Palazzo Troilo (già Antoglietta)

Gli Antoglietta, antica famiglia di origine normanna, abitavano abitualmente nel palazzo baronale di Fragagnano, dopo il 1706  e dopo aver abbandonato la loro  prima abitazione tarantina (oggi Palazzo Delli Ponti), acquisirono una nuova abitazione in Taranto più grande e con una posizione più favorevole sulla strada Maggiore, con affaccio sulla chiesa cattedrale e sul convento di S. Chiara.  Furono firmatari dell’atto d’acquisto Francesco Maria “Lantoglietta”, marchese di Fragagnano e Nicolò Chiurlia, marchese di Lizzano e cavaliere dell’abito di S. Giacomo che per 2750 ducati d’argento vendette un palazzo “consistente in sala, cocina, dieci camere, alquovo, camerino, lamiate, con torri sopra alcune di dette camere, cortile, stalle, trappeto senza macina, camera inferiore dentro detto cortile, magazeno, uno scoverto attaccato a detto magazeno, rimessa, stalla, cisterna d’acqua conservativa e piovale, pozzi sorgenti, cloaca ed altri membri”.  Il palazzo era più precisamente una proprietà della moglie del marchese di Lizzano, Porzia De Luca, che lo aveva ottenuto per aggiudicazione dalla Regia Corte di Taranto, davanti alla quale era stata fatta la vendita dei beni di Chiara Diana Montefuscoli, madre di Porzia. Le prime descrizioni rinvenute sull’immobile, allora di proprietà dunque dell’antica famiglia Montefuscoli,  risalgono al 1637: il casato nello stesso luogo possedeva anche  due case palazzate affacciate sullo stesso cortile,  una di sette stanze e l’altra di cinque con mulino, trappeto, cisterne e magazzini. L’acquirente, Francesco Maria Antoglietta, XV barone di Fragagnano, nel 1723 ultranovantenne passò a miglior vita e la moglie Giuseppa Villapiana a tutela della numerosa prole dispose, qualche tempo dopo, la redazione dell’inventario del patrimonio familiare. Fitte e dense di notizie si snocciolano le pagine del contratto, il notaio con grafia piccola ed elegante descrive il feudo e le sue giurisdizioni civile, criminale e mista, “lo ius della cazzatora delle carrette”, “lo ius di esiggere oltre la fida anche un ciavarro dai forestieri che pascolano nel feudo”, e ancora il forno e le osterie, il mulino, le beccarie, le ferrarie, i trappeti e le masserie, vignali e giardini, poi magazzini, botteghe e case palazzate e così via in un crescendo fino al palazzo tarantino che, nel frattempo, si è dotato di “cappella ed alquovo”.Bastarono solo otto anni al suo figlio primogenito Cataldo Antonio a dissipare il patrimonio di famiglia fino a mettere in “evidente pericolo d’estinguere la nobile fameglia dell’Antoglietta”. Sarà proprio lui, non sappiamo quanto volontariamente, a decidere con atto del 29 gennaio 1732 di rinunciare al titolo e al patrimonio in favore del fratello Saverio Guglielmo “giovane cavaliere di gran talento, ben forte e robusto, d’ottima e timorata coscienza e di buon’indole, capace d’ogni gran maneggio”. Il palazzo rimase di proprietà della famiglia Antoglietta ancora per qualche anno, poi, nel 1737 venne venduto alla famiglia Troilo, originaria di Noci, per 2500 ducati.