Il Sangiovese. Giuseppe Sangiorgi

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Uva sangioveseAscoltando l’intervento di Giuseppe Bellosi, essendo questo un incontro sull’alimentazione, mi chiedevo se il vino sia un alimento o un piacere o qualcos'altro. Un tempo era certamente alimento, tant'è che un romagnolo veniva valutato come uomo, anzi come maschio, per quanta carne mangiava e quanto vino rosso beveva. Questi ne facevano un buon lavoratore e un buon riproduttore.
Quindi il vino, in particolare il vino rosso, che era quasi sempre il Sangiovese, era un alimento perché dava calore e forza, un alimento importante e non solo. Io sono di Casola Valsenio dove vive lo scrittore Cristiano Cavina, abbastanza giovane, il quale è stato battezzato col Sangiovese, rito che lui stesso ha ripetuto col proprio figlio. Giovanni Pascoli quando era alla Caprona a Castelvecchio di Barga diceva «io mi comunico con la Romagna attraverso il Sangiovese». Quindi il Sangiovese è qualcosa che appartiene alla vita, al pensiero, al carattere dei romagnoli.

Poco tempo fa un amico, Lucio Donati di Solarolo, il quale è un appassionato frequentatore dell'Archivio di Stato di Faenza, ha trovato un documento antico che riguarda il Sangiovese. Sapendo che io sono di Casola, un giorno mi telefona e mi dice: “Guarda, ho trovato un atto notarile del 1672 dove si parla del Sangiovese; te lo mando perché è un podere del Casolano”.
Avuta in mano la copia dell’atto, faccio una breve ricerca su internet e scopro che è il primo documento oggi conosciuto dove si trova la parola “Sangiovese”, preceduto da due sole citazioni ma con termini diversi: “Sangiogheto” nel trattato del 1600 Coltivazione toscana delle viti e d’alcuni alberi di Giovanvettorio Soderini e “Uva sanzuvesa” in un quaderno di cantina del 1651 dei Gesuiti di Faenza. 

La presenza del termine Sangiovese nell’atto notarile costituisce un caso molto fortunato perché in genere nel XVII secolo era raro trovare nei documenti la citazione del tipo di vitigno. Negli atti di affitto o di vendita compariva quasi sempre “terra vitata” o “vigna”. In questo caso una signora, proprietaria del podere Fontanella, posto a 400 metri slm., cede in affitto una vigna al parroco di Pagnano, tre filari di Sangiovese posti vicino a casa. A causa di quest’ultima condizione il notaio è costretto a indicare con precisione che si tratta di tre filari di Sangiovese.

Questo documento è di un'importanza straordinaria prima di tutto perché non cita un vino qualunque, che può venire chissà da dove, ma testimonia che lì si coltivavano tre filari di Sangiovese, termine scritto nella forma attualmente corrente. Un’importanza che nasce dall’essere il Sangiovese il vitigno più coltivato in Italia ed uno dei più diffusi nel mondo.

Partendo da tale documento ho scritto una storia del Sangiovese sulla base della consultazione di oltre 200 testi dal Seicento ad oggi. Ne è nata una pubblicazione – Sangiovese, vino di Romagna*– redatta a quattro mani con Giordano Zinzani che ha trattato gli aspetti enologici. Libro che ha gettato una nuova luce sulla coltivazione del Sangiovese in Romagna, fino ad ora ipotizzata a partire dal Settecento nella Romagna orientale.
Invece le prime citazioni si hanno nell’area faentina-imolese già nel corso del Seicento. Dopo quelle di Faenza e Casola, troviamo citato nel 1680 nell'archivio capitolare di Modigliana il “S. Giovese” perché i religiosi probabilmente si rifacevano al santo. Poi una citazione riguarda Imola, anzi i campi del Pradello, cioè del Piratello, a cavallo del 1700. Nel 1722 il ferrarese Girolamo Baruffaldi ricorda “quell'indomito imolese spiritato Sangiovese” e otto anni dopo i conti Ferniani di Faenza impiantano una vigna di Sangiovese alle Case Grandi di Errano. Nel 1744 a Solarolo la gabella di transito prevede il pagamento del dazio per il Sangiovese come il vino più costoso perché  molto considerato ed apprezzato. Tant'è che nel 1745 il parroco di San Biagio Vecchio, nei pressi di Faenza, subisce un furto e nella denuncia precisa: “E poi mi hanno anche bevuto un fiasco di Sangiovese che tenevo su un asse nella scala che andava in cantina”.
Giovan Battista Borsieri, un grande clinico bolognese, dopo alcuni anni di esperienze in Toscana, fu chiamato a Faenza a metà del Settecento per fronteggiare un’epidemia mortale che riuscì a debellare. Borsieri consigliava di bere, per i loro salutari effetti astringenti “il celebre vino di Romagna il quale dicesi Sangiovese o anco dell'Etrusco che prende il suo nome dal Monte Poliziano”, cioè il Montepulciano. Concludo le citazioni con il ricettario lasciato da Alberto Alvisi, cuoco del cardinal Gregorio Barnaba Chiaramonti, vescovo di Imola dal 1785 al 1800 e poi papa col nome di Pio VII, nel quale vengono elencati piatti a base di Sangiovese. Vino talmente raro e apprezzato che sul finire del Settecento il vescovo Chiaramonti regalò al Papa una vigna di Sangiovese, che venne impiantata nei giardini del Vaticano.
Nella Romagna centro orientale il Sangiovese compare solo nella prima metà del Settecento e uno dei primi a citarlo nelle sue memorie è Giacomo Casanova il quale, sempre alla ricerca di tesori e di donne, nell’estate del 1749 capita nella campagna cesenate dove gli offrono del Sangiovese. Casanova ha scritto le sue memorie in francese e quindi si è dovuto inventare il termine francese scrivendo Saint-Jevese.

Ho riportato diverse citazioni del Sangiovese in Romagna perché nei treGiovanvettorio Soderini Trattato della coltivazione delle viti Firenze 1600 p  120 simposi internazionali sul Sangiovese, svoltisi a Firenze nel 2000, 2004 e 2008 con studiosi da tutto il mondo, si è parlato molto del Sangiovese in Toscana e per quanto riguarda la Romagna è risultato che, sì il Sangiovese era anche in Romagna, ma compare solo nel Settecento in qualche poemetto nuziale. Invece compare molto prima come coltivazione anche al di fuori della Romagna toscana, quella parte di Romagna occupata per secoli dai fiorentini: come risulta a Faenza nel 1651 e nel 1672 a Casola Valsenio nel podere Fontanella della parrocchia di Pagnano (che all’epoca era in comune di Brisighella) e nel 1816 fu aggregato a Casola.

Benché il Sangiovese sia così diffuso, sono ancora molto incerte le sue origini, cominciando dal nome. Al riguardo si fanno più ipotesi: dagli etruschi, da San Giovanni Val d'Arno, dall'uva sangiovannina e molta diffusa in Romagna è la leggenda che rimanda al Monte Giove di Santarcangelo.
Secondo la maggior parte degli studiosi il Sangiovese è nato nell'Appennino Tosco-Romagnolo. Il termine “nato” non è del tutto esatto in quanto, in base al DNA, il Sangiovese è figlio di due vitigni: il toscano Ciliegiolo e un vitigno meridionale Montenuovo Calabrese. Non si sa dove e quando è avvenuto tale connubio ma certamente la sua culla è stata l'Appennino tosco-romagnolo e, a mio avviso, la parte alta delle valli  del Lamone, Senio e Santerno perchè le prime citazioni le troviamo nell'area faentina-imolese.
Se poniamo l’attenzione su tale territorio che fa parte della Romagna toscana colpisce la presenza di ben quattro monasteri vallombrosani fondati attorno al primo secolo dopo il Mille: Moscheta nei pressi di Firenzuola, Badia di Susinana in comune di Palazzuolo e S. Reparata e Crespino nei pressi di Marradi. Qui, ed in particolare a S. Reparata, monastero tra i più importanti,  il Sangiovese è stato “allevato” e adattato nel Basso Medioevo al clima di tali luoghi, tenendo conto che quello fu un lungo periodo caldo.
I monaci vallombrosani, abili viticoltori, avevano bisogno del vino rosso sul posto, soprattutto per le celebrazioni religiose, visto che solo con il Sinodo del 1565 è stato permesso di usare il vino bianco nella messa. Vino che veniva tratto da vigne coltivate dai monaci e dai loro contadini. Ad esempio, nel catasto di Palazzuolo del 1424 un contadino vicino alla Badia di Susinana denuncia del vino dipinto, cioè vino rosso, o vino nero come si diceva un tempo. A fine Ottocento, attorno alla Badia di S. Reparata erano ancora visibili i terrazzamenti delle antiche vigne ed anche qualche resto di esse tra faggi e castagni.

Quindi il vitigno Sangiovese, dopo alcuni secoli di adattamento e miglioramento nell’alto Appennino, è sceso in Toscana e in Romagna assumendo nomi e caratteri diversi, stante la sua sensibilità al terroir. Ad esempio, i vigneti posti nella collina romagnola prendono il sole del mattino, la collina toscana quello del pomeriggio. Riguardo alla diversa denominazione in Romagna si è sempre chiamato Sanzvës in dialetto e Sangiovese in lingua italiana, mentre in Toscana, fino alla seconda metà dell’Ottocento si è chiamato Sangiogheto, Sangioeto, Sanzoveto e Sangioveto.

Sia la definizione romagnola che quella toscana rimandano ad unaVendemmia - Museo della civiltà contadina, Villa Smeraldi, San Marino di Bentivoglio (Bo) comune origine di termini: i gioghi dell’Appennino tosco-romagnolo. Sicuramente per la seconda parte del termine, sia per il toscano San-giogheto che per il romagnolo San-giovese. Giovese deriva dalla italianizzazione del termine zovese cioè attinente ai gioghi che nel dialetto romagnolo vengono detti zôv. Meno certa è l’origine del prefisso San- per il quale si possono fare due ipotesi. Una, proposta da alcuni studiosi, rimanda al termine “sangue” che troviamo spesso associato al vino. Un originario “sangue dei gioghi” diventa sanguegiovese e per contrazione sangiovese e in Toscana sangiogheto. Nel dialetto della Romagna occidentale l’espressione originaria è sangve o sangv di zôv (sangue dei gioghi), da cui poi sarebbe derivata la locuzione sangv zôvës, e da questa sanzvës (o sazvës), italianizzato in  Sangiovese.
Più convincente, secondo i linguisti, appare una seconda e nuova ipotesi, ora possibile grazie alla recente individuazione, tramite il DNA, di una componente calabrese nel Sangiovese. Tra i tanti sinonimi toscani del Sangiovese si trova, pur se raramente, Sangineto, che è il nome di un antico centro della Calabria, già ricordato da Plinio “pe’ vini suoi squisiti” e come terra di origine della nobile famiglia dei Sangineto che ebbe contatti con la Toscana tra il XIII e il XIV secolo.

Nel 1284 Ruggero di Sangineto pose l’assedio a Scalea con un esercito proveniente da più parti, tra cui 100 balestrieri e 200 lancieri venuti da Firenze. Filippo di Sangineto, figlio di Ruggero, nel 1328 fu nominato dal Duca di Calabria suo vicario in Toscana e successivamente gran siniscalco di Provenza. Quest’ultimo durante il suo soggiorno toscano favorì scambi di diversa natura tra la sua terra di origine e i luoghi posti sotto il suo potere. In scritti toscani contemporanei e dei secoli seguenti Filippo di Sangineto è citato anche come de Sangioneto, de Sanginetto e Sanguineto. È pertanto probabile che un vitigno proveniente dalla Calabria, sia salito dalla Toscana sui gioghi dell’Appennino con una denominazione che rimandava a Sangineto come luogo di origine e da lì sia poi sceso in Romagna e in Toscana con un nome che, pur rifacendosi all’antico termine, ne connotava nella seconda parte i luoghi da cui proveniva, cioè i gioghi. Da qui Sangiogheto, Sanzoveto e Sangioveto in Toscana e Sangiovese in Romagna, compresa la Romagna Toscana cioè quel territorio occupato per secoli dai Fiorentini dalla conformazione triangolare, con vertice a Terra del Sole e gli angoli a Verghereto e Firenzuola, che nel 1923 fu aggregato alla provincia di Forlì, meno Marradi, Palazzuolo sul Senio e Firenzuola, rimasti in provincia di Firenze.
Cosicché gli abitanti della Romagna toscana se scrivevano a Firenze indicavano “Sangioveto”, mentre in ambito romagnolo prevaleva per lo stesso vitigno il termine “Sangiovese”, che in Toscana appare solo verso la fine dell’Ottocento. Perciò il nome Sangiovese è romagnolo e in particolare, per quanto è stato detto, dell’area appenninica faentina-imolese. Però nel dizionario romagnolo-italiano pubblicato dal faentino Antonio Morri nel 1840 il termine dialettale Sanzvës non viene tradotto in italiano in Sangiovese ma in Sangioveto. Si riteneva infatti che il termine corretto fosse il toscano Sangioveto, tant'è che a metà Ottocento Filippo Ugolini scrisse un vocabolario di parole errate sostenendo che “Sangiovese chiamano alcuni una sorta d'uva che debba dirsi Sangioveto”. Probabilmente perché in campo linguistico faceva testo il vocabolario della toscana Accademia della crusca e inoltre perché, rispetto alla Romagna, la Toscana vantava già dal Seicento molti trattati sulla coltivazione della vite e in tale regione la nobiltà promuoveva e seguiva la produzione e la commercializzazione del vino.

Ma, pur considerato errato, il termine Sangiovese si è affermato in Italia e nel mondo soppiantando Sangioveto. Come mai? Si possono fare due ipotesi. L’una fa capo all’usanza romagnola di vinificare il Sangiovese in purezza così che il vino è stato conosciuto con tale nome mentre in Toscana il Sangioveto era la componente, seppur importante, di vini con nome diverso: Chianti, Pomino, Carmignano. E quando Biondi Santi a metà Ottocento ha vinificato il Sangioveto in purezza lo ha chiamato Brunello. L’altra ipotesi rimanda al reimpianto dei vigneti, anche in Toscana, con barbatelle provenienti dai vivai romagnoli dopo la distruzione causata dalla fillossera nella seconda metà dell’Ottocento.

Ma se il vitigno Sangiovese ha una identità romagnola, l’alta qualità del vino che se ne ricava sia in Toscana che in Romagna si deve principalmente al sapere e all’esperienza dei viticoltori toscani. A loro si deve la rinascenza del Sangiovese e degli altri vini romagnoli negli anni Settanta del secolo scorso quando in Romagna si avvertì la necessità di abbandonare le consuete pratiche enologiche attente alla quantità più che alla qualità per affidarsi a figure professionali toscane, i cui successi in terra romagnola stimolarono le aziende a confrontarsi e ad avvalersi di enologi di provata esperienza grazie ai quali oggi la Romagna può vantare una produzione enologica di qualità.

www.romagnaterradelsangiovese.it

* G. Sangiorgi, G. Zinzani, Sangiovese, vino di Romagna. Storia e tipicità di un famoso vitigno e di un grande vino, Faenza, Consorzio Vini di Romagna, 2014.

Giuseppe (Beppe) Sangiorgi è nato e vive a Casola Valsenio, in provincia di Ravenna. Collabora da oltre trent’anni a quotidiani, settimanali e riviste su argomenti quali la storia, il paesaggio, le tradizioni e il patrimonio enogastronomico della Romagna, temi che ha trattato anche in una decina di pubblicazioni. Inoltre ha curato il soggetto, i testi e la regia di sei video documentari sulla Romagna vista attraverso i suoi vini, sulle pievi, rocche e torri della provincia di Ravenna e sui paesi della valle del Senio.
  • Stralcio con la citazione del Sangiovese dal rogito conservato all'Archivio di Stato di Ravenna, sezione Faenza, Archivio Notarile Casola Valsenio
  • Sangiorgi-Zinzani, Sangiovese vino di Romagna