell'uomo, aveva su di me l'effetto letteralmente opposto e mi metteva in furore! Col trattato sulla tranquillità dell'anima, si va invece un po' meglio. Naturalmente leggo anche molta altra roba».
(Foa, lettera ai genitori, Roma 5 agosto 1935, p. 37).

«Cara mamma, tu che mi chiedi di indicarti qualche bel libro da leggere, non so proprio come accontentarti; di romanzi moderni attuali ne entrano pochi in queste mura; le eccezioni sono rare; per lo più sono tutti romanzetti di dieci anni fa. D'altra parte i libri che io leggo non te li posso proprio consigliare: sono belli ed interessanti, ma se non si leggono in prigione non si leggono mai piú; cosí ad es. in questi giorni mi sono riletti i Ricordi del d'Azeglio ed un grosso volume della famosa Storia dei papi del Pastor, nonché delle memorie militari sull'ultima guerra. Qui si verifica l'opposto di quanto accade fuori: i libri pesanti e voluminosi si leggono piú volentieri di quelli smilzi. Importa infatti di far passare le lunghe ore della giornata.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 16 agosto 1935, p. 40).

«Ora sto leggendo il famoso libro di Munthe su San Michele che non avevo mai letto; come vedete anche quanto a romanzi c'è qui qualcosa di buono.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 11 ottobre 1935, p. 57).

«Ho letto in questi giorni un romanzo, già famoso da parecchi anni, che ancora non avevo letto: La storia di San Michele di Axel Munthe. Se avete tempo di leggere fatevelo imprestare (non compratelo perché credo costi assai caro) e leggetelo: è proprio meraviglioso e molto divertente e piacevole oltreché bello.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 14 ottobre 1935, p. 58).

Foa (1936-1937)

«Ho letto sulle cronache vaticane dell'«Illustrazione Italiana» che la «Civiltà Cattolica» polemizza contro un articolo di Croce sulla «Critica» circa la Storia d'Italia di Don Bosco, ed accusa Croce di avere leggermente riportato un falso giudizio di Don Bosco su Mazzini; potrò avere dal cappellano quel numero della «Civiltà Cattolica», ma la «Critica» non si può avere.»
(Vittorio Foa, lettera ai genitori, Roma 1° maggio 1936, p. 101).

«Ricevo libri dalla biblioteca speciale della Direzione, che è assai ben fornita, ed anche il Cappellano non dimentica di rifornirmi di quando in quando: cosí ora mi ha inviato le Memorie inutili di Carlo Gozzi, che non conoscevo affatto, e che sono una vivace descrizione della Venezia del '700.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 22 maggio 1936, p. 110. Nelle lettere Foa menziona moltissime altre letture, senza però specificarne la fonte).

«Inoltre dalle biblioteche del carcere ricevo libri vari: memorie di guerra, novelle, commedie, classici letterari, ed anche libri inglesi che ormai leggo senza eccessiva difficoltà: cosí fra l'altro ho letto in inglese il Gulliver di Swift, purtroppo in una edizione purgata per le scuole.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 10 luglio 1936, p. 122).

«Fra i libri di lettura amena che interrompono la monotonia dei miei mattoni di studio scelgo talvolta nella bella biblioteca della direzione qualche libro di esplorazione artica od equatoriale.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 28 agosto 1936, p. 134-135).

«Sul Risorgimento ho letto, dalla biblioteca del Cappellano, la lunga e bella biografia di Agostino Bertani scritta dalla Jessy White Mario.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 4 settembre 1936, p. 137).

«ho inoltre letto un bel libro di biografie romanzesche del Croce; [...] ed infine, ieri, un tremendo libro, trovato nella biblioteca del carcere, di un tal Scortecci (La città effimera) che descrive una prigionia di guerra con un accento cosí drammatico da far realmente gelare il sangue nelle vene – libro che sarebbe consigliabilissimo per la propaganda pacifista.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 6 novembre 1936, p. 151).

«Sono contento che abbiate letto il San Michele di Munthe che ho letto qui nella biblioteca della direzione: è un libro bellissimo».
(Foa, lettera ai genitori, Roma 13 novembre 1936, p. 154).

«Di tanto in tanto nella Biblioteca del carcere si trovano inaspettatamente libri di notevole interesse: cosí ho scovato i due primi volumi della storia del diritto romano nel medio evo del Savigny, che ha assai interessato anche i miei compagni Bauer e Mila, per le questioni circa l'ordinamento municipale e la giurisdizione nel basso impero e dopo le invasioni barbariche e circa l'assetto della proprietà fondiaria sotto i Longobardi.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 12 febbraio 1937, p. 190).

«Dalla biblioteca del carcere spesso saltano fuori dei libri interessanti: cosí ho letto con piacere le memorie diplomatiche da Pietroburgo (1803-10) di Giuseppe De Maistre; appartiene alla categoria di libri interessanti «che si possono leggere solo in carcere» perché da liberi ci sarebbero da esercitare altre preferenze. La categoria dei libri «da carcere» è assai numerosa e comprende soprattutto libri di storia e classici; la sua fisionomia e la sua importanza è accentuata dal fatto che siamo sostanzialmente preclusi dalle novità estere nel testo originale. Alla stessa categoria di «libri carcerari» appartiene una Storia della Legislazione italiana di Federico Sclopis di cui ho trovato qui il primo volume e da cui, col vostro beneplacito, estraggo qualche appunto che mi interessa.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 23 aprile 1937, p. 223).

«Qui in galera ho letto sulla «Critica» di circa un anno fa, nelle sue «Aggiunte alla Letteratura della nuova Italia» un saggio sul Cagna di Benedetto Croce, che ne dice un monte di bene, soprattutto di quel Alpinisti ciabattoni di cui cita vari brani che, per quel suo magico modo di presentare le cose, sembrano sublimi. Ora, siccome ce n'è una copia nella biblioteca del carcere (circolante) sto aguzzando lo sguardo per non lasciarmela sfuggire quando passa, e, dato il mio scarso gusto letterario, sotto l'influenza di quel gran criticone, son sicuro che lo troverò bellissimo.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 28 ottobre 1937, p. 304).

Foa (1938-1940)

«In questa biblioteca ho trovato un libro di propaganda tedesca in Italia, scritto con ogni probabilità subito dopo la Marna, nel settembre 1914 (uno di quei libri che allora, distribuiti gratuitamente a decine di migliaia di copie, tutti gettavano via senza leggere, e appunto per questo costituiscono oggi una interessante curiosità).»
(Vittorio Foa, lettera ai genitori, Roma 6 novembre 1938, p. 511).

«Per riposare la mente debbo ricorrere ai libri di viaggi e di guerra di cui abbonda questa biblioteca.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 22 [gennaio] 1939, p. 554).

«Ho letto le divertenti pasquinate nella lettera di Papà: qui in questa biblioteca ci sono ben due raccolte di pasquinate ma c'è poca roba che valga.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 5 marzo 1939, p. 573).

«Ho trovato in questa biblioteca un romanzo di Barbara Allason: Quando non si sogna piú. Mi ero cacciato in mente, Dio sa come, che nell'opera della Allason l'attività del poeta fosse del tutto secondaria rispetto a quella dello storico e del critico e non mi ero perciò mai preoccupato di leggere alcun suo romanzo. Lo confesso con vergogna. Ed è una giusta punizione alla mia trascuratezza che mi appaia solo ora come una rivelazione impressionante ciò che era da tempo giudizio assodato degli intenditori. Del resto è stato un felicissimo disinganno: è un'esperienza rarissima e consolatrice quella di imbattersi in un'opera di alta e pura bellezza, come questo libro della Allason. Penso che l'autrice della Vita di Silvio Pellico sarebbe contenta se potesse sapere di questa caldissima ammirazione suscitata dalla sua opera, in prigione.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 26 marzo 1939, p. 585).

«Ho trovato in questa biblioteca l'annata del 1906 della rivista nazionalista «Il Regno».»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 27 aprile 1939, p. 606).

«Altra novità di questa vita carceraria è il ritiro di tutti i libri delle due biblioteche circolanti, fino al 10 agosto, per una revisione generale; noi abbiamo tutti i nostri libri piú alcuni di una biblioteca particolare della Direzione, ed è una fortuna: penso che disastro sarebbe stato se questa revisione fosse stata ordinata l'estate del mio arrivo a Roma quand'ero isolato e senza libri miei. E sí che le prime settimane, colla sola biblioteca circolante normale c'era poco da stare allegri; per prima cosa mi affibbiarono un'antologia per studenti ginnasiali e non mi rimase altro da fare che imparare a memoria [...] «Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco ecc.». Ma anche questo non bastava, mancava ancora un giorno al cambio; allora tradussi quelle poesie in un francese maccheronico, che conservasse il ritmo del verso itahano, e imparate a memoria anche queste versioni, bene o male la giornata passò. La seconda settimana fui piú fortunato, mi toccò un romanzo della Buona Stampa, Il precursore di Sherlock Holmes, scritto una cinquantina di anni fa da un clericale che piú nero di cosí è difficile immaginare; [...] una lettura divertentissima, e siccome non avevo altro me lo lessi due volte al giorno per una settimana: esattamente quattordici volte.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 9 luglio 1939, p. 649).

«Ho riletto i giorni scorsi alcuni romanzi che tanto mi avevano commosso durante la mia adolescenza e devo dire che ne ho tratto un'ottima impressione. Prima di tutto un'opera di grande poesia epica, le storie di Mowgli e gli altri racconti indiani di Kipling che ho qui trovato in due volumi regalati alla biblioteca da Sion [Segre], è una lettura particolarmente propizia alla vita carceraria, dopo un po' si dimentica di essere chiusi in una scatoletta e ci si sente trasformati in qualche belva in libera corsa nella giungla, oppure in una mangusta nel fresco di un giardino. [...]
Ho poi letto il quarto volume della grande e bella Storia del Risorgimento del prof. Spellanzon; è un singolare esempio di operosità quest'opera cosí vasta e complessa, che dimostra una consultazione accurata di fonti sterminate, e condotta da un uomo solo! [...] Io ho avuto la fortuna di poter leggere quest'opera dalla biblioteca speciale della direzione che spero continuerà ad acquistare i successivi volumi man mano che usciranno.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 6 agosto 1939, p. 661-662).

«In queste varie biblioteche ho trovato alcuni volumi interessanti [di arte militare]; fra l'altro quest'estate ho letto un trattato di un ammiraglio italiano che prevedeva nettamente i caratteri della guerra navale cui stiamo assistendo».
(Foa, lettera ai genitori, Roma 17 dicembre 1939, p. 725).

«Quanto al volumetto del Ricci [Umberto], se non è possibile farne a meno ritiratelo voi pagandone il prezzo: vuol dire che prima di andar via lascerò la mia copia a questa biblioteca.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 18 febbraio 1940, p. 773).

«Cerco di ammazzare la noia della solitudine colla lettura, e in previsione di questo periodo avevo tenuto in serbo alcuni volumi: purtroppo si tratta di grossi mattoni, libracci di diritto, di scienza, di storia, mancano delle letture leggere e in questa partita, dopo tanto tempo, le varie biblioteche del carcere non possono piú soccorrermi, e se mi metto a comprar romanzi arriveranno quando non ne avrò più bisogno.»
(Foa, lettera ai genitori, Roma 19 maggio 1940, p. 825).

Foa (1940)

«Qui di romanzi che ancora non avessi letto ho trovato poca roba: un grazioso e spumeggiante racconto di Somerset Maugham che forse conoscerete, Ritratto di un'attrice, con due sapide novelle al fondo, e un mediocre romanzo della scrittrice americana Pearl Buck, Figli. È il seguito de La buona terra, ma infinitamente inferiore al precedente. Sono rimasto sorpreso di trovare qui un diffusissimo entusiasmo per il romanzo della Mitchell Via col vento che forse voi conoscete [...]: è un romanzo che, malgrado il suo successo, non manca di pregi; ma, appunto perché si può valutarlo sulla base di «pregi», è segno che rimane al di sotto della sfera estetica. [...] In fondo la lettura di romanzi è in galera uno dei mezzi più indicati per mantenere il contatto con i mutamenti dello spirito pubblico coll'andar degli anni: evidentemente quel che interessa non è l'argomento del romanzo ma la mentalità generale dell'autore.»
(Vittorio Foa, lettera ai genitori, Civitavecchia 9 settembre 1940, p. 863. Nel giugno 1940 Foa era stato trasferito dal carcere di Regina Coeli a quello di Civitavecchia. Per varie letture menzionate nelle lettere da Civitavecchia non è specificata la fonte).

«Giusto pochi giorni fa leggevo, da questa Biblioteca carceraria, un libro della sua Mamma [di G.C. Wieck], su Bettina Brentano, la giovane amica di Goethe. È anche questo un gran bel libro, come gli altri della Allason, rievocazione storica intessuta di poesia».
(Vittorio Foa, lettera ai genitori, Civitavecchia 30 settembre 1940, p. 868-869).

«Un interessante ricordo di cose note e famigliari, di Capo Berta, della Casa Rossa, del mare di Oneglia, mi è stato procurato dalle Lettere di Jacopo Novaro ai suoi genitori che ho trovato in questa Biblioteca. Conoscete?»
(Foa, lettera ai genitori, Civitavecchia 29 ottobre 1940, p. 878).

Foa (1991a)

«A quindici anni ero al Liceo Massimo d’Azeglio, attorno al quale si è creata una specie di leggenda antifascista. [...] Il più noto dei nostri insegnanti, Augusto Monti, era un sincero antifascista e fu poi condannato con me dal tribunale speciale nel 1936; egli non disse mai nelle sue lezioni la parola «libertà» ma ci leggeva Dante, Boccaccio e Ariosto in modo da farci capire che l’arte è un valore che non può essere contaminato dalle contingenze economiche o politiche. In sostanza l’insegnamento non era contro il fascismo, era oltre il fascismo. [...] Monti era l’insegnante responsabile della biblioteca dell’istituto; suo aiutante era Leone Ginzburg. Lo conobbi lì, ero andato a chiedere che mi dessero un libro di Benedetto Croce; Leone mi diede da leggere il Breviario di estetica

(Vittorio Foa, Il cavallo e la torre, p. 26-27).

Foa (1991b)

«Intanto davo esami, senza frequentare, alla facoltà di Legge. Conobbi Achille Loria, decrepito e poco rispettato. Luigi Einaudi e Pasquale Jannaccone erano molto autotorevoli ma non ebbero influenza su di me. Contò invece molto Francesco Ruffini; il suo rifiuto di giurare fedeltà al fascismo me lo fece amare molto, tanto che poi lessi tutti i suoi libri (soprattutto in carcere) e mi appassionai agli eretici italiani del Cinquecento, ai giansenisti e persino al giovane Manzoni.»
(Vittorio Foa, Il cavallo e la torre, p. 30).

«È logico che nella mia attività cospirativa in Giustizia e Libertà così come poi nei primi tempi del carcere io diventassi violentemente antigiolittiano. Le letture carcerarie rianimarono poi il mio apprezzamento tutto torinese per l'ordine e la mediazione, che ovviamente presupponevano disordine e conflitto.»
(Ivi, p. 53).

«Ma cosa è stato per me l'agire politico durante la lunga carcerazione? In apparenza mancava lo stesso presupposto di qualsiasi agire politico, cioè la possibilità di comunicare: non potevamo leggere giornali quotidiani, solo qualche rivista illustrata. Non potevamo ovviamente avere libri politici e anche per l'acquisto di libri normali, scientifici o letterari, occorrevano molti mesi. Posseggo documenti di archivio per i miei acquisti di libri: la domanda fatta al direttore passava al ministero della Giustizia (direzione degli Enti di prevenzione e di pena), di lì passava al ministero dell'Interno (direzione di Pubblica sicurezza) fino al capo della polizia, per tornare poi indietro con la stessa trafila fino a me. Non ho avuto, salvo per pochi mesi a Civitavecchia, il permesso di scrivere appunti, potevo solo corrispondere una volta la settimana con i genitori e i fratelli, le lettere erano censurate con un inchiostro che rendeva illegibili anche le parti innocenti e comunque eravamo attenti ad autocensurarci proprio per impedire quello scempio: i colloqui coi genitori erano rari e controllati (a Regina Coeli persino con un microfono).»
(Ivi, p. 90-91).

Fofi (2009)

F. «Ma oltre a Martin Eden, al Lupo dei mari e a tanti bellissimi e durissimi racconti, per me il libro più importante di London è stato Il tallone di ferro, lasciando da parte l’idealizzazione del super-eroe rivoluzionario che ne è protagonista.»
P. «[...] Ma perché ti sembra ancora fondamentale quel libro, che pochi ormai ricordano?»
F. «Va detto intanto che è stato un libro di base nella formazione di tanti militanti proletari, una volta lo trovavi spessissimo nelle biblioteche delle case del popolo, nelle sedi del sindacato, nelle sezioni comuniste. Ma ha ancora una sua validità per il quadro che propone, in verità tremendo, di un futuro dove, se la lotta tra capitale e lavoro venisse vinta dal capitale (e così è stato!), ci si troverebbe in piena barbarie».

(Goffredo Fofi, La vocazione minoritaria: intervista sulle minoranze, a cura di Oreste Pivetta).

Formiggini (1928)

«CARISSIMO LETTORE,
ti voglio raccontare una cosa in gran segreto: tu non farne parola con nessuno perchè c'entra una bella signora e bisogna andarci piano. E' una signora che io non ho mai veduta e ho detto «bella» per cortesia e per cavalleresca intuizione: mi risulta solo che era molto elegante. E lo sarà certo ancora.
Il fatto avvenne nel 1921. Nel verde aprile di quell'anno io aprii nei cuore di Roma (in palazzo Doria a Piazza Venezia) una Biblioteca Circolante modello con un nucleo iniziale di 16.000 volumi, e dissi ai primi che entrarono: state tranquilli, quello che manca lo comprerò a poco a poco, affinchè possiate essere tutti contenti.
Fra i primi ad accorrere ci fu quella tale signora, la quale pagò i quattro soldarelli di abbonamento, rovistò nervosamente lo schedario, e, non avendo trovato non so qual libro che cercava, concluse: – Ma insomma, qui non c'è niente da leggere!
E se ne andò. Tu l'hai più vista? Io neppure.
Se quella benedetta signora avesse avuto pazienza, si sarebbe accorta che la maggior parte dei 16.000 volumi che io le offrivo non li aveva letti e che avrebbe fatto bene a leggerli. Nel frattempo io le avrei ammannito sempre nuovi libri, tanto è vero che, ora, ne ho più di 30.000 e per un valore di copertina di circa mezzo milione.
Tu che apri questo Dizionario, non fare come quella signora e non metterti a dire che non ci si trova nulla o nessuno.».

(A. F. Formiggini, in: Chi è?: dizionario degli italiani d'oggi, Roma, Formiggini, 1928, p. 5).

Fornari (1874)

«Servizio al pubblico.
1. Sono tra ottanta e novantamila i lettori che accoglie ogni anno la Biblioteca [nazionale di Napoli]: oltre a parecchie migliaia di visitatori, che si contentano di guardare le miniature di qualche codice, o soltanto di udire nella gran sala i suoni ripetuti dall’eco trentadue volte.
Con precisione, i lettori nel 1870 furono 80831 e nel 1871 90928.
E sono circa il doppio di numero le opere date in lettura, cioè nel 1870 furono 201242 e nel 1871 169935.
Né saranno minori, come pare, le somme che si raccoglieranno alla fine di questo anno. [...]
3. Le sale ordinarie di lettura sono tre; e in una di esse son disposti, quanti ne capono negli scaffali intorno intorno e sulle panche nel mezzo, Atti di accademie e Periodici di materie scientifiche e letterarie. In cotesta sala vengono ammessi i lettori i quali non occorra di vigilare.
4. Dal 1861 fu cominciato a dare opere in lettura fuori della Biblioteca a personaggi ragguardevoli. Nel 1869 furono con R. Decreto fissate le norme del prestito e della restituzione. Oltre de’ casi considerati in quel Decreto, accade qualche volta che domandino di ufficio qualche libro o magistrati dell’ordine giudiziario o ufficiali amministrativi di alto grado.
5. Il tempo che la Biblioteca resta aperta a’ lettori1, è di sei ore in tutti i giorni. È chiusa gli ultimi quindici di ottobre, e i dì festivi designati dal calendario ufficiale del Regno.
6. Nè questo orario però, nè gli allegati numeri dei lettori annui e delle opere date a leggere, porgono la misura esatta del lavoro che vi si fa e del servizio che si rende agli studii. È da por mente più tosto alla qualità de’ lettori e alla varietà delle richieste.
Non a tutti e non la maggior parte sono scolari che vengono a fare soliti studii pe’ soliti corsi; ma il più è gente che studiano ad altro fine, e ci tornano tutti i giorni, e parecchi ci stanno per sei ore continuate, o poco meno, cambiando i libri, non restando di leggere. Pittori, scultori, architetti ne vengono parecchi ogni dì, a studiare o guardare libri appartenenti alle arti loro. Parecchi eziando studiosi di archeologia, di notomia, di scienze naturali, a domandare opere figurate e di gran prezzo, che si danno a leggere senza difficoltà, ma sotto gli occhi di un impiegato. Parecchi non vengono a chiedere questo o quel libro, ma a domandare: Che libri ci sono utili per questo o per quest’altro studio? E a loro si danno indicazioni a voce, ovvero si presentano i cataloghi per materie, che sono manoscritti, e non ce ne ha che una copia, e però deve assisterci un impiegato necessariamente. Maggiore assistenza, e de’ più abili, richiedono i dotti, italiani e stranieri, che vengono a studiare ne’ manoscritti o nelle altre collezioni, a’ quali si dà l’entrata nelle sale stesse delle collezioni. Di costoro ce n’è due o tre ogni giorno; e quest’anno, dal primo di gennaio all’ultimo di settembre sono state 437 le persone venute a studiare in 1020 de’ nostri manoscritti.
Per le dette cause avviene che molti giorni dell’anno, oltre alle sale di lettura che si affollano, si veggono lettori in tutte le sale interne, e che tutti gl’impiegati, o quasi, dal primo all’ultimo attendono al servizio della giornata. Ci è stato giorni, ma rari, in cui i lettori hanno passato i cinquecento, pigliando posto nella gran sala. La fastidiosa fatica di tali giorni è confortata dal pensiero del servigio vero che si fa agli studii, e dalla speranza che la vera dottrina non venga discacciata da questa petulante maschera di scienza che vuole invadere il campo.

1 REGOLAMENTO DELLA BIBLIOTECA
                      CAPO V.
                 Servizio pubblico.

Art. 38. La Biblioteca sarà aperta al pubblico in tutti i giorni, eccetto i festivi, dalle ore 9 a. m. alle ore 3 p. m.
Art. 39. Essa sarà chiusa al pubblico nella seconda metà di ottobre di ogni anno, ma gl’impiegati tutti dovranno intervenirvi per attendere a’ lavori di cataloghi, all’ispezione degli armadii, alle riparazioni e a tutto che potrà occorrere.
Art. 40. Gli studiosi possono richiedere fino a tre volumi in una volta. Essi sono tenuti di scrivere sul dorso di un polizzino, che ricevono all’entrare, il libro desiderato.
Art. 41. Il polizzino sarà consegnato ai distributori, i quali cureranno di portare il libro.
Art. 42. Gli studiosi e gl’impiegati serberanno il maggior silenzio nelle sale di lettura. È loro proibito di scrivere o disegnare in su’ libri o di lucidare. Saranno, contravvenendo a questi regolamenti, da prima avvertiti, e ostinandosi, potranno, col consenso del Prefetto, essere invitati ad allontanarsi.
Art. 43. Non potrà lo studioso uscire dalla sala, se prima il libro restituito non venga verificato per lo stesso del polizzino.
Art. 44. È vietato di portar libri e stampe nella Biblioteca, sotto pena della confisca delle opere in pro della Biblioteca.
Art. 45. È parimenti proibito di portare ombrelli e bastoni, e si dovrà lasciarli al portinajo, che li conserverà, senza ricevere per ciò mancia alcuna.
Art. 46. Vi sarà nella Biblioteca una sala destinata agli accademici ed altre persone notabili, i quali potranno studiarvi, senza limitazione del numero de’ volumi. Alla sala sarà addetto un distributore ed un bidello a scelta del Prefetto.»
(Vito Fornari, Notizia della Biblioteca nazionale di Napoli, pp. 33-38).

Fortini (1993)

«La lettura mi è stata quasi sempre conflitto e costrizione volontaria. So di essere stato capace di attenzione sostenuta, anzi fortissima, persino esasperata: lo 'studio' nel senso del modo 'studiarsi di'. Ma dopo aver fantasticato invidiosamente intorno all'agio delle biblioteche e del sapere libresco, so di non essere stato, in questo, né Faust né il Famulus. Qualche volta ho subito la tentazione, anche puerile, di travestirmi da erudito. Nella grande sala Secondo Impero della Bibliothèque Nationale, l'incanto della cerimonia di attesa del turno, tenendo in mano il tesserino plastificato, la discesa ai cataloghi, il paralume... Niente, non era stata altro che una vecchia musica di nostalgia e consolazione: ritrovarmi come quando ero poco più che ragazzo fra i legni scuri e i plutei delle biblioteche di Firenze. Meglio allora l'aria sportiva delle libraries anglosassoni, con le ragazze accucciate sulle moquettes.
Posso leggere seriamente solo a casa mia. A Milano, lavorare nelle biblioteche è impossibile, tutti lo sanno. Non ho rapporti con l'Università. Spesso sono costretto a chiedere alla cortesia di un conoscente un'informazione o una conferma per interurbana. Non è solo la mancanza di spazio a limitare il numero dei libri. È una deliberata rinuncia, una scelta ormai definitiva.».
(Franco Fortini - Paolo Jachia, Fortini leggere e scrivere, p. 9-10)

«Mia madre, invece, la ricordo leggere, sebbene di pochi studi, secondo lo schema ottocentesco che assegnava alla 'signora', piuttosto che alla 'signorina', il ruolo di lettrice di romanzi. Mia madre era abbonata alla Biblioteca Circolante Vieusseux. Leggeva molti romanzi, soprattutto francesi, tradotti o in originale. Volumi con la copertina gialla delle edizioni del “Mercure de France”, che stanno sui tavoli dei personaggi di Van Gogh, li ho visti per casa. Ma più spesso quelli della Biblioteca Vieusseux con la copertina rilegata, molto robusta e maculata di color grigio marrone con su incollato un biglietto a stampa, con un ex libris. Ogni tre o quattro giorni mia madre andava a cambiare quei libri alla sede del Vieusseux e vi prendeva in prestito anche libri per me. Certi libri che, come si diceva, non erano “adatti alla mia età” devono avermi raggiunto in quel tempo. Penso a Lucio D'Ambra o Luciano Zuccoli.».
(Ivi, p. 19)

«Lessi nella Biblioteca Marucelliana la collezione di “Lacerba”. Ero curioso di quel momento delle avanguardie che corrispondeva alla giovinezza di mio padre. Posso oggi credere che ne assorbissi assiduamente tutto quel che si riferiva ai confini politici, di cui altrimenti non si parlava.».
(Ivi, p. 28)

Franchini (1957)

«È noto che Papini giovane, avido di studio e di sapere, trovava il suo pane quotidiano nelle biblioteche fiorentine e nei gabinetti di lettura di quel tempo, e fu proprio in una biblioteca che trovò, una mattina, un duplice dono: il sapere e l’amore; cioè incontrò la futura compagna della sua vita, Giacinta Giovagnoli, la quale gli fu presentata da un amico comune, Giovanni Vailati. [...]
Ebbi la prova dell’elevatezza degli affetti di Papini verso sua moglie quando, molti anni or sono (nel 1947) per il suo genetliaco, volle che l’aiutassi in un paziente e segreto lavoro, allo scopo di prepararle un omaggio fuori dal consueto. Mi ordinò di comprare da Alinari un album artistico in pelle con fregi d’oro, poi egli stesso prese in biblioteca l’«Opera prima» ed insieme ci chiudemmo a chiave nello studio affinché nessuno ci vedesse e ci disturbasse.
– Ora mi detti queste poesie, – disse consegnandomi il volume aperto a una certa pagina, e aggiunse scherzando – lei è maestro ed è abituato a dettare...
Così dicendo aprì l’album alla prima pagina e con molta pazienza e con tutta la precisione e l’attenzione che il lavoro richiedeva, copiò tutte le poesie dedicate a sua moglie in gioventù, alle quali ne aggiunse altre scritte per la circostanza. Il lavoro, così impegnativo, durò qualche giorno e alla fine ne uscì un saggio calligrafico preciso, pulito, ordinato, come forse non ne aveva mai fatto in vita sua. Papini ne fu veramente soddisfatto e non lo vidi mai tanto lieto come il giorno della festa in cui poté offrire quell’album alla signora Giacinta.»

(Vittorio Franchini, Papini intimo, p. 22-23)