Tilgher (1910)

Fonte:
Benedetto Croce - Adriano Tilgher, Carteggio Croce-Tilgher, a cura di Alessandra Tarquini, Bologna, Il Mulino, 2004.

«In biblioteca [nazionale universitaria di Torino], poi, tutto va benissimo. Il Direttore è a letto con la sciatica, e vi resterà almeno un'altra decina o quindicina di giorni. Figuratevi che bazza per gl'impiegati! Domina in Biblioteca completa anarchia, e ognuno s'arrangia come può per non far niente. Io mi porto a casa dei libri, e studio per mio conto.»
(Adriano Tilgher, lettera a Benedetto Croce, Torino 11 maggio 1910, p. 66)

«Ho a comunicarvi una notizia terribile. Il Bibliotecario, essendosi ricordato di quanto gli avevo detto ai primi tempi della mia venuta qui, che cioè voi sareste venuto a farmi visita alla fine di giugno, ha dato ordine di ripulire ed assestare la Biblioteca, riordinare i codici e i manoscritti, spolverare i libri, il tutto per ricevervi degnamente al vostro prossimo arrivo. Perciò, in nome di Dio, vi scongiuro di venire a Torino (e al più presto), non foss'altro che per un'ora. Pensate che, se non avete a venire qui, io sarei semplicemente fritto. Vi assicuro che avrete un'accoglienza trionfale, come pure che, se non venite, mi troverò in un bell'impiccio.»
(lettera a Benedetto Croce, Torino 12 giugno 1910, pp. 75-76)

«Io qui vivo ormai nella più completa solitudine: i miei colleghi d'ufficio son gente troppo occupata a prendere sul serio il loro impiego per darmi retta, senza dire che è severamente proibito in Biblioteca il parlare durante le ore di ufficio (non per niente siamo a Torino); siccome sono in una stanza affatto appartata dal pubblico, mi è tolto ogni mezzo di scambiar qualche parola con gli studiosi.»
(lettera a Benedetto Croce, Torino 14 luglio 1910, pp. 78-79)

«Pensate che dalle 9 alle 12 e dalle 2 alle 5 io sono in gabbia, dove posso, bensì, leggere libri, ma non spingere l'impudenza sino al punto di tradurre Cartesio.»
(lettera a Benedetto Croce, Torino 1 agosto 1910, pp. 83-84)

«In Biblioteca le cose vanno malissimo. L'orario è stato aumentato da 6 a 7 ore, e distribuito in modo così infame da occupare tutta la giornata. [...] Posso sì, è vero, studiare per mio conto in ufficio, ma il lavoro che fo in ufficio non è mai di quella intensità che il lavoro fatto a casa.»
(lettera a Benedetto Croce, Torino 5 novembre 1910, p. 96)

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