Le stimmate di san Francesco

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TECNICA: Olio su tela

DIMENSIONI: cm 360x245

DATA: 1594-1595

 

La tela fu commissionata al Barocci dal duca Francesco Maria II della Rovere; la "Nota di spese" del Duca indica che il dipinto, destinato alla chiesa dei Cappuccini di Urbino, fu eseguito negli anni 1594-1595. Nel 1811 l’opera fu requisita dagli emissari napoleonici, che la portarono alla Pinacoteca di Brera, dove rimase fino al 1826, quando fu ricondotta presso l’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini. Nel 1866, in seguito alla soppressione delle congregazioni religiose, il dipinto entrò a far parte della Galleria dell’Istituto di Belle Arti di Urbino e, dal 1913, della Galleria Nazionale delle Marche.

Un discreto numero di studi preparatori documenta l’elaborazione della composizione; Barocci aveva già affrontato il tema iconografico delle stimmate in due occasioni, meditando profondamente sulla figura e sulle vicende di san Francesco. Francesco, alter Christus, sopportò fisicamente e moralmente la passione e affidò all’umanità un messaggio di salvezza. Qui la figura del santo contempla intensamente il crocifisso con estatica attesa, simbolo di un alto contenuto dottrinale. In questo dipinto l’artista raggiunge esiti di altissima qualità e la composizione risulta più grandiosa ed innovativa rispetto alle interpretazioni precedenti; per la particolarità dell’ambientazione, inoltre, l’opera è stata giudicata uno dei più bei notturni della pittura italiana tra Cinquecento e Seicento.

Certamente Barocci mostra riferimenti culturali importanti, ad esempio alle "Stimmate" di Giorgio Vasari nella chiesa di San Francesco a Rimini (oggi Tempio Malatestiano) e alle opere di analogo soggetto di Girolamo Muziano. L’iconografia scelta rimanda alla narrazione di Tommaso da Celano (1247), sviluppata da san Bonaventura (1262) nella sua "Vita di San Francesco": mentre Francesco pregava sul monte della Verna, gli apparve improvvisamente un serafino che aveva sei fiamme e ali splendenti; avvicinatosi, il santo vide tra le ali la figura del Crocifisso e un sentimento di gioia e dolore insieme si impossessò di lui. Francesco subì così lo stesso martirio corporale di Gesù, attraverso l’impressione delle stimmate.

Barocci dipinge un’immagine di straordinaria intensità, caratterizzata da un uso magistrale delle modulazioni luministiche. La luce emanata dal Cristo serafino, che appare in alto tra le nuvole, spezza le tenebre, investe i protagonisti e pone in evidenza alcuni dettagli della scena: il falco che, in alto a sinistra, abbagliato di fronte al lampo divino, rimane avvinghiato al ramo; la chiesetta urbinate dei Cappuccini, che, con la sua inconfondibile facciata, si può individuare nel desolato e fosco paesaggio boscoso; la scena dell’uccisione di Abele da parte di Caino di fronte all’edificio religioso, vicino ad un falò. La luce, inoltre, avvolge i sassi del sentiero, le piante del sottobosco, i massi e il tenero tufo, con riflessi argentei sulle cortecce dei faggi.

Assolutamente significativa, infine, è la figura di frate Leone, seduto a terra, che si copre gli occhi abbagliato dalla luminosità che ha squarciato la scena. Leone, girato verso san Francesco, costituisce un medium tra il proscenio e il santo inginocchiato, rappresentato in estatico rapimento.