Cucina di corte e cultura gastronomca parmense. Luigi Pelizzoni

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Disegni di piatti farnesiani, 1639 - Biblioteca Palatina, ParmaLa storia dell’alimentazione a Parma con particolare attenzione alla cucina di corte necessita di alcune premesse. La prima notizia risale alla Chronica di frate Salimbene De Adam che parla di un suo confratello che degusta ghiottamente le lasagne col formaggio, probabilmente condite con burro; qualcuno sostiene che si trattasse di tortelli, i famosi tortelli d'erbetta parmigiani. Forse sono anche famosi e in uso nel resto della regione, non so, magari come ci sono anolini e cappelletti, tortelli e tortellini, ecc., diverse paste ripiene lavorate in modo analogo, è possibile che ciascuno sostenga che appartengano alla propria tradizione famigliare, infatti si trova una certa somiglianza negli elaborati in tutta la regione. Esiste una ricetta antica, precedente al trattato medievale di mastro Martino da Como, presente in tre manoscritti del Tre e Quattrocento, definita Torta parmesana bona. Quando si legge la ricetta,Emilio Faccioli, L'arte della cucina in Italia, Torino, Einaudi, 1987 che è talmente ricca di spezie e di elaborazioni, da stancare il cuoco, si prova una certa disassuefazione. Nell'Arte della cucina in Italia, una raccolta monumentale di ricettari dal Trecento in avanti, curata da Emilio Faccioli, sono trascritti i testi dei tre manoscritti, che hanno origini diverse; uno è toscano, uno è veneziano, l'altro è meridionale e in tutti si trova un'analoga ricetta per la preparazione della Torta parmesana bona. Se si analizzano i componenti della complessa preparazione, che prevede la sovrapposizione di sei o sette strati di elaborati differenti, emergono somiglianze non vaghe con le nostre paste ripiene. Due ingredienti specifici, il formaggio grattugiato e il prosciutto crudo, tipici di Parma, potrebbero aver dato il nome alla ricetta. Non dobbiamo poi trascurare che Giovanni Boccaccio, nel suo paese di Bengodi, descrive una montagna intera di formaggio parmigiano grattugiato; nei documenti medievali, si trovano numerose notizie sui prodotti di Parma e sui relativi elaboratori.

Anche la figura del cuoco ha origini medievali, ad esempio, nelle prescrizioni per chi redigeva gli statuti cittadini si contempla il divieto per gli incaricati della stesura di avere rapporti con l'esterno; venivano isolati perchè decidessero in fretta e in totale autonomia, come succede ancora nel conclave. Fra i corrieri, coloro che comunicavano fra l'interno e l'esterno dell'adunanza, era previsto ci fosse almeno un cuoco. Quello del cuoco era, fin dal '200 e dal '300, e ritengo sia ancora, un mestiere molto importante.

Nel Rinascimento la cultura gastronomica era in pieno sviluppo, come testimoniano i numerosi trattati italiani sull'argomento e la loro diffusione in tutta Europa. Ma, altrettanto doveva valere all'inverso e non si devono quindi trascurare le possibili influenze esercitate sulla nostra cucina dalle altre culture europee. Guerre e invasioni, scambi commerciali e legami matrimoniali fra corti straniere sono le fondamenta per la contaminazione fra culture diverse. Per esempio, con Caterina de' Medici, l'Italia ha esportato gran parte del gusto e della cultura toscane nella Francia del Cinquecento, e sembra che, alla corte aragonese, operasse almeno un cuoco italiano; intendo dire che abbiamo diffuso la nostra cultura alimentare in tutto mondo.

Livro de cozinha da Infanta D. Maria, Lisboa Imprensa nacional-casa da Moeda, 1986

Questa premessa per arrivare all'argomento che desidero sviluppare, la sinergia fra le culture gastronomiche di diversi paesi e Parma. Credo sia naturale che ciascuno di questi regnanti stranieri, che hanno governato Parma, si sia portato appresso una parte della propria cultura, specialmente alimentare. Della corte di Margherita d'Austria (1522-1586), moglie di Ottavio Farnese (1524-1586), vissuta peraltro sempre fuori dal ducato, non si conosce molto. Mentre un documento insostituibile sotto questo aspetto è il Livro de cozinha da infanta d. Maria, moglie di Alessandro Farnese (1545-1592), il cui originale si trova oggi alla Biblioteca Nazionale di Napoli. L’edizione a stampa del manoscritto, curata da Giacinto Manuppella e Salvador Dias Arnaut nel 1967, è composta da due volumi; il primo, che ne è la premessa, è un saggio sulla cucina portoghese nel Medioevo. Si tratta di un'importante testimonianza che la cucina non ha una storia solo in Italia. In tutta Europa si elaboravano, si studiavano, si redigevano opere sulle specifiche elaborazioni gastronomiche, Quindi il libro di cucina dell'infanta di Anthonis Mor (bottega), Ritratto di Maria d'Aviz di Portogallo - Pinacoteca Stuard, ParmaPortogallo Maria d'Aviz (1538-1577), che arriva nel ducato dopo il 1565, è sicuramente uno dei capostipiti delle influenze straniere nella cucina di Parma. Dobbiamo considerare un aspetto specifico dell'epoca; ogni trasferimento di questi personaggi è considerato pressoché definitivo ed è necessario ricordare che ciascuno, trasportava con se "tutto", non solo l'indispensabile come facciamo oggi. E fra il tutto c'erano anche le fidate persone di servizio. Ho studiato a fondo il viaggio che compie Elisabetta Farnese per andare in Spagna come sposa di Filippo V di Borbone (da cui originano le dinastie Borbone-Parma e Borbone-Napoli). Il viaggio via terra è durato tre mesi; era accompagnata da centoventi persone, fra queste c'erano diversi nobili ognuno con propri servitori. Fra il personale a disposizione della regina c'era anche un cuoco, con qualche giovane aiutante. E' vero che l'ordine ricevuto era di licenziare il seguito e mandare tutti a casa appena arrivata in Spagna, ma nel frattempo è possibile pensasse: "mi porto il mio cuoco, che mi prepara i cibi che desidero, mi creo le mie ricette, ho il mio ricettario in tasca. Poi quando sono arrivata mando qualcuno dal cuoco di corte a dirgli: senti questa è la ricetta, seguila per filo e per segno, e alla fine dell'opera riesco a mangiare ancora il cibo che consumavo a casa". E'Pier Ilario Spolverini (cerchia), Elisabetta Farnese -  Galleria Nazionale, Parma questo che si costruiscono e si trasportano, la propria cultura anche gastronomica e di sicuro tutti i principi, dal Cinquecento all'Ottocento, disponevano del loro cuoco e magari anche di quaderni, brogliacci e appunti relativi alle ricette delle vivande preferite; purtroppo questi manoscritti sono le prime cose che si perdono; la dispersione dei documenti usati con frequenza o passati da mano a mano è facilissima.

In ciascuna corte le figure collegate all'alimentazione sono molto numerose, dal mastro di casa, ai cuochi e loro aiutanti, agli addetti alla dispensa e alla credenza, pasticceri e cantinieri o canonari, come venivano chiamati da noi, almeno nel Seicento; c'erano degli specialisti, i trincianti o scalchi, spesso di nobili origini, che tagliavano il cibo e lo somministravano già pronto, perchè fosse a bocconcini, senza che ci si dovesse impegnare a tagliarlo. A Parma, ad esempio, tutti gli impiegati di corte risultano elencati nei Ruoli dei provvigionati conservati all'Archivio di Stato con l'indicazione delle specifiche mansioni; e si possono ritrovare seppur con qualche difficoltà. Quando un dipendente svolgeva una funzione, per esempio faceva il cuoco, e cessava il servizio a volte veniva indicata la persona subentrante, conseguentemente è possibile conoscere la successione degli impiegati. Ad esempio, Michele Cannarozzi risulta cuoco alla corte parmense fino al 1659; alla sua morte gli subentra Carlo Nascia. Di questo cuoco, di origini palermitane, la Biblioteca Palatina conserva uno dei quattro manoscritti finora conosciuti Li quattro banchetti per le quattro stagioni dell'anno. E' un'opera costruita proprio sull’allestimento di un magnifico ricevimento da realizzare in città o in campagna a seconda della stagione; le ricette sono tutte inserite nel discorso del banchetto e dei vari passaggi fra le diverse elaborazioni e somministrazioni. E' un ricettario prodotto nello stile della corte dei Farnese; sono premessi i Trionfi (figure allegoriche o storiche fatte di zucchero che fanno da cornice alla mensa), seguono i piatti freddi, quelli caldi e gli arrosti, almeno 20 di ciascuno per ogni stagione; minestre, pasticci, torte, sapori, salse, conserve, quadrupedi, volatili, pesci di mare e d’acqua dolce, uova, biscotti, erbe, funghi e pesci salati; l’imbandigione per l’inverno è definita “Pasto alla francese … e vi vuole della robba assai”; in tutto sono oltre 560 ricette. Il libro è stato pubblicato da Forni, a cura di Massimo Alberini, nel 1981, in parte in stampa anastatica, su una facciata, con a fronte la trascrizione e le eventuali note del curatore.Antonio Maria Dalli, Piciol lume di cucina, ms. A Carlo Nascia subentra Antonio Maria Dalli, che detta il Piciol Lume di cucina, pubblicato nel 1987 da Marzio Dall'Acqua. Mentre Nascia esprime la grandiosità dei conviti di corte allestiti per numerose persone e con decine di portate diverse per ogni piatto, in ogni fase del pranzo, in Dalli le ricette sono in regolare sequenza, in modo da permettere al cuoco di  estrapolare e decidere in maniera più libera. Nel Piciol Lume (l'unico esemplare conosciuto è posseduto dalla Palatina e reca la data 1701) Dalli pone frequentemente all'attenzione del preparatore i possibili rischi di errore e le procedure corrette per l'elaborazione. Dalla prima lettura mi aveva colpito un avvertimento per il cuoco e la cuciniera: Deve sopra il tutto haver riguardo alla pulicia, non tanto della Cucina, ne Rami, e Piatti, come nelle Persone ... Procura sopra il tutto di non salar tropo, potendosi sempre aggiontare, che à levarlo non riesce si facile, giovando in quest'Arte assai la pratica, e cucinando le Vivande in Vasi di terra vitriati, riescono migliore. Entrambi i manoscritti, esposti nella mostra del Pane, sono stati scritti da Carlo Giovannelli, del quale non abbiamo dati biografici, ma resta il fatto che doveva essere molto interessato alla gastronomia visto che redige sia i tre manoscritti di Nascia che quello di Dalli. Come dicevo nel caso di Maria d'Aviz, sicuramente anche altri principi e principesse si sono portati il proprio cuoco e le proprie ricette. Ai Farnese subentrano i Borbone, non nel 1731 ma, dopo un periodo di dominio austriaco, all'inizio del 1749. Alla corte dei Borbone si parla francese e molti addetti alla cucina di corte sono stranieri; sembra che nel 1770 i francesi rappresentassero quasi il 10% della popolazione di Parma; al seguito del primo duca, don Filippo di Borbone, giunge fra gli altri anche il cuoco Rousseau. La gastronomia parmense subisce influssi differenti: il duca è spagnolo mentre la duchessa è francese e a Parma risiedevano gli ambasciatori dei due reami. La passione dei duchi per il teatro motivava una diffusa frequentazione della corte da parte della nobiltà, che ne acquisisce anche i gusti. Dopo il periodo di occupazione francese, che trasforma la società cittadina sotto i molteplici aspetti dei principi rivoluzionari, creando una mentalità più aperta al cambiamento, giunge a Parma la nuova duchessa Maria Luigia d’Asburgo, moglie di Napoleone. Al suo seguito arrivano cuochi e pasticcieri francesi, che nel 1816 costituiscono oltre il 50% degli addetti ai "servizi di bocca", e viennesi. Il clima parmense non era certamente il più salubre e la città non offriva grandi distrazioni, ben presto molti chiedono di potersi ritirare e a poco a poco sono sostituiti da parmigiani e italiani. Fra questi ci sono il cuoco di discendenza francese Luigi Rousseau e il viennese Daniele Spies, ultimi cuochi di Maria Luigia. Fra questi spicca la figura del romano Vincenzo Agnoletti, figlio d’arte e redattore di diverse opere gastronomiche, assunto con la qualifica di aiutante della confettureria, dipendente dalla canditeria diretta dal francese Alexandre, presente a Parma da decenni. La specializzazione di Agnoletti era la preparazione dei gelati, dei quali la duchessa era assai golosa, ma a causa dell’invidia dei colleghi, resterà a Parma solo dal 1821 al 1826, ottenendo comunque una pensione. Nei suoi ricettari considera le innovazioni architettoniche apportate agli ambienti destinati alle cucine, le attrezzature, gli strumenti e le tecniche più innovative da utilizzare per realizzare i diversi preparati e ottenere ricette sempre più gustose. Purtroppo le edizioni originali di queste opere non risultano nei cataloghi della Biblioteca.

Un lascito viennese sono certamente i Kipfel, i famosi Ciprén, un tipo di croissant, una specie di pasticcino a forma di mezzaluna ormai tipico di Parma, che qualcuno sostiene prenda il nome da Gippheric, fornaio alla corte degli ultimi Borbone (1847-1859). Ma i Kipfel erano già forniti alla tavola di Maria Luigia dal fornaio tedesco Antonio Schreiber, che aveva bottega nei pressi del palazzo ducale.

Cent'anni dopo la fine del ducato compaiono gli epigoni di CarloIl nuovo cuoco economico, 1a edizione parmense, Parma 1853 Giovannelli, gli studiosi della gastronomia locale che raccolgono le ricette tipiche di Parma, le elaborano e trascrivono, decantando le eccellenze culinarie del territorio. Il primo fra questi è don Ferruccio Botti, che sotto lo pseudonimo di Mastro Presciutto, scrive Gastronomia parmense ossia Parma capitale dei buongustai. Dopo la prima edizione (1952), succede a Botti quello che era successo ad Artusi, riceve cioè indicazioni e ricette dalle massaie del territorio parmense che lamentano l’assenza nel suo libro di una torta, di un tipo di preparazione, di un liquore originario, ecc.; il ricettario di Botti, che all’inizio contava 200 ricette, nella quinta edizione (1967) ne conta almeno 450. Nel sistema di ricerca in uso per i libri posseduti dalle biblioteche locali, alla voce Parma cucina compaiono più di 500 opere, oltre a Botti sono da ricordare: Aldo Emanuelli, Baldassarre Molossi, Guglielmo Capacchi, Marzio Dall'Acqua, Giorgio Bernardini, Andrea Zanlari, Fausto Razzetti, Mario Zannoni, Lorenzo Sartorio, il pasticcere Ugo Falavigna, e i cuochi Giulio Cerati, Augusto Farinotti, Massimo Spigaroli e la Trattoria da Romeo. Non è trascurabile il costante contributo di Giovanni Ballarini, professore alla facoltà di Veterinaria dell'Università di Parma per quarant'anni, che ha scritto innumerevoli saggi scientifici, ma si è occupato e si occupa oggi, ancora più di prima, di alimentazione. Devo dire che alcune sue opere sono davvero fondamentali, come Il Triangolo Culinario, scritto con lo pseudonimo di John B. Dancer, che illustra le ragioni culturali, ambientali e climatiche per cui a Parma si riscontra l'eccellenza nella gastronomia e prosciutto, formaggio, culatello e altri prodotti ed elaborati risultano di ottima qualità. Diverse istituzioni di carattere alimentare hanno origine nell'Ottocento e si possono far risalire al Giornale economico agrario, promosso da Moreau de Saint-Méry, Anonimo, Trattato di agricoltura, ms. cartaceo sec.  XVIII-XIX, in Raccolta Manoscritti, b. 138;  Attreci Rusticali per Indemiare, p. 763 - Archivio di Stato di Parmapubblicato nel 1803 e 1804. A Carlo Rognoni, autore della Raccolta di proverbi agrari e meteorologici del parmigiano, si devono le ricerche che hanno originato e diffuso la cultura del pomodoro, ben presto estesa a tutto il territorio parmense, anche tramite il Bollettino del Comizio Agrario (1868-1900). Un altro agronomo importante è Antonio Bizzozero, fondatore dell’Avvenire agricolo (1893-), che organizza la Cattedra ambulante di agricoltura, tramite la quale vengono diffuse le innovazioni, anche nella preparazione del formaggio. Da queste iniziative si origina l'industria per la conservazione degli alimenti, che a Parma ha una storia e un'importanza mondiale. Per la ricerca sulle migliori pratiche da adottare viene in seguito creata la Stazione sperimentale per l'industria delle conserve alimentari, ente di diritto pubblico dal 1922, dotata anche di un ricca emeroteca. Oltre alla Biblioteca Palatina, che custodisce il più vasto patrimonio bibliografico della città, con preziose opere antiche e manoscritte sull'agricolura e sull'alimentazione, dagli ultimi decenni sono attive diverse biblioteche specializzate, come la Biblioteca Civica, che ha assorbito di recente la Biblioteca Bizzozero, nata in seno alle istituzioni preposte allo sviluppo agricolo del Parmense. Sono sorte sul territorio alcune eccellenze di livello universitario: l’Academia Barilla, con una propria Biblioteca Gastronomica di oltre 13.000 libri e la Scuola Internazionale di cucina italiana, ALMA, con una libreria ricca di circa 13.000 titoli. Anche l'Università di Parma col Dipartimento di scienze degli alimenti, contribuisce allo sviluppo culturale di ambito alimentare con propri corsi. Ultimamente per valorizzare ancor più ciascun prodotto, peculiarità specifica del nostro territorio, sono stati realizzati i Musei del cibo, che attualmente sono sei e sono dedicati: al formaggio parmigiano-reggiano, al prosciutto, al vino, al pomodoro, alla pasta, al salame e probabilmente aumenteranno, perchè ad esempio il culatello è un’eccellenza che non è possibile trascurare. L'attività degli agronomi dell'Ottocento, come Rognoni e Bizzozero, prosegue ancora oggi grazie all'Azienda agraria sperimentale Stuard. Ma quando si parla di food valley si deve intendere tutta la pianura padana; ci sono le peculiarità di Parma e di ciascuna provincia della regione e delle zone limitrofe. Parma costituisce un centro importante di cultura della gastronomia italiana a fianco di molteplici realtà simili. 

Banchetto in onore di Ottavio Farnese, disegno ca. 1606 - Archivio di Stato di Parma, Raccolta Mappe e Disegni, vol. 66/310


Luigi Pelizzoni nasce a Sissa (PR) il 25 maggio 1954, compie i propri studi presso l'Istituto Magistrale Albertina Sanvitale e all'Università di Parma conseguendo la Laurea Magistrale con una tesi sulla Scuola Militare di Parma (1818-1859). Dal 1979 presta servizio pressola Biblioteca Palatina; ha partecipato all'allestimento delle principali esposizioni dell'istituto o riguardanti i materiali librari e tipografici della Biblioteca e del Museo Bodoniano di Parma. Ha scritto numerosi articoli e saggi riguardanti in special modo il patrimonio dell'istituzione, la gastronomia e la tipografia parmense.