Le rappresentazioni teatrali

A cura di: Nicolas Barti, Michele Marchettini, Anna Mazzolini, Giulia Gasparini, Annamaria Rebecchi, Lorenzo Turchio, Alissa Rossi e Giulia Capannini


Nel 1921, a Piacenza, troviamo un popolo ancora distrutto dalla Grande Guerra che non riesce a riprendersi dagli orrori che i suoi occhi sono stati costretti a guardare. In questo periodo si sviluppano nuove correnti politiche, che influenzano i punti di vista e la vita di tutti i giorni. Tuttavia queste non condizionano in modo rilevante gli spettacoli teatrali. Le persone hanno bisogno di staccare, e nel teatro scorgono il punto di fuga di quell’infernale opera, che pareva essere la vita dopo la guerra.

Per capire come il teatro piacentino si è modellato attorno a questo clima terribile, abbiamo analizzato gli articoli di quattro testate giornalistiche diverse: la Libertà, La Scure, Vita Giovanile e Voce Proletaria.

Tra questi quello che sicuramente ha più contenuti è la Libertà. Questa grande presenza di annunci di spettacoli è probabilmente dovuta al fatto che è un quotidiano e pertanto può dare informazioni di questo tipo (orario, luogo ed argomento degli spettacoli) in maniera più comoda e senza andare ad accantonare altre notizie di cronaca. I redattori, comunque, si limitano a dare poche informazioni come l’orario, il luogo o chi ha creato lo spettacolo. Non fanno un lavoro di critica o di recensione, ma a volte scrivono dei resoconti in cui parlano del gradimento che ha avuto l’opera.

La Libertà è forse la testata che più di tutte ci permette di comprendere quali fossero i teatri più in voga al tempo. Abbiamo i cinema-teatro IRIS e GARIBALDI, che, per quanto riguarda la proiezione, si comportavano in maniera molto simile: le opere erano disponibili alla proiezione solo per un breve periodo di tempo, ciò obbligava il possibile spettatore ad affrettarsi per vedere l’opera, spinto dal senso di fretta che questa metodologia creava.
Tuttavia, nonostante questi luoghi portino una grande varietà di argomenti e scenografie, sono il Municipale e il Politeama, i due pilastri che accolgono spettacoli tutt’ora e che al tempo ospitavano le opere più note e gli artisti più famosi.

Al secondo posto, troviamo il settimanale La Scure, un giornale di stampo fascista. Le idee politiche degli scrittori traspaiono molto negli articoli e nelle recensioni, come nel caso del giorno 10 dicembre 1921 (La Scure, 10 Dicembre 1921, A. Moissi), in cui un attore Italo-
tedesco, tale Alessandro Moissi, viene aspramente criticato e quasi minacciato perchè fortemente critico della triplice alleanza. Questo bias può essere trovato anche in un articolo di data 8 ottobre 1921 (La Scure,8 Ottobre 1921,il pittore Carlo Barocelli ), dove vi è un
articolo sul pittore Carlo Barocelli, mutilato di guerra che ha superato le difficoltà ed ha dipinto con la mano sinistra. Fino a qui non ci sarebbero problemi, se non fosse che l’articolo procede a dire che l’artista è simpatizzante fascista e viene poi fatta una critica al sindaco,
considerato troppo vicino a Bandiera Rossa.
Sempre riferito a questa mostra vi è un articolo in data 1 ottobre 1921 (La Scure,1 Ottobre 1921, Alla II mostra d’arte), in cui si critica la scelta delle opere, considerate troppe, e poche “impressioni di guerra”.
Abbiamo anche alcune riletture di Dante, descritto come anti-impero e, di conseguenza, contro le potenze centrali europee del tempo (Inghilterra, Francia e Austria).

Passiamo ora a Vita Giovanile, giornale bisettimanale a cura della curia piacentina. Qui mancano articoli relativi a teatro e cultura, Sono presenti solo alcune sponsorizzazioni di libri di preghiere o descriventi la vita dei santi (Vita Giovanile, 1 ottobre 1921, Inni e Canti per l’adorazione Eucaristica)

L’ultimo è il bisettimanale a cura della camera del lavoro, Voce proletaria. Anche qui abbiamo una totale assenza di articoli riguardanti la cultura, il giornale si concentra infatti sulle scornate coi fascisti e su temi più riguardanti all’ambiente lavorativo (oltre alle notizie
di cronaca), coerentemente con quello che probabilmente era il target della pubblicazione, ovvero i lavoratori e quelli che potevano essere i loro interessi.

 

La Valchiria e Carmen

L’inizio del 1921, gennaio, febbraio e marzo 1921 su Bandiera Rossa appare citata più volte la Valchiria, un'opera che è la seconda dei quattro drammi musicali che costituiscono - insieme a L'oro del Reno, Sigfrido e Il crepuscolo degli dei - la Tetralogia L'anello del Nibelungo, di Richard Wagner. Fu rappresentata per la prima volta il 26 giugno 1870 a Monaco di Baviera per volontà di re Ludwig II di Baviera e contro le intenzioni dell'autore diretta da Franz Wüllner. Andò in scena all'interno dell'intera Tetralogia il 14 agosto 1876 al teatro di Bayreuth. La trama della vicenda segue quella dell'Oro del Reno (prima opera della Tetralogia). In termini di antefatto, rinunciando all'amore, il nibelungo Alberich si è impossessato dell'oro del Reno forgiando con esso un terribile anello: chiunque lo possieda diventa il padrone del mondo. Wotan, il padre degli dei se ne impossessa per pagare ai due giganti la costruzione del Valhalla. A quell'epoca, Wotan accarezzava ancora ambiziosi sogni di potenza. L'anello si trova nelle mani del gigante Fafner che, dopo avere ucciso il fratello, lo custodisce in una caverna. Consapevole del pericolo che gli dèi correrebbero se il malvagio Alberich tornasse in possesso dell';anello, ma prigioniero del patto che ha stretto coi giganti, Wotan si è mescolato tra gli uomini sotto le spoglie di un viandante col nome di Wälse e ha generato la stirpe dei Velsunghi, tra cui i figli mortali Siegmund e Sieglinde. In essi, egli identifica gli “uomini liberi” in grado di rigettare l'anello nel Reno e riportare l'amore nel mondo.

In quel periodo non era diffusa solo la Valchiria ma anche la Carmen che è un'opera comica di Georges Bizet composta di quattro atti (o quadri, come vengono chiamati dal compositore), su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Tratta dalla novella omonima di Prosper Mérimée, vi apporta delle modifiche salienti tra cui l'introduzione dei personaggi di Escamillo e Micaela, e il carattere di Don José, che nel romanzo viene descritto come un bandito rozzo e brutale.
La prima rappresentazione avvenne a Parigi il 3 marzo 1875.
Inizialmente l'opera non ebbe grande successo, così che Bizet, morto tre mesi dopo la prima rappresentazione, non poté vederne la fortuna. La trama della Carmen si apre con la vicenda di Don Josè, un giovane brigadiere, la cui madre vorrebbe che si fidanzasse con Micaela, unaragazza semplice che vive nel suo paese. Purtroppo lui si lascia sedurre dalla sigaraia Carmen, che è coinvolta in una rissa con altre sigaraie e, affascinato da lei che danza, la lascia fuggire dal carcere e per questo viene punito. In un secondo momento si rivedono, lei lo convince a disertare per seguirla, nonostante sia attratta anche dal torero Escamillo. Lui la segue sui monti, dai contrabbandieri, ma sentono di non essere felici, lui dimostra gelosia e lei insofferenza. Giunge Micaela chiedendo a Josè di tornare al paese dalla madre morente.Lui parte ma solo dopo essersi battuto in duello con il rivale Escamillo, lo stesso che Carmen segue a Siviglia. Sarà proprio Siviglia il luogo in cui si ritroveranno, fuori dall’arena, e Josè chiede a Carmen di tornare con lui ma lei rifiuta con disprezzo e lui la pugnala a morte.

 

Madama Butterfly

Nel periodo invernale, ma soprattutto in quello primaverile l’opera più in voga era Madama Butterfly di Puccini.
Racconta la storia di una giovane ragazza giapponese, Cho-Cho-San, che decide di sposarsi con Pinkerton, che decide di sposarsi con Pinkerton, un ufficiale della Marina statunitense.
Lei era diventata una geisha dopo il seppuku del padre e proprio per liberarsi da questa condizione decide di maritarsi, mentre lui decide di sposarla per puro spirito di avventura. Durante la cerimonia lo zio di Cho-Cho-San disereda la ragazza poiché ella ha rinunciato alla propria religione pur di sposarsi. Poco dopo il matrimonio il marito abbandona la giovane ragazza e ritorna in patria; passati tre anni Cho-Cho-San è ancora illusa del ritorno dell’amato e rifiuta i corteggiamenti del principe Yamadori. Un giorno, passeggiando insieme alla serva Suzuki, vede una nave americana avvicinarsi e, credendo nel ritorno del marito, addobba la casa per presentargli il figlio che gli ha sempre tenuto nascosto. Passata la notte si rende conto che il marito non tornerà, ma improvvisamente si presenta davanti a casa sua con la nuova moglie Kate; sono tornati in Giappone unicamente per portare il figlio in Occidente.
Solo ora Madama Butterfly (Cho-Cho-San) si rende conto che il marito l’ha abbandonata e presa dalla disperazione decide di suicidarsi con un tantō ereditato dal padre.

La prima rappresentazione di quest’opera è stata nel 1904 alla Scala di Milano, ma siccome non ebbe successo Puccini la dovette modificare e la ripresentò qualche mese dopo al teatro Grande a Brescia.

 

Il teatro del soldato

Il teatro del soldato è nato durante il primo conflitto mondiale (1915-1918), più precisamente nell’estate del ’15 con lo scopo di dare supporto psicologico ai soldati al fronte.

I principali fruitori furono le truppe ricoverate negli ospedali oppure quelle costrette al fronte che, lungo andare, avrebbero potuto impazzire o essere alienate dalla società a causa degli orrori a cui dovevano assistere su base giornaliera [la prima guerra mondiale era una guerra di trincea, i militari al fronte erano costretti a passare le loro giornate in trincee sporche e piene di fango col costante terrore dei bombardamenti, delle malattie e della carestia. La situazione in Italia era particolarmente grave a causa dell’ incompetenza dei generali di corpo d’armata, che passavano tutto il tempo nei loro uffici invece di controllare le condizioni dei loro soldati (famose sono le critiche di Carlo Emilio Gadda nei confronti del generale del IV corpo d’armata Alberto Cavaciocchi)].

Particolarmente calzante, per descrivere la situazione, è una citazione di Baccio Bacci : “la battaglia offusca la mente, togliendo la possibilità di sapere, di vedere, di sentire e la lenta agonia della trincea, dinnanzi alla quale si appiattano, simili a spettri, dubbi angosciosi, offuscano il soldato”.

Vi era quindi bisogno di uno strumento che potesse tenere in sesto i soldati il più a lungo possibile per il loro bene (così che non perdessero le loro abitudini civili mentre erano al fronte) e per quello della nazione ( l’Italia aveva bisogno di soldati capaci di difendere il confine dalle offensive austriache).

Nonostante il duplice beneficio di questa pratica, vi fu comunque qualcuno che si oppose: Luigi Cadorna. Infatti lui, al tempo capo di stato maggiore del regio esercito italiano, credeva che il soldato dovesse essere tale sia in guerra che a riposo e che questa pratica non avrebbe
fatto altro che distrarlo facendogli ricordare della normalità della vita quotidiana, ormai perduta.
Data questa avversità, il teatro del soldato non fu mai finanziato dallo stato, bensì promosso dalla Chiesa e organizzato dai singoli cappellani militari, come Padre Giovanni Minozzi (il fondatore) e Padre Semeria, che organizzavano delle attività ricreative e di conforto.

Ai soldati veniva concesso un congedo provvisorio di durata variabile (tra i 15 e i 30 giorni), nei quali potevano stabilirsi in queste “case del soldato”, dove venivano svolte varie attività, finanziate da privati o società industriali, come spettacoli teatrali, audizioni musicali, lezioni
di scrittura per analfabeti, teatri di marionette (spesso le marionette venivano costruite sul fronte dai soldati), proiezioni cinematografiche e spettacoli.

Dopo la fine del conflitto, questo tipo di teatro non scomparve, bensì fu un importante strumento utilizzato per far riabituare i soldati tornati dal fronte ad uno stile di vita più normale.