Napoli

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«Sotto la diretta efficacia dell'università era la biblioteca universitaria, la quale, specialmente per opera di Tommaso Gar, uomo valente negli studi storici e assai esperto nella letteratura tedesca, si fornì della suppellettile filosofica, filologica e scientifica moderna. La biblioteca Borbonica invece (poco generosamente, come notava a ragione l'Imbriani, ribattezzata «Nazionale») ebbe prefetto, per nomina del ministro De Sanctis, l'abate Fornari; e si svolse piuttosto nel verso letterario ed erudito, conforme del resto al suo carattere e alla importante collezione di codici e manoscritti che vi si era raccolta dalle biblioteche monacali. Depositi eruditi, piuttosto che biblioteche moderne, erano e rimasero la Brancacciana e la biblioteca dei Padri dell'Oratorio, detta dei Gerolomini; alle quali si aggiunsero poi la biblioteca di San Martino e quella Comunale, formata dall'abate Cuomo. Come biblioteca serale, e riunendovi le biblioteche dei Ministeri borbonici, fu aperta nel 1863 la biblioteca di San Giacomo».
(Benedetto Croce).

«Nel secondo Ottocento, le cinque maggiori biblioteche cittadine (ma di biblioteche pubbliche ve ne sono almeno altre dieci, a Napoli) registrano annualmente qualcosa come duecentoquarantamila presenze e distribuiscono in lettura circa quattrocentoquarantamila volumi. Tolte dal conto le feste comandate, si tratta, ogni giorno, di quasi novecento presenze per quasi milleseicento libri.»
(Paolo Macry, La Napoli dei dotti: lettori, libri e biblioteche di una ex-capitale (1870-1900), «Meridiana», n. 4 (set. 1988), p. 131-161: 132).

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