Andrea Gritti

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Doge di Venezia dal 20 maggio 1523 al 28 dicembre 1538

Nasce il 17 aprile del 1455 a Bardolino nel Veronese e resta ben presto orfano di padre; si occupa di lui il nonno paterno, il quale lo fa istruire a Venezia in casa propria, per poi fargli completare gli studi in filosofia a Padova e gli permette in seguito di accompagnarlo nelle missioni diplomatiche in Inghilterra, Francia e Spagna. Viene descritto come un uomo intelligente, colto, affascinante e bello.

Dopo essere rimasto vedovo molto giovane, si trasferisce in qualità di mercante a Costantinopoli, nel quartiere Pera, e mette su famiglia con una giovane greca dalla quale ha quattro figli naturali, condizione che impediva l'accesso alle cariche pubbliche, ma non a Costantinopoli. Supportato dagli ingenti guadagni, si afferma come rappresentante della comunità veneziana a Galata e costruisce un rapporto privilegiato con alcuni degli alti funzionari turchi vicini al Sultano. Per questo motivo, in occasione dell'espulsione del Bailo Girolamo Marcello (1492) e del peggiorare dei rapporti tra Venezia e il Turco, egli è chiamato a colmare il vuoto di rappresentanza diplomatica e mantiene un'intensa comunicazione con la patria attraverso la corrispondenza (in una lettera del 19 giugno 1499 si dilunga sui tappeti, descrivendo in realtà la flotta turca). Il suo scambio di missive viene intercettato ma, a differenza dei collaboratori, gli viene risparmiata la vita in virtù dei buoni rapporti con il Gran Visir e della simpatia riscossa presso il sultano Bajazet. Nell’agosto del 1499 viene quindi imprigionato nelle Sette Torri del castello di Yedi Kule, provocando un grande sconcerto. Lì rimane per trentadue mesi fino a quando il Sultano lo libera e lo impiega come negoziatore e traduttore del testo da redigere per la pace con Venezia.

Prossimo alla cinquantina, Gritti rientra a Venezia e inizia a svolgere le tappe del cursus honorum: viene eletto Savio del Consiglio, membro del Consiglio dei Dieci e durante la guerra contro la Lega di Cambrai si distingue combattendo come comandante e valente soldato. Ad Agnadello riesce a sopravvivere portando in salvo lo stendardo con l’immagine di San Marco: la bandiera lacera verrà in seguito ricondotta a Venezia ed esposta nella chiesa di San Giovanni e Paolo. Dopo la morte del Capitano generale Niccolò Orsini, Gritti regge come Provveditore il comando dell’esercito di terra. Nel 1509 ottine la carica di Procuratore di San Marco de supra e, mentre continua a mediare con il Turco in nome di Venezia, viene inviato come Provveditore generale in Lombardia per appoggiare Francesco I durante il conflitto che va profilandosi contro l’Imperatore d’Austria Carlo I d’Asburgo e intanto si prospetta l'idea di una sua candidatura come doge. Nel 1511 durante l’assedio di Brescia viene catturato e imprigionato dai francesi ma nel castello sforzesco di Blois conosce e diviene amico del futuro re, Francesco I di Valois, ponendo le basi per l’alleanza veneto-franca che viene sottoscritta nel 1513. È anche eletto Capitano da Mar nel 1514 per fronteggiare una nuova possibile minaccia turca, ma la sua resta una carica solo nominale in quanto non salperà mai con la flotta.

Nel frattempo la guerra continua fino alla pace sancita a Noyon nel 1516, in cui la Serenissima si vede riconosciuto il dominio su tutti i territori già posseduti prima del conflitto, tranne per alcune eccezioni: alla Spagna i porti pugliesi, al papa la Romagna, al ducato di Milano Cremona e la Ghiaradadda, all’Austria Rovereto, Cortina, Gorizia, Trieste e le miniere di Idria; Venezia ottiene invece Pordenone.

Tornato a Venezia, divenuto Provveditore dell’Arsenale, riprende la sua attività di commerciante con Alvise Pisani nella vendita di cereali, ma la abbandona quando muore il doge Antonio Grimani e si candida al dogado. Viene eletto di stretta misura nel 1523, grazie al ritiro del suo antagonista più quotato, Antonio Tron.

Nei quindici anni da Doge, Gritti attua una politica di equilibrio tra Francia e Impero, tenendo sempre sotto controllo anche la possibile minaccia turca proveniente dal mare. In patria si occupa soprattutto di materia di acque, dell’annona e fa raccogliere le leggi che riguardano la riscossione dei tributi veneti. Cerca di riformare la prassi del governo secondo criteri più aggiornati e si preoccupa di rinvigorire la società patrizia introducendo costumi più aristocratici, accanendosi inoltre contro i riti popolari, considerati volgari a partire da quelli previsti durante il Carnevale. Viene descritto come un uomo sempre attento all'abito da indossare in occasione degli eventi pubblici. Questa sua attenzione per il decoro è parallela al suo interesse per la ristrutturazione e il riallestimento degli spazi cerimoniali della Piazzetta e di Piazza San Marco. È ben noto infatti il suo patrocinio per Adriaan Willaert, Pietro Aretino e Jacopo Sansovino.

Nonostante gli indiscussi meriti militari e diplomatici, il suo senso del dovere, gli sforzi anche economici in favore del popolo, come le distribuzioni di grano a prezzo politico e i discorsi pubblici di taglio paternalistico, questo Doge a Venezia non viene mai amato: lo si accusa di avere figli «bastardi», di essere filo-francese, seduttore, autoritario, prepotente, prevaricante, invadente e «tyran». Muore nel 1538 a ottantatre anni ed è sepolto nella Chiesa di San Francesco della Vigna, di cui nel 1534 ha promosso la ricostruzione affidandola a Sansovino.