Rossanda (2005a)

Fonte:
Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso, Torino, Einaudi, 2005.

«Alla fine di quell'anno [1942] avevamo perduto tutto, casa e indirizzo, si mormorava che quelli dell'Armir morivano di gelo in Russia, Stalingrado non era nominata e io studiavo e annotavo nella biblioteca vuota e odorosa di cera con la sensazione vertiginosa che non avrei fatto in tempo a leggere tutto, a vedere tutto, lo scintillante pensato, dipinto, lasciato, pozzo pieno di voci che percepivo di fretta temendo che qualcosa me ne tirasse via. In un presente dove non capivo nulla, non vedevo niente, tutto si chiudeva, una cosa dopo l'altra, tutto mi era impedito fuorché aprire un libro, essere rimandati a un altro prima di averlo chiuso, spalancare porte e intravvedere scorci del passato – mai avrei potuto fermarmi, andare al fondo, sapere davvero, e come si faceva a capire senza conoscere quel che è stato scritto prima?
Cosí un senso di incompiutezza accompagnava quel che mi veniva fra le mani, ma era un innamoramento. Come spiegare che ebbi un tuffo al cuore nel trovare inaspettato un Luca Pacioli a Brera, eccolo in quarto e pergamena, le nitide proiezioni, da quanto tempo nessuno sentiva l'odore di umido delle pagine che con precauzione scollavo? E come dire l'allegria del pescare fra le schede piú antiche della Marciana, ancora in inchiostro, l'acca svolazzante di Hemsterhuis? Sono piaceri solitari e contro il mondo e preziosi e non sapevo bene dove metterli, prendevo e lasciavo. [...]
La guerra cominciava a darci qualche morso ravvicinato, dovette perdurare a lungo l'illusione che dal peggio saremmo stati esenti se fino a tardi le biblioteche non vennero imballate e sfollate. Brera era in disordine ma a Milano avevo trovato una Fondazione Beltrami al Castello sforzesco. Traversavo la grande corte e poi il roseo cortile della Rocchetta, sul soffitto del portico correva il motto di Isabella d'Este, Sine metu nec spe, sine spe nec metu – naturalmente lo avevo fatto mio – e una porticina nella muraglia portava nel grande spazio alto e quadrato della torre a ovest. Là, nell'antica sala del Tesoro, stava la biblioteca del fondo Beltrami, non c'era quasi nessuno e potevo avere un lucido scranno tutto per me e sul piano a cera lasciare i libri, molti, e passare dall'uno all'altro confrontandoli. Mi pareva una grande liberalità, lo era. È come se fosse ieri che ho aperto il Riegl, la Kunströmische Spätindustrie [ma Spätrömische Kunstindustrie]. Titolo arcigno. E d'improvviso le gemme che mi erano parse imperfette e le monete irregolari si rivelavano un altro metro del corpo e dello spazio, andavano a posto, per dir cosi, classicità e alba del Medioevo. Fuori la città forse sarebbe stata devastata quella notte, ma intanto c'era silenzio e oltre i finestroni scendeva una gran pioggia quieta.»

(Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso, p. 56-58).

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