LE TESTIMONIANZE

L&L si propone di raccogliere e mettere a disposizione testimonianze di ogni genere relative all'utilizzazione di biblioteche di
qualsiasi tipo, contenute in scritti autobiografici, diari, memorie, interviste, carteggi, ecc., ma senza escludere testi narrativi o creativi (romanzi, poesie), per restituire la dimensione soggettiva ed esperienziale, sia positiva sia negativa, dell'uso delle biblioteche.
Sono comprese, quando è utile, anche fonti un po' diverse come articoli di giornale, inchieste, materiali promozionali, ecc.
Alle testimonianze si affianca una scelta di documentazione iconografica (utilizzabile anche a scopo didattico), relativa alle biblioteche considerate, ai loro locali e alle loro attrezzature, indispensabile per la piena comprensione delle testimonianze stesse.

N.B. La casella di ricerca qui sotto opera soltanto sul titolo della testimonianza (di norma, cognome dell'autore e anno).
Per testimonianze relative a singole biblioteche vedi l'Indice delle biblioteche, per quelle di/su singole persone vedi l'Indice delle persone, per quelle relative alle biblioteche di una singola località vedi l'Indice delle città.
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Risultati della ricerca

Ginzburg, Natalia (1963)

«Un matrimonio in provincia: romanzo della marchesa Colombi, uscito nel 1886, letto da me nel 1928 (se ricordo bene), sconosciuto a tutti, introvabile oggi in ogni libreria italiana, rintracciabile solo in qualche biblioteca. Durante la guerra, io lo mandai da leggere a Pietro Pancrazi, avendolo preso a prestito da Vieusseux (la mia copia, comprata appunto forse nel 1928 da mia madre su una bancarella di libri vecchi e foderata in carta da droghiere, l’ho perduta). Pancrazi lo giudicò grazioso: ma non abbastanza significativo da acconsentire a ristamparlo nella collana di Le Monnier.»

(Natalia Ginzburg, Ignora il conformismo la marchesa Colombi, «Il giorno», 4 dicembre 1963. Cfr. Breviario di uno scrittore: scritti, lettere e pareri editoriali (1944-1966), a cura di Domenico Scarpa, «Autografo», n. 58 (2017), p. 67-198: 175).

Ginzburg, Natalia (1973)

«Cara mamma,
Ti ringrazio delle tue lettere. Ti scrivo in fretta perché lascio il Sussex e parto per Leeds con una ragazza che ho conosciuto qui. [...]
Io a Leeds non so ancora dove starò, ma puoi mandarmi i soldi presso la madre di questa ragazza, di cui ti accludo l’indirizzo in fondo. Allo stesso indirizzo, mandami per piacere I Prolegomeni di Kant. Anche questo lo vorrei con una certa urgenza. Lo trovi nello scantinato. Qui esiste, ma in inglese, e io lo trovo già difficile in italiano. Si troverà forse in biblioteca, ma io non sono amico delle biblioteche. Grazie.»

(Natalia Ginzburg, Caro Michele, p. 97-98).

Giolitti (1922)

«Nei cinque anni che passai al Ministero di Grazia e Giustizia ed al Gabinetto del Ministro, oltre il lavoro ordinario, io fui occupato più specialmente a raccogliere elementi e materiali per la grande Commissione, nominata da Miglietti, che preparava la compilazione del Codice Civile. Avevo a mia disposizione la biblioteca, con tutti i principali autori italiani e forestieri; e quel lavoro e quello studio servirono assai a formarmi una cultura giuridica, che mi fu poi sempre di grande aiuto. Il Governo era in quegli anni passato a Firenze, ed io l'avevo seguito, essendo sempre addetto alla Segreteria Generale.»

(Giovanni Giolitti, Memorie della mia vita, vol. 1, p. 12)

Girardon (1910a)

«La Biblioteca Marciana
Sono passati circa cinque anni, dacchè la Biblioteca Marciana venne trasportata nel vecchio Palazzo della Zecca, a specchio della laguna, come Petrarca l’avea immaginata. Il [Carlo] Frati, bibliotecario successo al [Salomone] Morpurgo, l’ha benissimo riordinata. Egli ha sistemato i cataloghi a casellario, correggendo e fondendo le precedenti a volumi e schede Staderini, ponendo i cataloghi in sala di lettura; ha diviso gli incunaboli veneziani dai non veneziani; ha sceverato i completi dagli incompleti. Occorrerebbero ancora restauri a libri rovinati, ma mancano abili restauratori. La suppellettile libraria è vastissima e proviene da fonti diversissime: da conventi soppressi, da biblioteche lasciate in eredità, da acquisti. Negli ultimi tre anni sono entrati alla Marciana 20000 volumi. Naturalmente l’arte e l’arte veneta in modo speciale, la letteratura e storia, e quelle venete in modo particolare, sono state le categorie preferite. Non mancano però le principali opere dei grandi filosofi, ma certo v’è una soverchia preponderanza di opere di erudizione e filologia. Molto giustamente si è severi nella compera di romanzi e di poesie: ma purtroppo ci si attiene un po’ al criterio degli autori arrivati alla fama e se ne comperano le ultime opere spesso non le migliori. Vi sono eccezioni e diseguaglianze curiose: per esempio, tutto Maupassant e soltanto tre o quattro volumi di Balzac. Ma l’opera amorosa del Frati è sempre da lodare, data soprattutto la scarsa dotazione di 20000 lire.

Il concorso del pubblico
Il concorso dei lettori, e soprattutto dei lettori locali non è proporzionato all’importanza della Marciana: esso è inferiore a quello di altre biblioteche d’entità senza confronto minore.
La media giornaliera dei visitatori è di circa un centinaio nel periodo invernale, e di una cinquantina nel periodo estivo: l’affluenza aumenta nei mesi di primavera e prima estate quando in Venezia si riversa il mondo cosmopolita. Frequentate sono le sale riservate. Vero è che tra i lettori [...] molti curiosi e semi-oziosi [...] l’Indicatore generale per trascrivere indirizzi, di riviste illustrate di carattere popolare o di libri di frivolo argomento, ma questi individui si tende costantemente ad allontanarli col rifiutare loro le opere o col non ammetterli addirittura alle sale: in questo numero sono dei giovani frequentatori di ginnasi e di scuole tecniche che verrebbero a meditare sul Baffo e sul Casanova. Il numero delle opere date in prestito in città in uno degli ultimi anni (scelgo la cifra più alta) è di circa 2000 libri: pochini se si considera che la città ha circa 200.000 abitanti, e che molti libri sono richiesti da forestieri; molte opere sono prestate fuori della città.
Le letture sono ecletticissime, soprattutto di materia letteraria e artistica, poco la critica, poco le scienze sociali e giuridiche, pochissimo le filosofiche. Nelle lettere: letterature antiche e classiche e la ricca produzione moderna nazionale e forestiera; nell’arte: testi e monografie artistiche, italiani, francesi, tedeschi, inglesi: adorato il Ruskin! scarse le letture di buona poesia. Faccio alcuni nomi degli scrittori più letti: Hugo, Zola, Maupassant, Flaubert, France, Bourget, Taine, D’Annunzio, Fogazzaro, Verga, Serao, Baretti, Neera, Deledda, Butti, Tolstoi, Gorki, Ibsen, Suderman, Dostoyewski, Goethe, Pascal, Carlyle, Nietzsche, Marx, Barzini, Negri, Pascoli, Panzacchi, Stecchetti, Luzio, Abba, Del Lungo, Castelnuovo Enrico, Carducci, Graf, Ojetti, De Amicis, Manzoni ecc. Come ho detto scarsissime le letture filosofiche: su 20.000 richieste solo una settantina saranno di scienze speculative che metafisica vera. Predominante la lettura dei positivisti, e prescelti Spencer e Ardigò. Qualche rarissima avis, professore di liceo o libero studioso, consulta il Kant, l’Hegel, lo Spinoza ecc. nella collezione curata dal Croce.
Le riviste: molte, oltre cento cinquanta, ma poche le importanti. Pochi i desiderata e s’aggirano per lo più su libri di storia, di grammatica, di giurisdizione, di linguistica, di arte, di sociologia: ci si sente spesso lo zampino degli insegnanti. Di filosofia solo due libri in 20 anni (!) e richiesti anche da un pastore evangelico tedesco! Povera e nuda...».
(Mario Girardon, Venezia. II, «La Voce», 2, n. 32 (21 luglio 1910), p. 363-364: 363)

Girardon (1910b)

«La Fondazione Querini Stampalia
Sorta per legato del conte Giovanni Querini-Stampalia († 1869), ha per obbligo testamentario la pubblica beneficenza e la diffusione del sapere tra le persone studiose. Oltre una grossa borsa di studio di 10000 per un giovane veneto, un sussidio di 3000 lire all’«Istituto veneto di scienze ed arti» ha aperta una biblioteca nei sontuosi locali del Palazzo Querini.
Avversata dalla fortuna per molto tempo, la Querini risorge ora a vita novella, più che per opera del Consiglio di Curatela, per le utili iniziative del suo nuovo bibliotecario Arnaldo Segarizzi.
Il fondo primo è costituito dalle 8000 opere della vecchia biblioteca Querini e da alcune migliaia di opuscoli e da oltre mille manoscritti.
E di recente fu riordinata tutta la mole libraria, curando la revisione dei manoscritti, il raggruppamento degli incunaboli e delle aldine, aprendo per gli studiosi una sala di consultazione, che raccoglie opere: di carattere generale, di filosofia e teologia, giurisprudenza e sociologia, letteratura, storia e geografia, belle arti, scienze pure e applicate, tecnologia e sezione veneta riunendo le collezioni, le opere in continuazione, i periodici gli atti accademici e miscellanee in sezione propria, non trascurando le stampe e le carte geografiche importanti e i duplicati, in forte numero alla Querini, dividendo infine la biblioteca in due parti: antica e moderna. Così agli studiosi saranno presto adibite le compilazioni di cataloghi speciali di raccolte e di stampati e gli inventari dei manoscritti. Da poco è stato iniziato un catalogo reale superiore praticamente all’altro sistematico.
In quanto ai nuovi acquisti (sono 10000 lire annue da spendere) considerato che le discipline storiche e letterarie, le artistiche e le scienze pure, trovano ricetto in altre istituzioni cittadine, alla Querini si è badato di aiutare le scienze applicate, cioè l’ingegneria, il commercio, la giurisprudenza, ecc. anche per riempire le lacune della specializzazione di certi studi intensivi moderni, che in un centro come Venezia non devono mancare: da questo lato si può dire che questa biblioteca integri e completi la Marciana. Un tale criterio fu seguito anche pei periodici, quasi in numero di 200 (una trentina sono in comune colla Marciana) italiani, tedeschi, francesi, inglesi, spagnuoli scelti con raro acume, eleggendo sempre le pubblicazioni che offrono risultati o conclusioni di studi sulle materie suaccennate. Infatti vi sono 15 riviste di diritto, una diecina per la medicina, una diecina per l’ingegneria, scienze delle costruzioni, architettura, una diecina per l’arti decorative e una diecina per l’amministrazione, le quali tutte interessano i soli professionisti.

Il concorso del pubblico
La Queriniana possedendo più che altro scienze tecniche è ben naturale che vi sieno vuoti spaventosi in filosofia, religione, in morale e in generale tutto ciò che riguarda le scienze del pensiero: la maggior parte dei frequentatori – quasi nella stessa media della Marciana – sono perciò avvocati, medici, architetti, ingegneri che esaminano i periodici attinenti alle loro arti e professioni. Come la biblioteca è aperta dalle 15 alle 23 (completando l’orario diurno della Marciana) vi concorrono giovani delle scuole medie dai sedici anni in su, i quali, e non sono i soli, vanno ricercando le riviste e i periodici, largamente usati alla Querini, per quanto si sia cercato di togliere alla biblioteca quel suo primitivo aspetto di gabinetto di lettura. In generale le letture vertono, per quanto è concesso dal materiale romantico e letterario, sugli stessi autori che abbiamo visto alla Marciana: molte letture si fanno sulle scienze positive, quasi niente sulla filosofia e religione, parecchio sulla storia, ma più sulle monografie e i documenti e curiosità storiche che sui testi di idee e di pensiero: le altre sono riservate alle scienze tecniche, giuridiche, amministrative e alle solite critiche e storie d’arte. Confortante il fatto che, diminuendo il numero dei lettori, cresce la richiesta delle opere serie. Non sarebbe il caso di aprire una sezione riservata alle letture filosofiche?».
(Mario Girardon, Venezia. II, «La Voce», 2, n. 32 (21 luglio 1910), p. 363-364: 363)

Gnoli-D'Ancona (1877)

«È venuto il momento in cui mi farebbe assai comodo d'avere quel ms. contenente Sonetti Romaneschi, che mi diceste aver veduto nella Biblioteca di Weimar. Voi mi faceste in proposito delle gentili offerte. Vi prego pertanto d'ajutarmi o d'istruirmi perché io possa ottenere il mio intento: e anticipatamente vi ringrazio.»
(Domenico Gnoli, lettera a Alessandro D'Ancona, Porto d'Anzio 24 ago. [18]77, p. 33).

«Scrivendo a Weimar mi farò dar notizia dì quel poeta romano della fine del secolo passato, del quale già vi parlai, e vi comunicherò la risposta.»
(D'Ancona, lettera a Gnoli, [Pisa ago./set. 1877], p. 34).

«[Gaetano] Ferrajoli e [Ernesto] Monaci mi dissero che avevate scritto in Germania pel ms°. da me desiderato, e ve ne ringrazio. Scusatemi se torno a infastidirvi: vorrei sapere se vi hanno risposto e che cosa, se o quando potrò averlo. Mi servirebbe per un lavoretto che tengo sospeso, aspettando.»
(Gnoli, lettera a D'Ancona, Roma 21 ott. [18]77, p. 35).

«Stavo appunto pensando che il vostro silenzio era un po' strano, avendo io scritto a voi dal 20 dello scorso mese, cioè immediatamente dopo avuta risposta da Weimar. Forse la cartolina andò smarrita per mancanza di indirizzo, da me allora ignorato. La risposta è questa. Dirigetevi a Weimar al Dr. Scholl come Oberbibliothekar, chiedendogli i codd. Q. 594, e Q. 595, contenenti B. Micchele, Poesie in lingua romanesca e La Libbertà romana acquistata e difesa; lo Scholl al quale siete noto come autore degli Amori ecc. posseduti dalla Biblioteca, officierà il Ministero perché il prestito vi sia concesso. Voi dovrete dire quanto terrete i manoscritti.
Duolmi che per colpa non mia il vostro lavoro sia incagliato.»
(D'Ancona, cartolina a Gnoli, [Pisa 23 ott. 1877], p. 36. L'archeologo Gustav Adolf Schöll (1805-1882) diresse la Biblioteca Ducale di Weimar dal 1861 al 1880).

«Ricevetti la vostra seconda Cartolina, ma non la prima. Ho scritto all'Oberbibliot., e aspetto risposta. [...] Intanto vi ringrazio.»
(Gnoli, cartolina a D'Ancona, Roma 7 nov. [18]77, p. 37).

Gnoli-D'Ancona (1880-1912)

«Io vorrei incominciare il mio corso [all'Università di Torino] coll'anno nuovo, ma aspetto in proposito una lettera del Lessona. Se egli mi dice d'andar prima, comincerò col Decembre; altrimenti profitterò di quel mese per studiare nella Vaticana i mss. del Mazzucchelli.»
(Domenico Gnoli, lettera a Alessandro D'Ancona, Roma 16 nov. [18]80, p. 90).

«Il libro ti è stato richiesto in seguito a insistenti istanze di lettori, che lo ricercano per apparecchiare le prossime feste carnevalesche. A Quaresima non servirebbe più. Se proprio ti serve, è giusto che tu abbi la preferenza. Se poi potessi tu riprenderlo a Quaresima, sarebbero contentati tutti. L'altro libro ti è stato richiesto... ma coll'indirizzo della locanda dove tu eri qui in Roma, e che scrivesti nella scheda di richiesta. Lo rimanderai appena ti sarà servito.»
(Gnoli, cartolina a D'Ancona, Roma 29 gen. [18]85, p. 133. Dall'ottobre 1881 Gnoli era diventato prefetto della Biblioteca nazionale di Roma. Non risulta quali fossero i due libri che D'Ancona aveva in prestito).

«Il libro da te desiderato non esiste né in questa biblioteca, né all'Angelica, né alla Vallicelliana. Cioè, in questa biblioteca c'è qualche cosa di simile. Il titolo è: Historia de' santi devotis/simi Pietro e Paulo Apostoli di Christo / Con il loro martirio et morte / Et come furono trovati li loro beatissimi Corpi / in un pozzo. A questa intitolazione seguono le figure silografiche di S. Pietro e S. Paolo, e immediatamente cominciano le 30 ottave che compongo[no] l'Historia. L'opuscolo non ha note tipografiche; ma l'edizione è certamente della seconda metà del sec. XVI.
Non ho ancora risposta dalla Casanatense né dalla Corsiniana. Se ci sarà qualche cosa, subito te la comunicherò.»
(Gnoli, lettera a D'Ancona, Roma 6 lug. [18]87, p. 139. Non è conservata la richiesta d'informazioni di D'Ancona).

«Non ti disperare nell'idea che in Italia non si possa lavorare per mancanza di sussidi. L'edizione da te desiderata è segnata épuisé nel catalogo del Vievrey. Detti subito l'ordinazione, ma bisogna trovarla. Intanto, per mostrarti il mio zelo, e nella speranza che ti servisse a qualche cosa, t'avevo mandato l'altra. La mia colpa non è che questa. Appena si trovi l'edizione che tu desideri, l'acquisterò e te la manderò; e se tu potessi ajutarmi nella ricerca, tanto meglio.»
(Gnoli, cartolina a D'Ancona, Roma 9 dic. [18]87, p. 140. Anche in questo caso non vi sono altre informazioni sul libro desiderato).

«Il codice che tu dici lo sta studiando il prof. Monaci il quale appena compiuto il suo studio ne darà un resoconto. Egli è qui, e vi resterà tutto il mese, ma fa delle escursioni a Roma appunto a causa di quel codice.»
(Gnoli, cartolina a D'Ancona, Anzio 3 set. [18]89, p. 141. Non vi sono altre informazioni sul manoscritto).

«Se io mandassi la tua dimanda al Ministero, son sicuro che me la rimanderebbe, come ha fatto per altre, per farla rifare in cartabollata, dovendosi restaurare, come sai, la finanza italiana. Per non perder tempo, mandamela in carta bollata da una lira, diretta al Ministro; io la manderò subito col voto favorevole. [...]
Il titolo del Codice è - Laude - Ms. V. Emanuele 349 (Vendita Morbio. Cat. n.° 99).»
(Gnoli, lettera a D'Ancona, Roma 28 feb. [18]90, p. 150. L'autorizzazione del Ministero era necessaria per l'invio in prestito di un manoscritto).

«Ricevo adesso la tua seconda cartolina. Hai mille ragioni. Jeri tornai apposta al Min. e trovai la tua istanza che giaceva sopra un tavolino. In presenza mia fu fatta l'autorizzazione e firmata. L'aspetto da un momento all'altro, e ho fatto già preparare e impaccare il Codice per spedirlo subito, non appena mi giunga. Spero di potertelo mandare dentr'oggi.»
(Gnoli, cartolina a D'Ancona, [Roma] 18 mar. [18]90, p. 151).

«Mi dispiace non poterti servire. Da due anni ho lasciato Pisa e dimoro in Firenze. Lo stato delle mie gambe non mi permette di correre per le Biblioteche. Ho bensì memoria che il Cherubino sia insegna dell'Università pisana, ma non mi pare che abbia tre teste, ma una sola con due alucce dalle parti. Vedi che cosa ne dice il Fabroni nella Historia Univers. Pisanae. E se non ti soccorresse, informati presso il Rettorato o presso il prof. G. [Guido] Manacorda, bibliotecario dell'Universitaria.»
(D'Ancona, cartolina a Gnoli, Firenze 13 dec. [1912], p. 163).

Gobetti (1924)

«Gli scettici sono grati al regime. Esso non chiede ai cittadini che di abdicare alla loro dignità e ai loro diritti politici: c'è un uomo in Italia che pensa a tutto, gli altri lavorino ammirando o si divertano nelle sagre o si nascondano in biblioteca.»

(p. g. [Piero Gobetti], Guerra agli apolitici, «La rivoluzione liberale», 3, n. 10 (4 marzo 1924), p. 40).

Gobetti-Prezzolini (1920)

«le sarei molto grato se mi volesse fare un grande favore.
Devo preparare per la collez. di Codignola una bibliografia del Laberthonnière da aggiungere alla traduzione di Le Réalisme Chrétien et l'idéalisme grec. Ho fatto lo spoglio completo degli «Annales de philosophie Chrétienne» (1897-1913) ma qui a Torino non ho potuto rintracciare né la «Revue Pratique d'Apologétique», né il «Bulletin de la Semaine», ai quali pure egli collaborava. [...]
Scusi la seccatura che le procuro. Lei vede bene che non deriva da pigrizia perché ciò che potevo trovare l'ho cercato.»
(Piero Gobetti, cartolina a Giuseppe Prezzolini, Torino 7 settembre 1920, in: Gobetti e "La Voce", p. 32).

«Qui a Roma la «Rev. prat. d'ap[ologétique]» e il «Bull. de la Semaine» non si trovano nelle biblioteche ordinarie ma soltanto nell'Istituto biblico. Se credi spero di poterci fare una ricerca, ma mi assicurano che non si troverà nulla del Laberthon., essendo quelle riviste in mano di ortodossi.»
(Prezzolini, cartolina a Gobetti, Roma 10 settembre 1920, ivi, p. 33).

Prezzolini e Gobetti si erano conosciuti a una riunione organizzata da Gaetano Salvemini nel maggio 1919 alla Biblioteca filosofica di Firenze:

«Credo che lo conobbi a Firenze durante una riunione di «unitari», cioè di lettori ed amici della «Unità» del Salvemini, e stringemmo subito amicizia. Mi permetto di sorridere pensando che in quella riunione si trovavano Ojetti, Salvemini, Gobetti ed io. È molto naturale che non ne sia escito fuori nulla. Era nell'immediato dopoguerra, mi pare nel 1919. Il locale quello della Biblioteca Filosofica di Piazza Donatello, che probabilmente vide altre riunioni di gente bene intenzionata ma egualmente sgradita agli Italiani e politicamente inefficace.»
(Giuseppe Prezzolini, Testimonianza, «L'illustrazione italiana», 24/31 dicembre 1950, poi in: Gobetti e "La Voce", p. 166-171: 166).

Gorresio (1980)

«Incominciava la mia clandestinità, che fu penosa ma non eroica. [...] Io però avevo un docunento che mi precettava come ausiliario di tipografìa, ed una carta di identità ben falsificata con le mie nuove generalità: Ariosto Ludovico del fu Giuliano e di Dalmasso Elisabetta, nato a Cortemilia il 18 luglio 1910. [...]
Divenni assiduo della biblioteca nazionale Vittorio Emanuele che stava allora al numero 27 di via del Collegio Romano. Presentandomi col nome di Ludovico Ariosto ebbi una tessera di ammissione alla sala A, quella riservata agli studiosi di professione. Ricordo il sorriso d'intesa dell'impiegata che consentì a rilasciarmela. Così potei condurre a termine il saggio sui Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini che il 25 luglio avevo interrotto a Genova e che l'editore Colombo mi pubblicò con il bel titolo La tirannide in berlina. [...]
Fare il topo di biblioteca mi dava pure altri vantaggi. La sala A della Vittorio Emanuele era allora frequentata molto bene, come un circolo exclusive o un ritrovo accademico. In quell'ambiente di grande rispettabilità era possibile fare la conoscenza di persone interessanti e autorevoli sul piano culturale e anche politico, poiché la sala A era un rifugio diurno abbastanza sicuro. Non era un covo di cospiratori nel senso proprio, ma un luogo di incontro fra gente di riguardo. Veniva Mario Vinciguerra a scrivere i suoi articoli per L'Italia lìbera, organo del partito d'azione clandestino. Facendomi onore mi chiese che collaborassi anch'io. Venivano molti altri, da Antonio Baldini a Bonaventura Tecchi a Enrico Falqui, non tutti disposti a presentarsi con il loro vero nome, e di quel sodalizio in biblioteca durante i mesi dell'occupazione tedesca della città mi è restato un ricordo gradito.
Veniva spesso Guido Piovene che in quei giorni si nascondeva a Roma in casa dell'attrice e scrittrice Flora Volpini, ed era ansioso di partecipare in qualche modo alla resistenza.»

(Vittorio Gorresio, La vita ingenua, p. 229-230).

Gozzano (1907-1908)

«Ora ti pregherei d'un favore: passa dal mio portiere, prendi un libro (del Mantovani) che troverai, e restituiscilo alla [Società di] Cultura; ti prego, fallo per amor mio: so che sei incatenato dagli esami, ma cerca un dieci minuti e un dieci centesimi per prendere il tram e precipitati all'uopo. Se vedi Colmo — e lo vedrai — digli che porti subito alla Cultura quel libro che gli avevo dato.»
(Guido Gozzano, biglietto a Carlo Vallini da Aglié, 22 [giugno 1907], in Lettere a Carlo Vallini, p. 32. Il primo libro da restituire è probabilmente uno dei manuali di diritto del prof. Domenico Mantovani Orsetti, usato dal poeta per un esame di giurisprudenza).

«Alla Cultura (lessi sulla stampa) si mulineggiò... quel buon Gianelli, l'ho trattato da cane anche lui: ma lo ricordo e gli voglio bene. Descrivimi quella serata letteraria. La Cultura! quando me ne parli, sento l'odore di certe fogne squartate per i restauri... Perché gettarvi i nostri volumi?»
(lettera a Carlo Vallini da Genova, 20 [dicembre 1907], ivi, p. 48-49).

«Mandami, quando ti capita, il Guerrin Meschino: lo puoi trovare alla Società di Cultura.»
(lettera a Carlo Vallini da Genova, 15 [gennaio 1908], ivi, p. 58).

Gramsci (1912-1913)

«Ho dovuto, perché proprio non ne potevo più, farmi fare il soprabito: oramai ero stanco di aver sempre i brividi addosso, e di non poter neppure recarmi in Biblioteca e alle lezioni serali, per non espormi al gelato venticello della sera, che mi faceva arrivare a casa un pezzo di ghiaccio».
(Antonio Gramsci, lettera al padre Francesco Gramsci, Torino 19.I.[1912], p. 93. Gramsci frequentava soprattutto la Biblioteca nazionale di Torino).

«Scrivo in fretta, in biblioteca tanto perché la lettera parta subito.»
(Gramsci, lettera alla madre Giuseppina Marcias, [Torino gennaio 1913], p. 124).

Gropallo (1903)

«Prendendo, inoltre, a prestito da una biblioteca circolante opere di critica, di storia e di viaggi, la piccola Serao a tredici anni aveva già divorato un numero infinito di volumi.»

(Laura Gropallo, Matilde Serao, in Autori italiani d'oggi, p. 176)

Guareschi (1949)

«Non abbiamo vissuto come i bruti.
Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti.
Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, uomini con un passato e un avvenire. [...]
Fummo peggio che abbandonati, ma questo non bastò a renderci dei bruti: con niente ricostruimmo la nostra civiltà.
Sorsero i giornali parlati, le conferenze, la chiesa, l'università, il teatro, i concerti, le mostre d'arte, lo sport, l'artigianato, le assemblee regionali, i servizi, la borsa, gli annunci economici, la biblioteca, il centro radio, il commercio, l'industria.»

(Giovannino Guareschi, Diario clandestino 1943-1945, p. XII-XIII).

Guccini (2010a)

«Biblioteche e librerie, che argomento, per me, coinvolgente. [...].
Ma partiamo dalle biblioteche. Ho avuto a che fare con queste abbastanza presto, nella mia vita. Mi sembra ci fosse scritto Biblioteca della GIL (Gioventù italiana del littorio) in quei libri che un antico funzionario del PNF del paese, temendo l'imminente arrivo degli americani, diede frettolosamente a mia madre perché, in qualche modo, se ne sbarazzasse.
Erano belli da vedere, con copertine in cartoncino e il simbolo delle Edizioni Mondadori intrecciato in qualche modo sulla costa telata a un fascio dorato, pieni poi di pagine illustrate; mia madre non se ne sbarazzò. È stato quello quindi il mio primo incontro con una "biblioteca" anche se, devo ammetterlo, era un po' di parte, piena di comunisti "cattivi e sovversivi" e di italianissimi e fascistissimi eroi buoni (non è poi cambiato di molto, il nostro mondo, da allora). Non ricordo tutti i titoli, ma c'erano anche Il piccolo alpino e libri ugualmente edificanti, sulla guerra d'Africa che ci "dette l'Impero", i voli transoceanici di Italo Balbo, giovinetti che si immolavano per la Patria e cose così. Dico c'erano perché, nel tardo dopoguerra, fui costretto da momentanee disavventure economiche a "furarli" da casa e a venderli, uno a uno, a un bancarellista di Canal Chiaro, a Modena, che, forse comunista cattivo e sovversivo, ghignò nel vedere quei reperti del Ventennio.
La seconda biblioteca arrivò più tardi, e fu quella dei Postelegrafonici, sempre di Modena. Mio padre mi portava un libro alla settimana, cercando che fossero in qualche modo "educativi" (ma perché tutto doveva sempre educare?). Rammento le favole dei fratelli Grimm, in un'edizione credo originale, non edulcorata dai vari Disney e che, oggi saprei dire l'esatto perché, mi terrorizzarono; mio padre forse aveva ingenuamente pensato che le favole, in qualunque modo scritte o presentate, fossero roba giusta per ragazzi. Ma quelle foreste così nordiche, piene di tranelli e lupi e orchi e streghe pronti a ghermire bambini, funzionavano in me peggio di quei libri gialli che, diceva la pubblicità dell'epoca, "non vi faranno dormire". Fortunatamente, ogni tanto, arrivava un Salgari, e i mari esotici, i misteriosi Tughs (si scrive così?) e le Tigri della Malesia mi riconciliarono con la lettura. Che continuò fino all'età quasi adulta, frugando sempre nella Biblioteca Postelegrafonica ma cambiando genere; furono gli autori americani, naturalmente per noi allora i preferiti, Hemingway, Dos Passos, Caldwell e Steinbeck, a farmi scoprire, soprattutto gli ultimi due, un'America di emarginati che non si conciliava con il sogno americano intravisto nelle patinate riviste tipo "Life" o "The Saturday Evening Post" lasciate dalle truppe alleate; soprattutto quest'ultima rivista, con le copertine disegnate da Norman Rockwell colme di tipi caratteristici, simpatici, così diversi da chi ti circondava, e pullulanti di buoni, ironici (ma non più di quel tanto ironici), sentimenti; che cosa avevano a che fare con gli hobos steinbeckiani di Tortilla Flat?
C'era anche la biblioteca scolastica, con libri un poco ributtanti, in cui scoprii però un autore western, certo Pearl Zane Gray, che immaginavo, chissà perché (forse il nome), donna. Nonostante questa evidente lacuna mi piacque, forse perché si conciliavano con i primi sentori e fremiti adolescenziali quegli amori di rudi cow-boy che, solo qualche anno prima, avrei allontanato da me inorridito.
Anche il prete (ma da noi si diceva il sor priore), d'estate, su al paese, aveva una bibliotechina, ma era roba da disperati della lettura, da gente forzatamente in crisi d'astinenza, quando avevi ormai letto e riletto tutto attorno a te, anche i romanzi d'appendice della prozia, perché quelle pie storie un poco sadiche e iellatrici di santi o di missionari spesso alle prese con lebbrosi o martirizzati da feroci indigeni, non potevano certo sostituire un sano Sandokan. Ricordo, in particolare, un libro agghiacciante (non ricordo il titolo), la storia di due pii giovinetti, fratellino e sorellina, rapiti dai massoni (ma chi erano costoro, mi chiedevo allora?) e sottoposti a torture inenarrabili (ma come erano puntigliosamente narrate!) per costringerli ad abiurare la Vera Fede e a diventare, pensate un po', Liberi Pensatori. C'era anche una particola sottratta con subdoli sotterfugi all'uso dovuto e usata per riti blasfemi. Pugnalata? Non ricordo, ma mi piacerebbe pensare che sanguinasse. Ovviamente, come nei romanzi d'appendice, tutto in fondo si ricomponeva e c'era il lieto fine, con i cattivi puniti e i buoni a godere la meritata ricompensa (ma quale? I fratellini si monacavano entrambi?).»

(Francesco Guccini, Non so che viso avesse, p. 98-100. La testimonianza prosegue con esperienze successive).

«Non c'è più purtroppo quel Pinocchio sul quale hai imparato a leggere, prima della scuola, sogno perso legato alla primissima infanzia, ma c'è, di un Collodi che è suo nipote, Sussi e Biribissi, "Storia di un viaggio verso il centro della terra" (che è un altro libro che hai letto, Biblioteca dei Postelegrafonici, nella Città della Motta [Modena]), e su c'è scritto:
"Per essere ricordata da te
caro Franco. zia Rina,
t'offre"».
(Francesco Guccini, Croniche epafaniche, Milano, Feltrinelli, 1989, p. 51).

«È noia, la noia quotidiana del poco spazio, l’aradio è di là, e se non c’è qualche famiglia che litìga o un libbro della Biblioteca dei Postelegrafonici da lèggere ti muori dentro, come il giorno. Ogni tanto c’è la luce di quei libri, Tarzan de le scimmie, uno che è un Lord inglese che poi i suoi muoiono e lui lo alleva una scimmia e diventa uno vasco da matti, Kammamuri [ma Caramuru] l’uomo di fuoco, che fa naufragio, come Robinson, e parla di frutta strana che neanche quella del frutaròlo, con pere che sembrano pere ma molto più buone, vuoi mettere, e il pao de fero che è un albero con un legno d’una durezza bestiale, che ci fai tutto anche delle scuri, La guerra del fuoco, con gli uomini preistorici e i mamut, le favole dei Fratelli Grimm, ma sono un po’ diverse da quelle che ti raccontavano, che fanno anche un po’ paura, e Sandocan col quale voli e trasvoli, scordi buio e compiti, che ti dici, ma se la vita fosse solo lèggere e senza compiti e altre balle non sarebbe più tògo?»
(Francesco Guccini, Vacca d'un cane, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 35).