Nei fondi antichi della Biblioteca Classense. Floriana Amicucci

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Biblioteca Classense, l'aula magna

Nei fondi antichi e storici della Biblioteca Classense sono rappresentati molti degli autori emiliano-romagnoli, d’origine o d’adozione, la cui opera in materia di agricoltura e alimentazione, dal XII al XX secolo è stata l’oggetto dell’antologia di testi pubblicata nel 2015 dall’IBC e curata da Zita Zanardi.1

Per iniziare dal maggiore agronomo del medioevo occidentale, il bolognese Pietro de’ Crescenzi, il suo trattato sulla coltivazione, i Ruralium commodorum libri XII, composto tra il 1304 e il 1309, è presente in Classense nell’edizione latina del 1538 e nella traduzione De agricoltura vulgare in due edizioni del XVI secolo, una del XVIII e una del XIX.2 Sebbene in Classense non si conservi un manoscritto dell’opera di de’ Crescenzi, si segnala tuttavia il ms. 368 (fig. 1), che porta la data 1467 e che tramanda il Libro della divina villa del perugino Corniolo della Corgna, vissuto a metà del ‘300.3 Il trattato, non originale nella trattazione e che non si discosta dal genere didascalico classico, è noto solo in testimoni di XV e XVI secolo. Corniolo, oltre ai modelli classici, dichiara di voler seguire quanto esposto nei dodici libri sull’agricoltura di de’ Crescenzi: il testimone classense del De divina villa riveste una particolare importanza per la tradizione volgare dell’opera di de’ Crescenzi, poiché il decimo libro, un “Calendario dei lavori” da eseguirsi in villa, non è opera originale di Corniolo, ma una copia, in volgare perugino, dell’ultimo libro dei Ruralia dell’agronomo bolognese.

L’alimentazione compare nell’opera di due medici, in particolare sotto forma di precetti dietetici per la prevenzione di alcune malattie e, in generale, per preservare un buono stato di salute. Si tratta del Libro de l’homo, trattato volgare sui metodi per preservare la salute noto come libro del Perché 4 di Girolamo Manfredi,  medico, astrologo e professore dello Studio bolognese vissuto alla metà del XV secolo, 5 e delle edizioni cinquecentesche dei trattati sulle febbri e sulla gotta 6 del medico Michele Savonarola, ferrarese d’adozione, scrittore assai prolifico e autore, tra l’altro, di un Libreto sull’alimentazione dedicato al duca Borso d’Este, di un trattato sulle acque termali e di uno sull’acquavite.

Tra le edizioni dei secoli successivi si ricordano, L’arte di conservare la salute del romagnolo Bartolomeo Traffichetti; l’ opera omnia dell’illustre naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi; la Piazza universale di tutte le professioni del mondo di Tommaso Garzoni da Bagnacavallo, nell’edizione veneziana del 1616 in cui, nel capitolo sui cuoghi, l’autore cita i «pignoli da Ravenna» fra i cibi capaci di «eccitar l’appetito per fino a i morti». 7 E ancora L’Economia del cittadino in villa, del bolognese Vincenzo Tanara, nell’edizione bolognese del 1651 8 e la cronistoria delle saline di Cervia a tutto il 1750 dello storico cervese Giuseppe Maria Pignocchi; l’operetta del 1752 dell’eclettico riminese Iano Planco (Giovanni Bianchi) sui vantaggi del regime alimentare vegetariano (“il vitto pitagorico”) per conservare la salute 9 e la corposa opera del “principe degli agronomi italiani”, il reggiano Filippo Re.10 Infine, degli inizi del XX secolo, l’opuscolo del modenese Alessandro Giuseppe Spinelli sulle spongate di Brescello proveniente dalla biblioteca di Luigi Rava e il contributo del romagnolo Olindo Guerrini al mondo della gastronomia: L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa11

Oltre alla produzione scientifico-letteraria emiliano-romagnola in tema di agricoltura e alimentazione in Classense è senz’altro ben documentata quella più propriamente ravennate, che va dalla documentazione dell’attività degli organi di governo della città, all’opera di autori ravennati, che tra XVI e XIX secolo, hanno dato alle stampe manuali di agricoltura, trattati naturalistici, dissertazioni mediche e componimenti poetici.

L’attività delle autorità governative locali in materia di approvvigionamento alimentare è ampiamente documentata dal materiale conservato nell’Archivio Storico Comunale, in particolare nel fondo della Cancelleria e delle serie Dazi, Abbondanza, Annona, Grascia, Molini e Calmieri.  Nel posseduto della Biblioteca Classense invece si segnalano i volumi miscellanei che, provenienti dall’acquisizione del Fondo Spreti del 1875 e organizzati dall’archivista dell’abbazia di San Vitale poi al servizio degli Spreti, Benedetto Fiandrini (1755 ca.-1827), conservano i «Documenti relativi al Governo Economico e Politico di Ravenna sotto i Romani Pontefici» dalla metà del XV alla fine del XVIII secolo. Tra i documenti raccolti si trovano, per citare qualcuno degli editti emanati dai Cardinali Legati e stampati a Ravenna, il Bando sopra la pesca del canal Pamphilio del 1653 (fig. 2) che vieta la pesca nel Canale Candiano senza licenza 12 e l’editto del 1661 «sopra i vini forestieri» (fig. 3), l’editto del 1688 che regola la vendita del pesce nella pescheria di Ravenna (fig. 4)13 gli editti del 1732 (fig. 5) e del 1751 (fig. 6) sulla preparazione del pane e sul prezzo della farina, 14 l’editto del 1760 (Fig. 7) sul commercio del grano, 15 il provvedimento del 1767 (fig. 8) che permette ai poveri di raccogliere il grano rimasto nei campi dopo la mietitura, 16 ed infine i numerosi editti di disciplina dell’alimentazione durante la quaresima.

La fine del ‘500 è dominata da due figure estremamente importanti per la storia della trattatistica in materia di agricoltura: Marco Bussato e Bernardino Carroli.

Di famiglia d’origine ferarrese Marco Bussato nacque presumibilmente a Ravenna nella prima metà del XVI secolo. Si guadagnò da vivere con la professione di innestatore che, nel 1578, nella dedica della sua opera ai Savi della città di Ravenna, dichiara di svolgere già da molto tempo. I numerosi viaggi accrebbero la sua esperienza tanto da diventare un’autorità in materia e da non poter ignorare, come lui stesso dichiara, l’invito degli amici a pubblicare un manuale sull’arte dell’innesto. Esce così, nell’ottobre del 1578, la Prattica historiata dell’innestare, corredata di 14 tavole xilografiche, che l’anno seguente gli procurerà una sovvenzione da parte del collegio dei Savi. 17

Stampatore di quello che è il primo nucleo dell’opera di Bussato è il libraio veronese Cesare Cavazza, presente a Ravenna dal 1575. Le autorità ravennati, dopo numerosi fallimentari tentativi di impiantare a Ravenna una tipografia, imposero a Cavazza, in cambio di agevolazioni fiscali, di provvedere ad impiantare una tipografia per far fronte alle crescenti necessità di stampa di bandi, avvisi e “fedi di sanità”. Tuttavia, come altri in precedenza, Cavazza non onorò il contratto se non dopo la minaccia di vedersi revocate le agevolazioni concesse: la prima stampa a Ravenna uscì così solo nel luglio del 1578, con la ripubblicazione di una raccolta di orazioni di Vincenzo Termini già data alle stampe a Roma e Ancona. Nell’ottobre successivo esce quella che può essere considerata la più importante delle 14 edizioni realizzate da Cavazza, la Prattica historiata dell’innestare di Marco Bussato. 18

La Prattica, in 10 capitoli, costituisce il nucleo originario dell’opera diMarco Bussato, Giardino di agricoltura, Venezia, Giovanni Fiorina, 1592: ex libris Bussato che, continuamente ampliata ebbe sei edizioni dal 1592 al 1794. Esce infatti, per i tipi del Fiorina, l’edizione veneziana del Giardino d’agricoltura del 1592 (fig. 9, fig. 10), in 64 capitoli e un “Calendario dei lavori” con un Proemio dell’authore che non sarà più pubblicato; le edizioni si susseguono con aggiunte nel 1593 (Venezia, Carampello; fig. 11) e nel 1599 (Venezia, Combi), arrivando con questa edizione veneziana a un corredo iconografico di 30 tavole xilografiche, di cui 12 ad illustrazione del “Calendario dei lavori” che chiude l’opera (fig. 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19). Nel 1612 è la volta dell’ulteriore ampliamento dell’opera: il Giardino che esce ancora per i tipi di Combi, risulta costituito da 107 capitoli, un’introduzione editoriale, un proemio e 4 sonetti in lode dell’agricoltura, due dei quali dello stesso Bussato (i sonetti, definiti “modesti” da Filippo Mordani nelle sue Vite di ravegnani illustri del 1837, saranno invece apprezzati da Pietro Paolo Ginanni che ne pubblicherà uno nelle sue Rime scelte de’ poeti ravennati del 1739) 19 e lo stesso corredo iconografico dell’edizione 1599, ad esclusione delle illustrazioni del “Calendario” e con una tavola aggiuntiva per gli innesti (fig. 20). Seguiranno le edizioni del 1781 (Venezia, Locatelli; fig. 21) senza ulteriori aggiunte e con le illustrazioni calcografiche del corpus dell’edizione 1599 (ma senza le illustrazioni per il “Calendario”) e l’edizione del 1794 per i tipi dei Remondini a Bassano (fig. 22). 20

Con l’edizione del 1612, la più completa, il manuale sugli innesti diventa un vero e proprio trattato di arte agraria, con l’aggiunta di precetti su arature, cerealicoltura, vinificazione e un “Calendario dei lavori”. L’opera di Bussato è il frutto del rinnovato interesse, tipicamente rinascimentale, per i georgici classici (assai frequenti le citazioni, tra gli altri, di Plinio, Columella, Virgilio, Palladio, Esiodo) e la visione stessa dell’agricoltura bussatiana, sebbene non manchino richiami a concetti di utilità, è in buona sostanza nobile e dilettevole, scevra da ogni preoccupazione di tipo economico. L’innovazione dell’opera di Bussato risiede nella presentazione in forma manualistica e nella fonte che oltre ai classici ispira l’autore: l’esperienza diretta. Il “Calendario dei lavori” che compare sin dall’edizione del 1592, fornisce inoltre un’interessante panoramica sull’agricoltura romagnola di fine ‘500. 21

Sull’opera di Marco Bussato, Filippo Re nel suo Dizionario ragionato di libri d’agricoltura esprime giudizi positivi:

Le Tavole esprimono, tuttochè rozze, assai bene varie fogge d’innestare, nel maneggio della qual pratica può considerarsi per uno dei migliori. Credo che non sarò contraddetto se asserisca che fra gli antichi Italiani nessuno prima del nostro autore versò meglio sopra l’innesto”. Ed ancora: “In generale detta ottimi precetti, per cui se gli possono perdonare alcune cose meno buone che dipendono dai pregiudizj proprj del tempo nel quale viveva. 22

Oltre a tutte le edizioni del Giardino (fa eccezione purtroppo l’edizione della Prattica del 1578), in Classense è conservato anche un manoscritto, l’attuale Mob. 3. 7 C, databile non prima del 1587, ma assai più probabilmente 1597, nonostante l’errata indicazione “1537” sul frontespizio. Il manoscritto porta il titolo di Thesor d’agricoltura di Marco Bussatti da Ravenna ed è una copia approntata da Vitale Fusconi, revisore dei conti del Comune di Ravenna, per il nobiluomo Giampietro Mulla (citati entrambi alla c. 61r); lo stemma Rasponi sul frontespizio testimonia di un successivo passaggio di proprietà. Il manoscritto è costituito da 100 capitoli: i primi 90 riproducono il testo dell’edizione 1592 del Giardino, gli ultimi dieci parte dell’altra opera bussatiana, la Regola per trovare l’epatta23 Segue, di altra mano, un quinterno in cui sono copiati 27 capitoli di rimedi che vanno dai precetti medici ai rimedi cosmetici. L’interesse del manoscritto sta nelle varianti rappresentate dai capitoli 14 e 15 dedicati all’olivicoltura, 44 e 45 alle colmate dei pozzi e 47, un compendio di proverbi, che non compaiono in nessuna delle edizioni del Giardino e che inducono a pensare all’esistenza di un modello che Fusconi usò e sul quale l’editore Fiorina probabilmente operò una selezione per la sua edizione del 1592 (fig. 23, 24, 25).

Sono ravennati entrambe le edizioni dell’opera di Bernardino Carroli. Pietro Paolo Ginanni nelle sue Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati a proposito di «Carroli Bernardino da Ravenna» evidenzia la scarsità di notizie biografiche. 24 Carroli visse a Santerno, probabilmente appartenente alla classe dei gentiluomini di campagna e piccolo proprietario terriero, fu fattore per Ottavio Abbiosi, rettore della parrocchia di S. Sisto di Santerno e vescovo di Pistoia. La sua opera ebbe due edizioni in due anni. L’Isrutione [sic] del giovane ben creato uscì per Corelli e Venturi nel 1581 (fig. 26), la seconda edizione, Il giovane ben creato, uscì per Cavazza nel 1583 (fig. 27). 25

Pianta e misure di una possessione detta di Fossolo ti terra arativa, arborata, vitata etc. - Biblioteca Classense, Archivio storico comunale, Fondo Testi RasponiLo stampatore Girolamo Corelli, imparentato con la famiglia Abbiosi alla quale appartenne il dedicatario dell’opera di Carroli Ottavio Abbiosi, fu attivo esclusivamente a Ravenna; si associò per questa edizione con Girolamo Venturi, e di entrambi non si conoscono ulteriori stampe oltre la prima edizione dell’opera di Carroli. 26

Due anni dopo, a spese del Consiglio cittadino come attesta la presenza dello stemma di Ravenna sul frontespizio, l’opera viene ripubblicata da Cesare Cavazza che riutilizza la precedente edizione sostituendo il frontespizio e il primo fascicolo, modificando il titolo e alcune parti della dedica a Ottavio Abbiosi (sono aggiornati i titoli del dedicatario ma non la data che rimane il 25 agosto del 1581); compare infine un sonetto all’autore che testimonia che Carroli era ancora vivo nel 1583. L’utilizzo della medesima composizione tipografica è evidente dai testi delle due edizioni, identici anche negli errori. È l’unica tra le edizioni di Cavazza a presentare sul frontepizio una vignetta xilografica, un presepe alludente alla Sacra Famiglia e quindi al contenuto dell’opera, un manuale di educazione religiosa più che di agronomia. 27

Il giovane ben creato è un trattato di precettistica in forma dialogica, suddiviso in tre libri corrispondenti ad altrettante conversazioni che si svolgono nell’arco di una giornata. Il destinatario dell’opera, il giovane Matteo, è il mezzadro, il villano da “dirozzare”, la cui istruzione cristiano-cattolica di governo della famiglia e di pratica dell’agricoltura risponde alle istanze di rinnovamento della società ed in particolare di cristianizzazione delle campagne e dei mestieri promosse dal Concilio di Trento. Matteo chiede all’autore, che fa da intermediario tra il giovane e i suoi interlocutori, personaggi realmente esistiti e facenti capo ad Ottavio Abbiosi e alla sua attività parrocchiale, di essere istruito nelle regole del vivere cristiano per poter reggere la famiglia e il podere da contadino e non da villano. I primi due libri sono rispettivamente un manuale di catechismo e uno di economia domestica.

Quello che maggiormente interessa in questa sede è il terzo libro, un trattato di agronomia nel quale al giovane mezzadro sono forniti consigli circa la sistemazione del terreno prima della semina, i modi di arare, di concimare, di seminare. Le colture citate da Carroli sono tutte note per il loro impiego nell’alimentazione umana e animale: il grano romagnolo e i cereali minori quali il farro, l’orzo, la segale, il miglio; l’autore non menziona il riso, citato invece da Bussato nei mesi di febbraio e aprile del “Calendario dei lavori”. Nel terzo libro de Il giovane ben creato sono anche contenute indicazioni per la creazione del giardino e dell’orto, di notevole utilità per l’alimentazione e per la medicina popolare. Il giardino proposto da Carroli non è il giardino di delizie nel quale il gentiluomo bussatiano si esercita anche in colture ricercate come quella degli agrumi, ma un giardino utile, che possa dare un buon raccolto anche per l’inverno. Per la creazione dell’orto Carroli si diffonde nell’indicazione delle colture e delle erbe necessarie al fabbisogno alimentare, fornendo indicazioni anche sul tipo di terreno più adatto a ciascuna pianta. In questo ultimo libro si segnala infine una maggiore presenza, rispetto ai primi due, di termini dialettali strettamente collegati alla cultura agronomica e che costituiscono un prezioso lessico agricolo romagnolo.28

Come nel caso del Giardino di Bussato, l’elemento di novità dell’opera di Carroli è l’apporto dell’esperienza personale alla trattazione che però nel suo caso, è finalizzata a fornire una serie di insegnamenti utili, piuttosto che dilettevoli.

Luca Longhi, Ritratto di Girolamo Rossi, pittura a olio su tela, 1567 - Museo d'arte della città, RavennaIl Cinquecento ravennate vede tra i suoi protagonisti anche Girolamo Rossi (1539-1608), medico e storico, celebre autore della storia della città di Ravenna, gli Historiarum Ravennatum libri decem (Venezia, Manuzio 1572), che gli valse il plauso del Senato cittadino «che in segno di pubblico gradimento decretò, che a spese pubbliche si stampasse». 29 È al Rossi medico che si devono due opere che sottolineano lo stretto rapporto tra salute e alimentazione. Nel 1582 esce per Francesco Tebaldini (il tipografo osimano in attività a Ravenna dal 1567 al 1590, anche episodicamente in società con Cavazza) 30 il trattato De destillatione e nel 1607, a Venezia per Bertoni, la Disputatio de melonibus. 31

Il trattato sulla distillazione -intesa in tutte le sue forme, compresa quella dei metalli- procurò a Tebaldini una grande notorietà ed ebbe una buona fortuna editoriale con quattro edizioni in 22 anni. Rossi, recependo le lezioni di Paracelso sulla iatrochimica, si fa interprete, dimostrando l’utilità del processo di distillazione per le conoscenze mediche, del rinnovamento decretato dall’applicazione della chimica alla medicina. La distillazione, nota agli egizi e praticata da greci e romani, era in antico impiegata in profumeria e per usi alimentari come la dissalazione dell’acqua del mare; furono gli arabi ad impiegarla per le  bevande.  Nel X secolo la Scuolamedica salernitana la applicò essenzialmente a piante e fiori utili in medicina. Al medico padovano e ferrarese d’adozione Michele Savonarola (1384-1468) si deve l’invenzione del primo strumento per produrre un’acquavite distillata dal vino. 32 Anche per Girolamo Rossi la distillazione etilica, intesa come separazione del puro dall’impuro, è inserita in un ambito prevalentemente medico-terapeutico (fig. 28, fig. 29).

In Classense, oltre a tre delle edizioni a stampa, è conservata, tra i manoscritti di provenienza Spreti, l’inizio della stesura originale dell’opera. 33

Nella Disputatio de melonibus Rossi mette in risalto le virtù terapeutiche e le qualità curative del melone. Oltre ad un excursus storico sull’origine e la diffusione del melone, il medico ravennate descrive in maniera dettagliata le diverse famiglie di cucurbitacee, i diversi tipi di meloni con le relative denominazioni e caratteristiche, dando indicazioni per ottenerne un efficace uso terapeutico (fig. 30). 34

Ancora a due medici ravennati vissuti nel ’500, Tommaso Tomai e Tommaso Giannotti Rangoni si devono altre due operette nelle quali il cibo e le abitudini alimentari sono poste in relazione alla preservazione della salute. 35

Tommaso Tomai (m. 1593), medico e letterato, fu come Rossi autore di una storia della città, l’Historia di Ravenna pubblicata anche da Tebaldini nel 1580 (prima edizione Pesaro, Aloisio Giglio, 1574). Sua è anche un’altra fortunatissima opera, l’ Idea del giardino del mondo pubblicata a Bologna per Rossi nel 1586 (fig. 31). L’opera, è una compilazione di conoscenze degli antichi «sì nelle materie filosofiche, e sì in cose dilettevoli e gioconde» come la definisce Filippo Mordani nelle Vite, fortemente caratterizzata dalla presenza di credenze superstiziose e dal gusto per il sovrannaturale e il prodigioso, insomma, assai lontana dal quasi coevo De destillatione di Rossi. Nei capitoli V e VI Tomai passa in rassegna, con frequenti riferimenti alle opinioni degli antichi, le proprietà medicamentose di alcune erbe e piante e dei «frutti della terra che si mangiano communemente da tutti» (fig. 32).

Tommaso Giannotti Rangoni (1493-1577), noto come “il Filologo” per la sua vasta cultura, fu professore di medicina, esercitò la professione medica, fu mecenate e notissimo per i pronostici e le operette astrologiche, nonché l’autore dell’ operetta, uscita in latino nel 1550 (fig. 33) e ripubblicata in volgare nel 1556, con il titolo Come l’uomo può vivere più de CXX anni, che tratta, attraverso consigli igienici e dietetici, dell'arte di prolungare la vita umana (fig. 34). 36

Al Settecento ravennate appartiene l’opera di due insigni naturalisti, Giuseppe Ginanni e il nipote Francesco. 37

La fama di Giuseppe Ginanni (1692-1753), si accrebbe notevolmente a seguito della pubblicazione dell’opera Delle uova e dei nidi degli Uccelli pubblicata a Venezia nel 1737, in due volumi e riccamente illustrata (fig. 35). 38 L’autore, che prende in esame 111 specie di uccelli, fornisce al riguardo anche indicazioni di ordine alimentare, distinguendo fra uccelli «che servono per delizia delle mense e che dilettano l’occhio», «che servono solamente per delizia delle mense», «che sono buoni a mangiarsi ma che non servono per delizia delle mense», o «che poco sono buoni a mangiarsi». In alcuni casi alla denominazione dei singoli uccelli è aggiunta quella con la quale sono noti a Ravenna.

Francesco Ginanni (1716-1766) seguì negli studi naturalistici le orme dello zio del quale oltre a pubblicare nel 1757 le opere inedite, catalogò i materiali raccolti nel suo museo. Le due opere maggiori di Francesco, non considerando in questa sede le dissertazioni composte nell’ambito delle attività delle accademie letterarie cittadine e della Società letteraria ravennate, sono da considerarsi lo studio Delle malattie del grano in erba (fig. 36), 39 condotto seguendo il consiglio dello zio Giuseppe di dedicarsi ad un tema non ancora esplorato e che, a fronte di un notevole impegno gli avrebbe garantito notevole fama, e l’Istoria civile e naturale delle pinete ravennati uscita postuma nel 1774 (fig. 37). 40 Tuttavia il lavoro sulle malattie del frumento riuscì ad essere pubblicato quando ormai erano già noti gli studi sulle malattie del grano condotti da Matthieu Tillet e la parte più interessante dell’opera del Ginanni rimane l’indagine storico-filologica sulla terminologia antica e moderna.

L’Istoria delle pinete, che il cugino Pietro Paolo nelle Memorie definisce «una grand’ opera […] nella quale con somma esattezza trattava di tutte le piante, ed erbe, delle diverse qualità del terreno, degli animali quadrupedi, volatili e insetti, che nelle medesime [Pinete] si trovano», 41 oltre a contenere pagine interessanti sui pinoli, definiti dall’autore «i pinocchi migliori dell’Italia» e sulle operazioni di raccolta è corredata da un ricco apparato di tavole (fig. 38, fig. 39). Nella sezione dedicata agli Usi del Pino, del Pinocchio, e della Pina, citando anche l’elogio dei pinoli che si legge al libro 24 nella Naturalis Historia di Plinio, Ginanni riferisce del «Grande spaccio per uso delle vivande» che dei pinoli si «facea qui ne’ passati tempi» e da conto del pinocchiato, una confettura di zucchero e pinoli.

E in conclusione, la pineta è ancora fonte d’ispirazione per il poeta ravennate Jacopo Landoni (1722-1855) che pubblica nel 1841 il poema didascalico Il pineto (fig. 40). 42 Al libro secondo a proposito delle utilità del ginepro, si trova una curiosa menzione di un surrogato di vino dalle bacche di ginepro, nel libro terzo sono illustrati i frutti del pineto e gli usi medicamentosi di alcune erbe, nel quinto infine, che si propone di descrivere «l’amenità del Pineto», «si tratta degli utili, che oltre al pinocchio si hanno dal pino».  Segnalo infine che è dello stesso Landoni la traduzione in ottava rima, del poema giocoso La gastronomie di Joseph Berchoux che, con il titolo La gastronomia, cioè Ammaestramento ai bravi mangiatori, fu pubblicato a Ravenna nel 1838. 43

* Le note al testo sono consultabili - e stampabili - anche negli allegati in fondo alla pagina.

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Dopo il conseguimento del diploma di laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Urbino con una tesi in paleografia greca, Floriana Amicucci ha proseguito la sua formazione con i diplomi di Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso la Scuola dell’Archivio di Stato di Modena e di master universitario per operatori museali e archivisti organizzato dall’Università degli Studi di Bologna. Dal 2005 è dipendente dell’Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna presso l’Ufficio Manoscritti e Rari e dal 2015 ricopre il ruolo di Conservatrice.

Dopo il diploma di perito industriale, Gabriele Pezzi ha conseguito l’attestato di qualifica professionale di fotografo grafico e per sussidi audiovisivi e l’attestato di fotografo d’arte e di architettura. Lavora dal 1980 in qualità di fotografo presso la Biblioteca comunale Classense, dove esegue la riproduzione (foto, microfilm, digitalizzazioni) di libri e altri documenti anche per mostre, cataloghi e pubblicazioni.