Pizzi (1901)

Fonte:
Italo Pizzi, Ricordi verdiani inediti, con undici lettere di Giuseppe Verdi ora pubblicate per la prima volta, Torino, Roux e Viarengo, 1901.

«Io poi ricordo ancora con qual strana voce di disgusto e di fastidio [Giuseppe Verdi] rispondesse, tutto contorcendosi, nella Biblioteca Laurenziana di Firenze, a uno dei ciceroni che, con lambiccatissima frase laudatoria, l'aveva invitato a scrivere il proprio nome sull'albo dei visitatori. [...]
Lo conobbi di persona nel 1883. [...]
Il sabato 14 di luglio del 1883, giorno memorabile per il caldo grandissimo, io, con gli altri miei compagni di ufficio, stava nella Biblioteca Laurenziana di Firenze a passare, sonnolento e intorpidito, le ore del pomeriggio. Un cicerone pubblico, certo Battaglia, entrò accompagnando un bel signore, già avanzato nell'età, ma ancora snello e aitante della persona, seguìto da due signore. Era quello il Maestro che ritornava da Montecatini e aveva con sè la signora Strepponi, sua moglie, e la signora Teresina Stolz, già celebre cantante. Il Verdi osservò con molta attenzione le cose preziose che si conservano in quella insigne biblioteca, di cui io era allora vicebibliotecario, le miniature esposte, gli autografi del Petrarca, del Cellini, dell'Alfieri, il Virgilio del secondo secolo, il Tacito rinvenuto in Westfalia, il Paolo Orosio. Domandò di molte cose e, tra le altre, anche della celebre edizione, fatta a Foligno, della Divina Commedia. Tutto ciò faceva e diceva con l'usciere della biblioteca, mentre io, seduto in un angolo della gran sala, stava pure ad osservarlo con attenzione curiosa, parendomi non del tutto nuova la sua fisionomia. [...] Interrogai il cicerone, ma egli non ne sapeva nulla. Allora si pensò di pregar l'incognito signore di scrivere il proprio nome nell'albo dei visitatori, e il cicerone Battaglia (parmi di vederlo ancora!), accostandosi con comica officiosità, gli disse: «Se la signoria vostra volesse far l'onore di scrivere qui il suo riverito nome!...». Queste parole furono dette con tanta goffaggine, che il Verdi, tutto contorcendosi, come ho detto avanti, mandò fuori certa voce che era tutt'altro che armonica e musicale. Ma poi si contenne, e, prendendo la penna che l'altro gli offriva, scrisse nell'albo il proprio nome. Certo allora chi egli fosse, io, felice dell'incontro fortunatissimo, feci vedere al Maestro le cose più care e preziose della biblioteca, quelle che si tengono gelosamente chiuse e che non si fanno vedere a tutti, la Bibbia Amiatina, celebre manoscritto del sesto secolo, l'Evangeliario siriaco, pure del sesto secolo, i magnifici Corali miniati del Duomo di Firenze, il Messale miniato, della scuola del Ghirlandaio, a proposito del quale egli, sentendo da me che un simile messale erasi venduto pochi anni prima, disse con amarezza manifesta: «In Italia si vende tutto!».
Queste e molte altre cose ammirò il Verdi nella biblioteca e le ammirò con entusiasmo caldo, con sentimento vero d'arte. Mi diceva anche d'aver veduto, altra volta, alla Cava dei Tirreni, presso quei frati, un uffizio della Madonna, miniato ricchissimamente, e soggiungeva con occhi scintillanti: «Oh! se avessi potuto portarlo via a quel frate che me lo mostrava!». – Ma egli non si mostrò ammiratore soltanto, perchè si fece conoscere anche erudito, ciò che smentisce l'opinione che qualcuno ha o ebbe di lui, cioè che egli, fuori della sua musica, non sapesse che ben poco. [...] Comunque sia, io mi meravigliai di lui quando, mostrandogli una edizione rarissima delle opere di Aristotele in greco, fatta a Venezia e adorna di miniature bellissime di animali, disse: «Io non so di greco, ma questa deve essere la Storia degli animali di Aristotele». – Ed era vero. [...] A proposito poi della Laurenziana, domandava se quella era appunto quella biblioteca di cui di tanto in tanto vedeva citati i manoscritti [...].
Vedute le cose della biblioteca degne di esser vedute, il Verdi, si licenziò non senza però domandarmi la mia carta di visita che io gli consegnai premurosamente.»

(Italo Pizzi, Ricordi verdiani inediti, p. 7-13).

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