Servizio di cucina e servizio di credenza. Angela Schiavina
print this pageIl mio intervento spazia fra la cucina rinascimentale e la cucina moderna fino ad arrivare al futuro. La mia domanda è: oggi abbiamo inventato qualcosa?
Leggere il menù preparato da Bartolomeo Scappi nel 1567 in occasione della seconda incoronazione di Pio V è molto affascinante per la quantità di preparazioni che venivano offerte. La grande gastronomia nasce nelle corti e nelle sedi ecclesiastiche, papi che fanno banchetti pantagruelici, le grandi famiglie nobili che invitano alle proprie corti artisti per scenografie spettacolari per stupire gli invitati e per mostrare la propria ricchezza e potere. Della cucina di casa non si parla fino al '700, poi nell'‘800 Pellegrino Artusi pubblica La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, volume che oggi continuiamo a leggere e ad usare.
Ritorniamo al menù di Bartolomeo Scappi. Venerdì è un giorno di magro, lui parla dei servizi: anticamente le pietanze venivano suddivise in servizi di credenza e servizi di cucina. Le preparazioni erano mescolate - dolce e salato - senza un ordine prestabilito. Dipendeva anche dal fatto che sale, zucchero, aceto, limone, miele erano ingredienti utilizzati per la conservazione. I servizi di credenza erano prepaparazioni già pronte che venivano allestite sul tavolo (oggi potremmo paragonarle ai nostri buffet) e i servizi di cucina erano preparazioni calde e fredde che uscivano dalla cucina, comunque preparazioni pronte al momento.
Legenda
I termini seguono l'ordine in cui si presentano nel testo.
Primo servizio di credenza
Confette: candite
Pignoccati: dolci di pinoli
Pistacchea: dolce di pistacchio
Secondo servizio di credenza
Capi di latte: panna
Tarantello: tonno sotto sale
Orecchine: barchette di pasta
Primo servizio di cucina
Impresa: lo stemma
Porcellette: pesce porco
Secondo servizio di cucina
Pesce ignudo: pesce di mare simile al nasello
Ceriole: ciriole? (piccole anguille di fiume)
Linguattole: pesci di mare (simili alle sogliole)
Fiadoncelli: pesci di mare
Squille: canocchie
Ginestrata per minestra: una specie di biancomangiare giallo di uova e zafferano
Terzo servizio di credenza mescolato con robbe di cucina
Mele appie: tipo di mele rosa
Gelo: gelatina
Melangole: arance amare
Pere caravelle: qualità di pere
Pere guaste: pere cotte nel vino e asperse di zucchero
Bibliografia
Gran banchetto, a cura di Carla Della Beffa e Africo Paolucci, [in testa al frontespizio: Cucina italiana del Rinascimento], [S. l., s. n.], 1986 (Milano, Cencograf-Rotografica)
Noi oggi parliamo tanto di gastronomia e siamo bombardati di ricette da ogni parte del mondo, dalla televisione, da internet, dalle riviste e pensiamo di preparare cibi nuovi. In realtà non abbiamo inventato nulla, tutto quello che mangiamo é scritto dal 1450 in avanti. Perché se guardiamo le ricette e gli ingredienti avevano tutto. Era solo più difficile reperirlo. Scappi nel 1500 faceva le zuppe con lo zenzero, l'unica cosa che noi abbiamo acquisito è la tecnologia. Questo si, mentre i Medici a Firenze quando ricevevano preparavano i timballetti di uccelletti putridi noi oggi utilizzando gli strumenti che la nostra epoca ci mette a disposizione, cuciniamo cibo tenendo conto a livello medico delle proprietà benefiche.
Le cucine di oggi, laboratori tecnologici, nell'antichità erano spazi enormi con decine di persone che ci lavoravano. Dal Rinascimento fino a metà del ‘700 abbiamo grandi famiglie, poi le cose cambiano dopo la rivoluzione francese. A Ravenna non abbiamo grandi famiglie, noi siamo famosi per i Bizantini ma la loro gastronomia era povera, non abbiamo famiglie nobili come gli Estensi o i Gonzaga che avevano al loro servizio cuochi prestigiosi.
Approfondimento
Al servizio di queste grandi famiglie c'erano anche grandi artisti: nel 1489 Leonardo da Vinci, che si trovava a Milano presso Lodovico il Moro, cominciò a seguire la progettazione delle scenografie e delle decorazioni che sarebbero servite per i festeggiamenti del matrimonio tra Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, da svolgersi presso il Castello. Le nozze erano state posticipate all’anno successivo a causa della morte di Ippolita d’Aragona, la madre della sposa.Una particolareggiata descrizione dell’evento, conosciuto come “Festa del Paradiso”, ci è stata tramandata da un testimone oculare, Iacopo Trotti, che era ambasciatore estense a Milano: luogo specifico scelto fu la cosiddetta Sala Verde del castello, affrescata dallo stesso Leonardo (affreschi purtroppo oggi perduti). Il documento che riporta la cronaca dell’avvenimento si trova in un codice della Biblioteca Estense-Universitaria di Modena (cod. ital. N. 521 segnato a.J.4.21), che venne trascritto nel 1904 dall’insegnante e storico italiano Edmondo Solmi (Finale Emilia, 1874 – Spilamberto, 1912). Questo documento testimonia in maniera viva ed efficace la meraviglia suscitata nei contemporanei dalla messa in scena ideata da Leonardo: “El Paradiso era facto a similitudine de uno mezzo uovo, el quale dal lato dentro era tutto messo a horo, con grandissimo numero de lumi ricontro le stelle, con certi fessi dove stava li sette pianeti, segondo el loro grado alti e bassi. A torno l’orlo de sopra del dito mezo tondo era li XII signi, con certi lumi dentro del vedro, che facevano un galante et bel vedere: nel qual Paradiso era molti canti et soni molto dolci et suavi”. Anche il poeta Bernardo Bellincioni scrisse in merito alle celebrazioni: «v’era fabbricato, con il grande ingegno et arte di Maestro Leonardo da Vinci fiorentino, il paradiso con tutti li sette pianeti che giravano e li pianeti erano rappresentati da homini».
Bibliografia
Luca Garai, La festa del Paradiso di Leonardo da Vinci, Milano, Edizioni La Vita Felice, 2014 («Biblioteca Milanese», 21) S. Giorgio in Poggiale SALA 792 GAR FESSandro Masci, Leonardo da Vinci e la cucina rinascimentale. Scenografia, invenzioni, ricette, Roma, Gremese editore, 2006 Edmondo Solmi, La festa del Paradiso di Leonardo da Vinci e Bernardo Bellincione (13 gennaio 1490), «Archivio storico lombardo. Giornale della società storica lombarda», 31, 1 (1904), p. 75-89. Testo digitalzzato dalla Biblioteca nazionale Braidense di Milano (per consultare l'articolo completo vedere qui).C'è un bel libro, La Francia a tavola dall’‘800 alla Belle Epoque (a cura di Emilio Faccioli, Torino, Einaudi, 1978) dello scrittore e giornalista Jean Paul Aron (Strasburgo, 1925 – Parigi, 1988) in cui viene descritto molto bene il passaggio della gastronomia dal mondo aristocratico a quello borghese, della fuga dei grandi cuochi dalle case nobiliari, con conseguente nascita e sviluppo dei ristoranti. Qui si parla dei pranzi dati dalla nobiltà, dove venivano servite quantità di cibo enorme, che oggi non riusciremmo neppure a immaginare e poi venivano usati gli avanzi che venivano venduti a prezzi diversi secondo la tipologia.
Interessante il discorso sugli avanzi: a questo proposito come non citare qualcuno di cui quest'anno si celebrano i cento anni dalla morte: Olindo Guerrini o se preferite Lorenzo Stecchetti (si firmò con tanti pseudonimi). Dopo la sua scomparsa esce L'arte di utilizzare gli avanzi della mensa.
In questo momento, nel 2016 noi siamo proprio al centro del riuso, del riutilizzo, io stessa tengo lezioni di cucina su come impiegare gli scarti e così mi capita di insegnare a seccare le bucce delle patate, e a fare le zuppe con gli scarti. In casa mia per esempio si faceva sempre l’insalata di bollito, che di solito si utilizza per le polpette, ma le polpette a lungo andare stancano e così si preparava in alternativa una frittata: si trita il lesso, si mette in padella, si aggiungono le uova, si strapazza tutto insieme con il succo del limone e il prezzemolo tritato e buon appetito.
Abbiamo avuto dei grandi nella nostra storia gastronomica, grandi artisti che vi si sono dedicati stabilendo un predominio che però col tempo si è un po’ perso. Non so se questo è successo perché Caterina dei Medici va sposa in Francia e porta con sé una serie di giardinieri, gelatai, pasticceri, cuochi, trincianti o se lo perdiamo per qualche altro motivo, certo è che oggi chiamiamo chef il cuoco, chiamiamo chinoise il colino, chiamiamo sac à poche il sacchetto per fare le decorazioni. Cioè la cucina francese ha codificato tutta la terminologia gastronomica.
Approfondimento 
Nel film “Vatel” di Roland Joffe possiamo vedere questo cerimoniere-artista che allestisce per il re di Francia una festa memorabile.Francia, anno 1671. Il maestro di cerimonie François Vatel deve allestire accoglienza e pranzi per i tre giorni di permanenza del Re Sole, Luigi XIV, alla corte del Principe di Condé nel castello di Chantilly. I festeggiamenti si rivelano meravigliosi e, grazie al talento e alla incredibile maestria di Vatel, il suo Principe ottiene l'onore di comandare l'esercito francese contro gli olandesi. Vatel stesso riceve dal Re Sole la proposta di trasferirsi alla corte di Versailles. Ma proprio per il festeggiamento conclusivo dei tre giorni con un giardino di ghiaccio organizzato su temi della mitologia marina, i fornitori non riescono a portare il pesce in tempo e Vatel, disilluso da questo fallimento e da altri motivi personali, si toglie la vita. A suicidio avvenuto, la fornitura di pesce arriva e il pranzo viene terminato dai suoi aiutanti, rivelandosi un successo.
| La notte, nel parco, illuminata da migliaia di candele, dalla mia postazione munita di cannocchiale osservavo i tavoli imbanditi dalle delizie che io avevo ideato e preparato, vedevo i commensali che le gustavano, innaffiandoli con i preziosi vini delle cantine del palazzo; tutti ridevano e scherzavano ai motti salaci di Monsieur Le Frère du Roi e della sua estrosa compagnia. Lo stesso Re non disdegnava i suoi motteggi versola Reginao verso le altre Madames. Perfino il Condé, alleviato il dolore gottoso col sangue dei miei pappagalli, riusciva a ridere e a farsi bello della compagnia del Re. Ma io attendevo che tutto fosse a posto, che i fagiani non fossero troppo frolli, che le salse fossero delicate, che ballerini e acrobati si esibissero con eleganza, senza disturbare il pasto dei Signori. Infine, i fuochi esplosero dalla collina e distrassero tutti; tutti si alzarono ad ammirare e applaudire quella meraviglia di luci colorate nel cielo buio, tutti quindi si ritirarono nelle loro stanze soddisfatti e pasciuti. |
(da Angelo Ariemma, François Vatel. Scenografie di una vita, «Questioni di Cibo, supplemento a Scienze e Ricerche» n. 7, maggio 2015, pp. 91-93)
Approfondimento
| Numerosi sono i responsabili che concorrono al successo della commedia. Lo spettacolo è un azzardo, non si può ripetere, non c’è “prova in costume”, la rappresentazione è unica. Un intoppo, e tutto è rovinato. L’anfitrione conduce il gioco, è il produttore dal quale dipende tutto: “re della tavola, il suo potere dura quanto il pasto e si spegne con lui”. Egli “assegna il posto ai convitati, predispone l’ordine del servizio, versa o fa circolare i vini pregiati, leva le mense. Esercitando con estremo rigore le leggi dell’ospitalità, veglia, come un padre di famiglia, sul benessere degli stomaci che si sono affidati alla sua sollecitudine, rassicura i timidi, incoraggia i modesti, provoca i vigorosi. L’equilibrio della tavola riposa su di lui”. La parte del direttore è decisiva. Soltanto con l’artificio degli ornamenti ogni preparazione s’illumina di bellezza, i piatti rivelano i loro segreti e diffondono straordinari aromi. Il direttore di mensa li inserisce nell’insieme. La preparazione ornamentale si estende oltre la tavola e le sue guarnizioni, e va allestita prima che spuntino i cibi tutti agghindati. Balaine l’aveva previsto fin dall’apertura del Rocher de Cancale [Alexix Balaine aprì il ristorante, famoso per le ostriche, nel 1804]: “Niente era stato dimenticato da quest’uomo veramente compenetrato della sua missione. Piante di aranci, di melograni, di oleandri, erano collocati sulla scala che portava alla sala dei banchetti. Un coperto magnifico era stato preparato da lui stesso. Candelabri di Ravio erano disposti simmetricamente, fiori stupendi spiccavano in vasi di cristallo e venivano innaffiati ogni quarto d’ora da alcuni garzoni. Per una sorta di attica raffinatezza, si pranzava quasi sempre alla luce delle candele, anche in estate. Si pretendeva che il gioco delle fiamme delle candele desse più gaiezza al pasto e che la gaiezza facilitasse la digestione … |
Spigolature
Bartolomeo Scappi, Cristoforo Messisburgo, Bartolomeo Stefani e altri ci hanno tramandato con i loro scritti le basi della gastronomia e anche gli strumenti per cucinare. Noi oggi continuiamo a prendere a piene mani dal passato proponendolo sul futuro e spesso però dimenticandoci di dirlo, spesso io leggo di cuochi che cucinano ingredienti particolari con accostamenti insoliti, ma poi se vado a vedere non hanno inventato nulla ma sono rielaborazioni di antiche ricette. Oggi la differenza sta nel fatto che mangiamo in sequenza, cominciando dal salato e finendo con il dolce.
Nell'‘800 cominciano i libri di cucina di casa, sono ricettari pieni di informazioni anche su come devono essere le stoviglie.
Artusi e Ada Boni sono stati due autori molto importanti per me, per la mia formazione: Il talismano della felicità e La scienza in cucina in cucina e l'arte di mangiare bene.
Concludendo e' nel passato che troviamo il futuro, adattandolo alle abitudini attuali.
Approfondimento
Il Talismano della felicità di Ada Boni (Roma, 1881 - 1973), pubblicato per la prima volta a Roma dalle Edizioni della Rivista Preziosa nel 1925, è uno dei ricettari femminili più noti, punto di riferimento per generazioni di massaie. Destinatarie del Talismano sono le “dame di fine eleganza e di impeccabile buon gusto” della borghesia e dell’aristocrazia italiana, appena sposate o prossime alle nozze, del tutto – o quasi – inesperte in cucina. Così si rivolge infatti l’autrice alle sue lettrici:
| Molte di Voi, Signore e Signorine, sanno suonare bene il pianoforte o cantare con grazia squisita, molte altre hanno ambitissimi titoli di studi superiori, conoscono le lingue moderne, sono piacevoli letterate o fini pittrici, ed altre ancora sono esperte nel ‘tennisì o nel ‘golf’, o guidano con salda mano il volante di una lussuosa automobile. Ma, ahimè, non certo tutte, facendo un piccolo esame di coscienza, potreste affermare di saper cuocere alla perfezione due uova alla ‘coque’. […] Pensate che non vi può essere una vera felicità là dove viene trascurata una parte così essenziale della nostra vita di tutti i giorni: l’alimentazione. […] Con piena coscienza noi vi diciamo: Signore, perfezionate sempre più le vostre cognizioni di cucina; Signorine, imparate a ben cucinare. Un ‘menu’ semplice e ben eseguito è la pace della famiglia, ed è anche la certezza di veder apparire a casa il vostro compagno non appena i suoi affari o il suo impiego lo lasceranno libero. |
La fortuna dell’opera è testimoniata dalle numerose riedizioni che si sono susseguite, a distanza di pochi anni l’una dall’altra, ognuna delle quali arricchita e modificata rispetto alla precedente, di pari passo con un crescente successo che continua fino ad oggi, non solo in Italia, ma anche all’estero.