De Rinaldis (1909)

Fonte:
Aldo De Rinaldis, La Biblioteca nazionale di Napoli, «La voce», 1, n. 5 (14 gen. 1909), p. 19.

«Comincio ad occuparmi, con questa lettera, d’una questione assai grave e complessa, che abbraccia nella vastità dei suoi termini non solo la vita della Biblioteca Nazionale, ma l’organizzazione di tutti i pubblici istituti di coltura di cui Napoli dispone. Mi limiterò, per ora, ai fatti che riguardano direttamente la nostra maggiore Biblioteca – i quali sono i più gravi, – proponendomi di occuparmi anche degli altri che vi si collegano – i quali sono i più complessi e delicati, perchè toccano tutto un ingranaggio rugginoso d’interessi d’ogni sorta, che bisognerà una buona volta conciliare perchè gli istituti napoletani acquistino la possibilità d’un logico ed utile sviluppo futuro.
Non occorre ch’io m’indugi a ricordare o a dimostrare come nell’Italia meridionale difettino le pubbliche Biblioteche e come quelle esistenti non possano in alcun modo rispondere alle necessità degli studi e degli studiosi: se questi ultimi debbono rivolgersi alla nostra Biblioteca universitaria per le opere scientifiche (sopra tutto di scienze mediche e matematiche) non possono non far capo alla Biblioteca Nazionale per quanto riguarda coltura filologica e storica nel più lato senso della parola. Questa biblioteca, dunque, non è soltanto un istituto napoletano, ma dell’intero Mezzogiorno (esclusa la Sicilia, ma solo fino a un certo punto); e se ciò accresce enormemente la sua importanza, rende tanto più gravi le condizioni nelle quali attualmente si trova. [...]
Sappiano ora i lettori che la Biblioteca (posta col Museo Nazionale nell’antico Palazzo degli Studi) possedeva nel 1818 ottantamila volumi e ne ospita oggi circa quattrocentomila, mentre dal 1804 in poi non ebbe altro incremento spaziale che l’aggiunta di due sole sale. La sua topografia conta, per ciò, diciannove vani compresi quelli occupati da scaffali – non esclusi gli altri che ospitano la Raccolta Lucchesi Palli, sezione autonoma con un proprio regolamento ed un proprio catalogo.
Data l’enorme disproporzione tra il contenente e il contenuto, non sarà difficile pensare che, aver portato gli scaffali fino all’altezza massima, averli aumentati nel numero fino ad ingombrare con essi le sale di lettura e ad occupare il centro di molte altre sale (con grave pericolo della statica dell’edificio), non poteva bastare a dar posto a tutti i volumi.
È stato necessario rimpinzare gli armadi – già troppo alti per non esser pericolosi – situando libri (ovunque il loro formato lo permetteva) in due e finanche tre fila – quasi che fosser destinati a non esser mai cercati, mai letti, ma solo a nutrirsi di poco onorevole polvere. È stato necessario trascurare in qualche modo gli ammonimenti dell’Ufficio del Genio Civile – che declina oramai ogni sua responsabilità – e sfidare con rassegnazione il pericolo, aumentando i provvisori scaffali centrali fino a che la prudenza (pur necessaria per quanto assottigliata) poteva consentirlo. È stato necessario, in fine, – e qui comincia il danno maggiore – lasciare che un’enorme massa di libri rimanesse conservata alla rinfusa, un po’ dovunque, e finanche sul pavimento del Salone centrale – già contenente sessantamila volumi – senza che fosse possibile non sottrarla all’uso degli studiosi. E a che serve, dunque, tenere dei libri, se nessuno può vederli né leggerli?
Ma non basta: le raccolte dei periodici, gli atti accademici, le serie e le collezioni non sono ordinate, nè è possibile, per difetto di spazio, tentare anche un provvisorio ordinamento: giacciono anch’essi alla rinfusa, nè v’è luogo ove collocare in utile modo i tremila volumi circa che si acquistano e si immettono ogni anno nella Biblioteca. Da vari anni l’attuale Direzione, per iniziativa propria e per consiglio di parecchi studiosi, pur continuando ad assicurarsi la proprietà delle edizioni rare apparse nel commercio, ha tentato ogni mezzo per sviluppare il contingente della Biblioteca a vantaggio della coltura storica e filosofica, lasciando all’Università il compito del proprio incremento a vantaggio delle discipline scientifiche. Così che oggi la Biblioteca Nazionale possiede tutto quanto è necessario ad una buona e moderna coltura filosofica, e dispone di opere importantissime e costose di archeologia e storia dell’arte medioevale e moderna, che la povera Biblioteca del Museo non avrebbe potuto acquistare senza dichiarare immediatamente bancarotta. Continuare in simili sforzi ormai è inutile: lo spazio assolutamente manca; nè è possibile per acquistare in quantità meschinissima pubblicazioni nuove, tentare nuovi spostamenti di volumi ed aggravare la confusione e l’incompiutezza del Catalogo. Dello stato in cui questo si trova per forza maggiore, dirò altra volta: noto soltanto che un suo supplemento, composto dallo schedario dei volumi di immissione recente, è posto a disposizione del pubblico; ma registra solo una parte di quel contingente – di quello, cioè, che ha potuto trovare un posticino provvisorio ovunque era un buco da occupare. Quanto al resto siamo giunti ormai a questo punto: che quanti sono qui studiosi, non ignari di quel che si opera nel mondo della coltura moderna e desiderosi di seguire da presso il cammino degli studi, sono costretti ad informarsi – non dal Catalogo – dei libri che si acquistano, e rivolgersi direttamente alla pazienza e alla cortesia della Direzione, se vogliono avere il piacere di leggerli e di studiarli subito. D’altronde l’antica minaccia del Direttore, di non acquistare nè accettare in dono un solo volume, diventa oggi una necessità. Non v’è spazio per nulla: a meno che non si voglia continuare a sovrapporre carta stampata sui pavimenti, cioè ad accrescere quei pericoli che la statica dell’edificio minaccia, finchè non si sarà costretti a sgombrar tutto il lato orientale del Palazzo degli Studi – la parte superiore, occupata dalla Biblioteca, e l’inferiore, appartenente al Museo – per accampar ogni cosa, libri e statue, nella pubblica via!
Sarebbe ora una vera ingenuità chiedersi se in questa Biblioteca esista una sala riservata, quale oggi si richiede in ogni istituto di tal genere, – cioè una vera sala di consultazioni, ove chi vi è ospitato possa studiar veramente senza perdere e far perdere tempo; se esista una stanza per la lettura delle riviste e magari dei loro sommarii; e se vi sia infine una stanza destinata esclusivamente alle ricerche di catalogo. Nulla di tutto ciò. I lettori ammessi alle sale riservate prendono posto dov’è possibile concederlo al loro bisogno; e – quel che è peggio – sono costretti a riversarsi nella sala destinata allo studio degli importantissimi manoscritti che l’istituto possiede e ad esigere una continua ubicazione di volumi da consultare, svantaggiosa per tutti; e quanto al Catalogo non me ne occupo per ora – ripeto – giacchè esso, malgrado gli sforzi del direttore [Emidio] Martini per aggiustare e rimediare alla meglio gli inconvenienti gravissimi del suo inevitabile stato attuale, rappresenta lo specchio fedele di tutte le miserie della Biblioteca Nazionale, viste in ciascun dettaglio ed in ciascuna delle loro conseguenze.
La conclusione di tutte queste cose è una sola: la Biblioteca di Napoli ha bisogno di maggior spazio; e nessun ampliamento potrà mai effettuarsi nell’attuale Palazzo degli Studi, occupato in parte dal Museo, anch’esso sofferente per insufficienza di locali che possano almeno permettergli di ospitare le parecchie migliaia di oggetti non esposti in maniera conservativa e non distruttiva.
Parlerò in una prossima lettera delle possibili e delle impossibili soluzioni del problema che si impone, e di quanto fu concretato e proposto dalla Commissione nominata nel 1907 dal ministro Rava e composta dal prof. Martini, direttore della Nazionale, dal comm. [Giovanni] Gattini, direttore amministrativo del Museo, e da due studiosi napoletani, Benedetto Croce e Francesco Torraca.»

(Aldo De Rinaldis, La Biblioteca nazionale di Napoli. I, «La voce», 1, n. 5 (14 gen. 1909), p. 19).

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