Storie di agricoltura modenese nei libri dell'Accademia. Piera Medeghini Bonatti

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I libri rappresentano gli interessi di chi li acquista, li legge, li conserva.

Nel ricco patrimonio custodito nella Biblioteca dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena, già Accademia dei Dissonanti, trova piena espressione la radicata passione per l’agricoltura, da sempre diffusa nel territorio anche in ambienti non strettamente agrari.

Sono presenti, spesso in più di un’edizione, i trattati dei principali agronomi italiani e stranieri, dagli antichi Scriptores Rei Rusticae a de’ Crescenzi, summa del sapere agronomico medioevale, a Gallo, Falcone, Tanara, Estienne, Trinci, Tarello ecc.; accanto ad opere a carattere georgico, ad elogio della vita rustica e dell’agricoltura di tipo aristocratico che consente al proprietario terriero di trarre diletto anche dalle arti della caccia e del giardinaggio, s’incontrano manuali pratici, compilati da gentiluomini di campagna con finalità didattiche, e ancora opere d’impronta anche letteraria, molte delle quali riedite nell’800, come La coltivazione del riso di Giovan Battista Spolverini e le opere di Alamanni, Soderini, Vettori; infine ecco i più importanti testi dell’Ottocento (Rozier, Thaer, Cantoni), le enciclopedie e i trattati di chimica rivolta all’agricoltura (Davy, Malaguti, Selmi, Boussingault, Liebig), accanto ai quali trovano spazio anche operette sulla storia dell’alimentazione.

Giovanni Battista Spolverini, La coltivazione del riso, Verona 1758


Giovanni Battista Vicini, I vini modanesi, Modena 1752, IncipitMolte delle opere più preziose provengono dal lascito Rangoni. A Luigi Rangoni, già Direttore delle Pubbliche Scuole negli anni1797-1799, membro del Corpo legislativo del Regno d’Italia di Bonaparte, Ministro della Pubblica Economia ed Istruzione alla restaurazione del ducato di Modena, si deve la trasformazione dell’Accademia dei Dissonanti nell’attuale istituzione, della quale fu presidente a vita, dal 1814 al 1844. Nella Biblioteca accademica confluì inoltre l’intero Archivio della Società d’Agraria del Dipartimento del Panaro, quando questo istituto d’epoca napoleonica fu soppresso: si tratta di atti, memorie e documenti che rappresentano una fonte di preziose informazioni su tecniche e tradizioni agrarie del territorio modenese all’inizio del diciannovesimo secolo. 

Alcuni personaggi modenesi, in particolare nell’Ottocento, si occuparono di agricoltura con speciale attenzione alla loro terra. Si trattava in genere di proprietari terrieri dediti ad altre professioni, che esprimevano il profondo interesse per il mondo agricolo anche nell’impegno “formativo”, attraverso la stesura di scritti rivolti a fattori e contadini; nelle loro pagine è tracciata la storia di varie eccellenze agroalimentari modenesi.

Per conoscerne alcuni, si può iniziare da coloro che si occuparono di uno dei settori trainanti dell’agricoltura del territorio: la coltivazione della vite e la produzione vinicola. 

Tra le opere possedute dall’Accademia che trattano di questi temi, il componimento più singolare risale alla metà del Settecento: I vini modanesiBaccanale d’un Accademico Dissonante Colle Annotazioni; alle argute rime dell’abate finalese Giovanni Battista Vicini si affiancano le preziose annotazioni di Niccolò Caula che ci fanno conoscere più da vicino le caratteristiche dei numerosi vitigni coltivati in territorio modenese e del vino che se ne ricava. L'edizione è ornata da un’incisione che raffigura il profilo della città di Modena entro le mura, accompagnata da due citazioni letterarie: … Gratissima terra Lyeo (Barth. Pagane in de laudibus Mutinae) e Che suol dell’Uve far nettare a Giove … (Tassoni, Secchia rapita, canto 3 stanza 47).


Non meno interessante una versione del trattato di enologia del venezianoVncenzo Dandolo Vincenzo Dandolo, che apportava utili miglioramenti alla produzione dei vini: l’opera, stampata a Milano in prima edizione nel 1812, ebbe così fortunata accoglienza che solo due anni più tardi ne fu pubblicato un compendio a profitto della provincia modenese. Sul frontespizio l’anonimo curatore riporta un verso tratto da un’elegia di Gaspare Tribraco de’ Trimbocchi, umanista vissuto all’epoca di Borso d’Este, per vari anni maestro di letteratura e poesia a Modena, poi trasferito a Ferrara alla corte estense. Il verso recita: … Est mutinensis ager Baccho gratissima tellus [et Cereri], … (opere inedite Biblioteca Estense, Mss. latini IV, F. 24). A dire il vero, nell’elegia originaria le parole possedevano una forte connotazione negativa: nel giudizio di Tribraco la terra modenese non sapeva dar altro che buon vino e buone biade, come dire “a Modena si bada solo a bere e mangiare”; considerazione malevola, nutrita dal forte risentimento nei confronti della città natale che teneva i suoi studi in scarsa considerazione e non gli tributava l’ambito successo. Nell’edizione modenese del trattato di Dandolo, l’espressione è invece usata in lode della viticoltura e dei metodi di vinificazione in uso nel territorio modenese, considerato il migliore per qualità e quantità delle sue uve.            

                        


Il numero di varietà coltivate è elevatissimo. Luigi Maini (Carpi 1823 – 1892), autore anche di un opuscolo sulla misteriosa mostarda di Carpi, pubblica nel 1851 un Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve e viti conosciute e coltivate nelle province di Modena e Reggio secondo i loro nomi volgari con altre notizie relative: elenco e sommaria descrizione dei vitigni coltivati nei territori degli Stati Estensi, in parte già contenuti nel Baccanale di Vicini, in parte pressoché sconosciuti.

    Luigi Maini, Catalogo alfabetico, Modena 1851           


Francesco Aggazzotti (Formigine 1811 - Modena 1890) avvocato, notaio e imprenditore con spiccata competenza in campo vitivinicolo, a suo stesso dire agrofilo per inclinazione e per circostanze di passati tempi, e passionato del mio paese, pubblica a puntate sul Bullettino del Comizio Agrario di Modena negli anni 1866 – 1867 il Catalogo descrittivo delle viti coltivate presso il Cav. Avv. Francesco Agazzotti di Modena, descrizione di oltre 100 varietà presenti nelle proprietà di famiglia, con le qualità delle rispettive uve. La rassegna ha inizio dalle varietà “Lambrusca”, non senza motivazione: Nell'intendimento di tentare una descrizione di una certa quantità di uve, io, come Modenese, ho creduto mio debito cominciare dalla Lambrusca, ponendo a prototipo quella che dà il prelibato Lambrusco di Sorbara. Francesco Aggazzotti è in effetti uno dei cultori che più hanno lasciato traccia nelle produzioni vitivinicole del territorio: a lui si devono in particolare la definizione delle caratteristiche dei tipi di Lambrusco oggi insigniti del marchio DOP, ed il primo disciplinare per le tecniche di produzione dell’aceto balsamico, indiscussa eccellenza. Il Bullettino del Comizio Agrario, peraltro, è una miniera di informazioni sulle pratiche vitivinicole, oltre che su altri aspetti dell’agricoltura, rigorosamente tecnico-scientifiche.


Diversi saggi di autori modenesi della prima metà dell’Ottocento richiamano l’attenzione sulla gestione del territorio e segnalano la necessità di apportare miglioramenti all’agricoltura. È scontato che in pianura siano oggetto di analisi e valutazioni le colture di grano, mais, riso. 

Per quanto riguarda la coltivazione del riso, ora apprezzata ora contestata, allo studio del carpigiano Achille Caprari (Carpi ca. 1800 – Parma  1878) sulle risaie degli Stati Estensi (1852) segue trent’anni più tardi la relazione di Giuseppe Cesari e Giovanni Messori-Roncaglia che riporta in modo più dettagliato dati sull’origine e sullo sviluppo della risicoltura nella bassa pianura modenese – in particolare nei comuni di Bomporto, Camposanto, San Felice, Medolla, San Prospero -, insieme al prospetto delle risaie esistenti, alla valutazione dell’impatto sulla salute delle comunità interessate, alle disposizioni per la conservazione o la soppressione.

Mais e frumento sono peraltro le colture più estese.

Luigi Savani, ... Su la cultura degli ananassi, Modena 1837Luigi Savani (Modena 1754 – 1837), avvocato e notaio, membro dell’Accademia modenese, dedito all’agricoltura oltre che alla professione forense, pubblica nel 1826 Della miglior coltivazione del frumentone per ottenerne abbondante raccolta, saggio articolato in 65 paragrafi, per impostazione simile a un’arringa: alla severa critica delle errate pratiche di coltivazione del granoturco, all’epoca principale sostentamento delle popolazioni rurali, Savani fa seguire l’esposizione di regole e di interventi pratici per aumentarne la resa, con la descrizione dei metodi in uso nel territorio modenese e delle varietà più idonee. 

Nel 1833 dà alle stampe Mezzi sicuri per distruggere i vermi roditori del frumento in erba e su le spiche oltre quelli indicati dal fu chiarissimo professor Corti che approvati dal governo di Modena furono pubblicati nel 1777 e che per essersi resi rari si ristampano …. Qui Savani illustra vari metodi empirici utili a combattere le infestazioni del coleottero Zabrus tenebrioides, responsabile di gravi danni alle colture di grano: descrive pratiche di preparazione del terreno, specie se in precedenza coltivato a mais, per snidare le forme larvali responsabili della distruzione delle giovani foglie, e sistemi di cattura delle forme adulte presenti sulle spighe mature; riporta suggerimenti dei più qualificati agronomi e, per esteso, cinque metodi indicati da Bonaventura Corti (che pare aver dato la caccia all’insetto in compagnia dell’amico Lazzaro Spallanzani). La pratica di disinfestazione più diffusa richiede di agire prima dell’alba, poiché lo Zabro ha comportamento notturno, e fa ricorso ai bambini, adatti a sgusciare tra le file del grano in maturazione, provvisti di sacchetti nei quali raccogliere con ogni precauzione i dannosi coleotteri senza farli ricadere a terra; il compenso sarà commisurato al numero dei prigionieri ...

Come parte del progetto di istruzione rivolto a fattori e coloni, Savani pubblica in seguito (1834) un accurato elenco di rustiche faccende da compiersi nei campi, nell’orto e nel giardino nel corso dell’anno (Serie delle operazioni, lavori, piantagioni ed altro che l’agricoltore ed il giardiniere dovranno praticare di mese in mese …); è da notare che tra i numerosissimi ortaggi evidentemente coltivati negli orti modenesi non è citato il pomodoro, mentre è suggerita la raccolta dei frutti del bagolaro, pur senza specificarne l’utilizzo. In appendice sono poi inserite minuziose istruzioni per la costruzione di serre non riscaldate adatte alla coltura degli ananas, eccentrico svago per signori possidenti.

Luigi Savani, Della miglior coltivazione del frumentone, Modena 1829

Giusto Giusti (Modena sec. XIX) è premiato dall’Accademia di Scienze Lettere e Arti al concorso del 1843 per un saggio nel quale riferisce sulle condizioni delle terre del basso modenese e propone la riduzione del coltivato a grano e mais introducendo pratiche di rotazione agraria.

Anche Fulvio Gozzi (Modena 1781 - Bologna 1855) suggerisce (1844) di ridurre nella bassa collina le colture di mais, avviate talvolta distruggendo i castagneti, e propone in alternativa la coltura di Pimpinella anisum, aromatica di largo uso in ambito domestico e medico.


Giuseppe Bergolli, (Modena 1776 – 1854), ingegnere, assessore alGiuseppe Bergolli, La cura de' boschi, Modena 1846 Ministero di Pubblica Economia e Istruzione, già impegnato in progetti per il controllo dei fiumi Secchia e Panaro, causa d’inondazioni, pubblica nel 1846 la memoria La cura de’ boschi, dove, celebrando la figura di Francesco IV d’Este, ricorda gli interventi da questi promossi per la salvaguardia del patrimonio boschivo: editto contro il disboscamento, tassa sui terreni montani messi a coltura, premi per interventi di riforestazione. E sentenzia, citando Spolverini: … restisi al piano il vomero, … rieda a’ gioghi la selva.

Luigi Parenti, avvocato, nella memoria postuma Sopra la sfrenata libertà della recisione degli alberi, presentata nel 1854 dal figlio Marco Antonio all’Accademia di Scienze Lettere ed Arti, condanna la deforestazione in Appennino, o meglio il furore di abbatter querce, roveri, faggi, abeti e soprattutto lo sterminio incontrollato dei castagneti, per secoli risorsa alimentare primaria, unico bene dei poveri in tempo di carestia.  


Lambrusco, aceto balsamico, castagne: queste alcune delle eccellenze agroalimentari modenesi della cui storia si ritrova traccia nel patrimonio librario dell’Accademia.

Ma tra le peculiarità si possono ancora ricordare le “amarene brusche di Modena”, frutto del ciliegio acido, Prunus cerasus, tradizionale e inconfondibile ingrediente di dolci e confetture modenesi: negli scritti conservati nella Biblioteca accademica non hanno particolare risalto, ma è interessante che siano nominate dal conte Luigi Alberto Gandini (Modena 1827 – 1906), colto collezionista, studioso di costume e di storia estense, nell’operetta: Tavola, cantina e cucina della Corte di Ferrara nel quattrocento. Nella ricca cucina estense rinascimentale figura infatti un brodo di cerase brusche ad accompagnare le carni: piace pensare che l’ingrediente provenga dalla tradizione modenese trasferita alla corte di Ferrara. 


Per finire, un veloce passaggio dall’alimentazione ricca all’alimentazione povera. Di questa si occupa il carpigiano Geminiano Grimelli (Carpi 1802 – Modena 1878), personaggio di primo piano nella politica e nell’Università (Ministro della Pubblica Istruzione e Rettore dell’Ateneo modenese), Presidente dell’Accademia di Scienze Lettere e Arti - che rese indipendente dal Ministero della Pubblica Istruzione - , cultore di interessi diversi, dalla medicina all’agricoltura, e convinto antidarwinista. Il suo breve trattato: Metodi pratici per fare al bisogno pane e vino con ogni economia e salubrità nelle circostanze specialmente di carestie (1854) ottiene subito larga diffusione. Pane e vino: mezzi acconci a soddisfare i bisogni assoluti della fame e della sete, pertanto beni di prima necessità. Pane e vino: entrambi derivati da materiali vegetabili tratti dai semi, dalle radici, dai fusti, dai frutti di varie piante […] con comuni caratteri di fermentescibilità, e per questa affinità tanto somiglianti che … il pane risulta come il vino in forma solida e il vino come il pane in forma liquida.

Gli impasti succedanei suggeriti comprendono crusca, farina di orzo, di fave, di fagioli, di mais, di patate, di castagne; l’idratazione suggerita è con acqua resa mucillaginosa e zuccherina, nella quale hanno bollito per un’ora, in proporzione di1:10, radici di gramigna e di altea, o steli e foglie di frumento e mais, o foglie di barbabietola e malva. Ulteriori suggerimenti hanno lo scopo di rendere utilizzabili materie prime in cattive condizioni di conservazione.

Grimelli raccoglie per questa pubblicazione critiche e lodi. Il Giornale dell’Ingegnere, Architetto, Agronomo, pubblicato a Milano, scrive il 20 settembre 1854: … il suddetto opuscolo avrebbe dovuto essere scritto pel popolo, ciò che a leggerlo non sembra, perché è straordinariamente prolisso, di stile ricercato, … e di più vuol far pompa di sue scientifiche opinioni sulla fermentazione; che se al contrario egli scrisse per la scienza, nulla aggiunse di nuovo e non disse tutto quello a cui si riescì al dì d’oggi. Diverso giudizio giunge tre giorni più tardi da L’Eco della Borsa, altro noto giornale milanese che riproduce, con la traduzione in lingua italiana, il recente annuncio di un giornale francese: Il sig. professor Grimelli fabbrica a Modena un vino senza uva, che ha tutte le qualità del vino naturale. Questo vino può essere fabbricato da ciascuno, con poca spesa, buono e sano. Il sig. Grimelli è uomo assai popolare, ed ha pubblicato il suo segreto in un piccolo libretto, dal quale si può apprendere la teoria e la pratica di questa fabbricazione.”

I suggerimenti di Grimelli sono ripresi qualche anno più tardi da Luigi Maini, che nel breve saggio L’acqua ridotta a vino pei bisogni del povero rende più semplici e realizzabili le ricette. Il “vino senz’uva” è in realtà una bevanda molto simile alla birra, a base di zucchero e orzo tostato.

Elemento insolito, più volte riportato sia per la “vinificazione” sia per la panificazione, sono le ghiande di farnia, di rovere, di roverella, queste ultime apparentemente meno amare. Nel primo caso l’impiego è verosimilmente da attribuire a quei tannini dai molteplici effetti (aromatizzanti, antiossidanti, conservanti …), normalmente coinvolti nella corretta vinificazione. Per quanto riguarda il pane di ghianda - già citato da Plinio per la Sardegna e presente nella tradizione dell’Alto Urbinate ancora all’inizio del Novecento -, Grimelli descrive con precisione il laborioso procedimento: la preparazione della farina prevede l'essiccazione o la tostatura iniziale delle ghiande intere, quindi lo sbriciolamento e la bollitura, seguita da nuova asciugatura al sole o da torrefazione leggera della poltiglia prima della macinazione.

Le ghiande destano oggi interesse per l’alto valore energetico, per l’elevato contenuto in calcio, fosforo, potassio e vitamine del gruppo B, per l’azione ipoglicemizzante e anticolesterolo. Torneranno sulle nostre tavole? 


Socio dell’Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Modena, Piera Medeghini Bonatti è stata docente di discipline botaniche per i corsi di Laurea in Scienze Naturali, Scienze Biologiche, Scienze Agrarie presso l'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Si è dedicata prevalentemente allo studio della cellula vegetale, dell’interazione tra cellula e batteri fitopatogeni, degli effetti fitotossici di inquinanti gassosi. E' stata anche responsabile di unità di ricerca in programmi pluriennali nazionali e coordinatore scientifico locale per il Programma pilota europeo sui "Bioindicatori vegetali di inquinamento atmosferico in aree urbane”.