L'avvento dello squadrismo fascista

Il fascio di combattimento sorse a Piacenza nell’estate del 1919, pochi mesi dopo l’adunata milanese di piazza San Sepolcro, senza “nè una fisionomia sansepolcrista, nè alcun connotato squadristico”; raccolse nazionalisti, patrioti, ex combattenti, reduci, esponenti della piccola e media borghesia locale, senza caratterizzarsi da subito in senso antibolscevico e senza accogliere al suo interno esponenti del mondo agrario e industraile, come accadrà invece con l’avvento del Barbiellini.

Nella stessa estate si assiste ad uno sciopero contadino guidato dal giovane sindacalista anarchico Angelo Faggi che porterà gravi danni per il raccolto e costringerà inizialmente gli agrari a firmare un concordato che ritratteranno a settembre trattenendo anche somme sul salario dei lavoranti a titolo di risarcimento. Da questo momento i socialisti piacentini, attraverso il settimanale “Bandiera Rossa”, inizieranno una campagna elettorale che culminerà nella “giornata russa” anche a Piacenza indetta in ottobre.

Fino a questo momento tuttavia il fascio di combattimento non si caratterizza per particolari interventi e a Piacenza resta un clima di pacifica convivenza anche dopo la vittoria elettorale del socialismo. A metà del 1920 il fascismo piacentino non ha ancora una precisa fisionomia politica ed è senz’altro in ritardo rispetto ai nuclei squadristici operanti nelle vicine città di Cremona, Parma, Milano e Pavia; e’un fenomeno ancora allo stadio potenziale, lontano da quelle imprese a carattere banditesco e dalle spedizioni terroristiche. Il fascio di combattimento fa capo al professor Massaretti, assertore della linea programmatica propugnata da Mussolini e Farinacci al congresso regionale dei fasci svoltosi al Politeama Verdi di Cremona il 5 settembre.

Ai primi di dicembre il “fascio di combattimento” e il “fascio d’avanguardia studentesca” (costituitosi il 22 novembre in una sala di via Romagnosi) riconoscono un denominatore comune ed iniziano ad investire di un ruolo alcuni esponenti dell’avanguardismo fascista locale, ma nel frattempo la massoneria ha già scelto il proprio cavallo vincente: sarà Barbiellini, lungo tutto il 1921, ad utilizzare i finanziamenti per reclutare gregari tra il ceto medio, la piccola borghesia, gli strati antisocialisti del proletariato piacentino.

Da subito il 1921 registra una serie di gravissimi atti sanguinosi:
- fine gennaio: in un’osteria della frazione “Raffelina”, sulla strada per Gossolengo, due giovani agrari Giuseppe Bragheri e Carlo Pinoia vengono feriti gravemente da un gruppo di leghisti rossi, i fratelli Nani e un certo Devani. (La Voce proletaria, 29 gennaio 1921)

- 7 febbraio: a Busseto viene ucciso a 24 anni Vittorio Bergamaschi, capo fascista della zona e fratello dei Bergamaschi protagonisti dei tragici fatti della “casa bianca” presso Besenzone. (La Scure, 26 febbraio 1921)

- 23 marzo: bomba al teatro Diana di Milano che provoca 18 morti e un centinaio di feriti. Tra i sospettati Angelo Faggi, segretario della Camera del lavoro che l’11 aprile viene arrestato (La Voce proletaria, 2 aprile 1921)

- 24 aprile 1921: a Piacenza si inaugura il gagliardetto del fascio, verso sera nel quartiere popolare tra piazza Borgo e via Taverna avvengono i primi scontri e il tentativo di assalto alla sede del fascio in via S. Donnino messo in atto dai socialisti non funziona. Il giorno successivo l’assalto al fascio va a buon fine ma la rappresaglia fascista non tarda ad arrivare e viene devastata la sede del giornale “Bandiera Rossa”(Bandiera Rossa, 1 maggio 1921; La Scure, 7 maggio 1921)

- 16 maggio: uccisione dell’ex ufficiale combattente Nando Gioia di 23 anni a Bilegno di Borgonovo. (La Scure, 21 maggio 1921)

A questo punto il fascio d’azione piacentino annovera più di un migliaio di aderenti, numerose sono già le sezioni nelle varie località della provincia; Fiorenzuola, Castesangiovanni, Monticelli, Borgonovo, Cortemaggiore, Pianello e svariati altri centri della pianura e della collina danno vita a nuclei d’azione fascista che reclutano, oltre agli elementi nazionalisti, ex dirigenti di organizzazioni proletarie e contadini ormai insofferenti alla demagogia bolscevica.
L’appoggio delle forze dell’ordine alle rappresaglie fasciste dà coraggio al fascismo piacentino la cui violenza finora è stata solo verbale. Si inizia da Cortemaggiore dove i fascisti malmenano il consigliere provinciale socialista Ciro Ottolenghi e la giunta socialista è costretta a dimettersi, così come ad Alseno seguito a ruota da altri comuni della “Bassa”. A Piacenza viene ucciso, in circostanze poco chiare, un ferroviere socialista Stefano Fiorani, così come a Rottofreno muore il proletario Pietro Orsi durante uno scontro con i fascisti.

Nel giugno 1921 anche tutta la Valtidone sarà controllata dai fascisti e le leghe contadine, così come in altri territori della provincia piacentina, passeranno ai fascisti. L’azione squadristica si intensifica e provoca, tra maggio e giugno, altri episodi sanguinosi.
Il fascismo trova ora terreno fertile per raccogliere il malcontento della popolazione: le amministrazioni rosse sono in difficoltà, costrette ad aumentare gli affitti oltre alle imposte sui terreni e al prezzo dei beni di prima necessità per far fronte alla crisi. (La Scure, 2 luglio 1921 VIGNETTA)

“Ai socialisti dunque, che cercano di reperire, per mezzo degli aggravi fiscali, i fondi per promuovere lavori pubblici e lenire la disoccupazione, e che tramite le cooperative cercano di controllare il commercio e tenere a freno i prezzi, i fascisti oppongono una politica efficace, che appoggia concretamente le aspirazioni della borghesia a strappare il potere dalle mani dei socialisti ed a caricare il proletariato del peso dei sacrifici necessari per la ripresa economica”.

Nella seconda metà del 1921 il fascismo piacentino – raccogliendo le simpatie della borghesia e l’adesione diretta di un vasto strato di contadini – fa passi da gigante, risultando addirittura all’avanguardia per certi aspetti rispetto ad altre città dell’Emilia: nelle campagne della Val Tidone e in una fabbrica di Pontenure si stipulano i primi contratti tra padroni e sindacati economici fascisti, ancora una vera rarità nel panorama nazionale.
Nell’estate il fascio piacentino non accetta la linea seguita da Mussolini di pacificazione con i socialisti per cui lo squadrismo dilaga senza interruzione all’assalto delle organizzazioni rosse e si verificano altri episodi di violenza acuta: a Piacenza, il 23 luglio, per la seconda volta viene devastata la sede di Bandiera Rossa in via Verdi, vengono aggrediti alcuni socialisti e a barriera Cavallotti un conflitto a fuoco vede la
morte di due giovani. (Bandiera Rossa, 31 luglio 1921)
Alla fine del 1921 sono 22 le giunte socialiste dimissionarie: rimangono in piedi Piacenza, Rottofreno e Calendasco.

Il fascismo barbelliniano è sempre più connotato dal carattere squadrista e di sindcalismo integrale e, proprio su queste basi, si aprirà una lunga conflittualità interna che si trascinerà per tutti gli anni Venti riflettendosi nell'eterogenea composizione della classe dirigente e nel dissidio fra la fazione radicale facente capo al ras e la componente moderata degli agrari interessata ad un compromesso con la vecchia
elite liberale.