Croce (1936)

Fonte:
Benedetto Croce, Nuove pagine sparse, vol. 1: Vita, pensiero, letteratura, 2ª ed. ordinata dall'autore, Bari, Laterza, 1966.

«Ma, così com’è, [I teatri di Napoli, 1891] mi ricorda un tratto della mia vita, dall’autunno del 1888 alla primavera del 1889, quando essendo andato a dimorare in campagna, sul Vomero, ogni mattina alle 8, fatta una rapida colazione, me ne scendevo a piedi in città, recandomi all’antico monastero di San Severino, cioè all’Archivio di Stato, dove lavoravo dalle 9 alle 4 del pomeriggio, in una stanza accanto a quella del soprintendente, il vecchio don Bartolommeo Capasso, a frugare per incarico della Società storica napoletana le carte dell’amministrazione borbonica dei Teatri. Di là passavo di frequente alla poco discosta Biblioteca Brancacciana, che aveva orario serale, e vi restavo parecchie altre ore a leggere commedie e altri drammi. Talvolta, facendo ora tarda, mi recavo a pranzare (allora resistevo senza difficoltà a un digiuno di dodici ore) in una modesta trattoria; e poi noleggiavo un asinello (non c’era ancora la funicolare del Vomero) e trottavo per la salita a casa. Quale vita!».

(Benedetto Croce, Le ricerche per la storia dei teatri di Napoli, in Nuove pagine sparse, vol. 1, pp. 439-440; il brano è tratto da una lettera del 16 dicembre 1936 indirizzata ad Alfonso Casati, figlio di Alessandro morto in battaglia nel 1944, che dopo aver acquistato un esemplare della prima edizione dei Teatri di Napoli del 1891 chiese al filosofo di allegargli una dedica).

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