Pontiggia (1993)

Fonte:
Fulvio Panzeri, Un appartamento di ventottomila libri: i criteri di ordinamento di una biblioteca "domestica" e i rapporti con le biblioteche pubbliche e scolastiche in una curiosa intervista con lo scrittore Giuseppe Pontiggia, «Biblioteche oggi», 11 (1993), n. 1, p. 46-49.

«Veniamo ora al suo rapporto con l'istituzione biblioteca. In particolare, dalla sua frequentazione delle biblioteche pubbliche quali impressioni e ricordi ha tratto?

Le ho frequentate molto fino a qualche tempo fa. Andavo alla Sormani. Adesso non potrei permettermelo per motivi di tempo. Comunque alle biblioteche pubbliche devo moltissimo. Mi ricordo da giovane, avevo diciassette anni, nel 1951 e lavoravo in banca. Andavo sempre alla Biblioteca del Castello a leggere. Per me stare in quei locali era come vivere un'esperienza magica, quasi di sdoppiamento. Stando lì avevo l'illusione che la giornata in banca si cancellasse e avevo l'impressione che l'esperienza vera fosse quella che vivevo in biblioteca. Andavo, normalmente, d'estate. Mi ricordo, in particolare, un periodo in cui mi recavo tutti i giorni alla Biblioteca del Castello per leggere la storia dell'impressionismo del Rewald, pubblicata da Sansoni e curata da Longhi, un libro abbastanza consistente, che ho letto in una settimana. Per me era una gioia ritornare il giorno successivo e riprendere la lettura, anche perché quella storia ti faceva partecipare alla vita degli impressionisti, di seguirla quasi giorno per giorno. Avevo una sensazione di felicità nell'entrare in un mondo, in un'epoca. Usufruivo anche del servizio di prestito delle biblioteche di quartiere, però mi piaceva moltissimo stare in biblioteca perché leggevo in condizioni ideali, con un senso di intimità molto forte, nonostante ci fosse sempre un po' di movimento in sala. Mi sentivo come in un acquario, con una sensazione di raccoglimento e di concentrazione.
[...]
Mia madre ricordava sempre un episodio del 1945. Io avevo undici anni ed eravamo a Santa Margherita Ligure. Subito mi ero iscritto alla biblioteca comunale. Ne ero uscito con un libro logoro che portavo sottobraccio, come fosse una reliquia. L'avevano divertita il mio modo di camminare curvo per non sciupare il libro, quella delicatezza, quella cura che si intuiva nei miei gesti.

La sua attività di scrittore e conferenziere la porta in giro per città grandi e piccole. Avrà, dunque, avuto modo di conoscere molti tipi di biblioteca. Cosa ne pensa delle biblioteche pubbliche di oggi?

Ne ho viste molte negli ultimi tempi, perché le conferenze e i laboratori sul leggere e sullo scrivere, che tengo da anni, spesso si svolgono proprio in biblioteca. Le ho trovate accoglienti, con i libri a disposizione e senza troppa burocrazia per accedere al prestito. Mi pare sia molto migliorato il servizio nei piccoli centri. Mi hanno colpito molto i locali non oppressivi, ben illuminati, ariosi, dove i giovani possono trovarsi a loro agio, dove leggono e studiano, perché si trovano bene.

La sua specifica esperienza all'interno del mondo della scuola le avrà dato modo di conoscere anche la realtà delle biblioteche scolastiche? Che giudizio ne dà?

Quando le ho frequentate sono rimasto colpito dai libri che contenevano, però non ne ho approfittato perché il sistema di prestito lo trovavo troppo tortuoso e burocratico. Questo non succedeva nella biblioteca pubblica, così preferivo quest'ultima a quella scolastica. Poi ho vissuto il problema dall'interno quando sono stato vicepreside, nel 1967, all'Istituto d'arte di Monza. Lì mi sono reso conto che le biblioteche scolastiche potrebbero svolgere un ruolo assai importante sia per l'editoria, nel senso che potrebbero acquistare libri di cultura e aiutare le iniziative di natura non commerciale, sia nello studio, perché potrebbero concorrere in maniera determinante alla formazione degli studenti. Ho avuto però l'impressione di una certa casualità negli acquisti, nonché di uno scarso impiego delle risorse. Durante quell'esperienza mi sono reso conto che se non si compravano i libri entro un certo periodo i fondi stanziati ritornavano allo Stato. Così le scuole avevano a disposizione somme per l'acquisto dei libri e non ne approfittavano. Forse adesso la situazione è cambiata. Speriamo.»

(Fulvio Panzeri, Un appartamento di ventottomila libri [intervista], p. 47-48).

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