De Mauro (2012b)

Fonte:
Tullio De Mauro, Parole di giorni un po' meno lontani, Bologna, Il Mulino, 2012.

«Le biblioteche non devono essere solo teche di libri da tener sotto chiave, ma luoghi attivi di socializzazione. Lo abbiamo sostenuto ripetutamente in molti, lo ha spiegato magistralmente in più d’un suo libro Giovanni Solimine. La Biblioteca Alessandrina già allora rispondeva a questo desiderato. Rispondeva in modo più serio nella sala riservata a studiosi e docenti, la sala Chiovenda, per me in quest’estate preuniversitaria inaccessibile. Ma rispondeva anche nella grande sala di lettura per studenti. In fondo alla sala si apriva una larga porta che immetteva in un ampio locale contornato dai gabinetti per i maschi (le femmine avevano altro locale da tutt’altra parte). Qui i frequentatori maschi avevano modo di soddisfare i loro bisogni, ma anche di soffermarsi a fumare una altrimenti vietatissima sigaretta e a scambiare due chiacchiere. Le chiacchiere erano soprattutto, che io ricordi, notizie sullo studio e i professori e discussioni politiche. Tra una e altra pagina di Meillet, tra una sigaretta e l’altra cominciai a stabilire contatti con studenti più anziani e di varie facoltà. [...]
Nel locale dei gabinetti tuttavia la discussione, quando si accendeva, si svolgeva in forme civili. E sui grandi muri bianchi si depositavano in forma scritta le opposte visioni politiche e qualche testimonianza prepolitica. Abbondavano i «w Nenni», corretti in «ʍ Nenni», ricorretto in «w Nenni», i viva e abbasso il Duce, qualche viva e abbasso Togliatti. Qua e là campeggiavano espressioni olofrastiche: CAZZO oppure FICA, più spesso STRONZO. Scritto con cura si leggeva un più elaborato distico a rima baciata, una precoce critica della scienza e dell’insegnamento trasmissivo: Affinché l’ateneo nulla ci perda / quel che in scienza mi dà gli rendo in merda. L’autore, che io sappia, è ignoto e, per quanto poi abbia cercato, non è rintracciabile con sicurezza nemmeno la prima origine. Rispetto ad altre attestazioni recentiores il 1951 è, allo stato delle indagini, un buon terminus ante quem. Quanto alla forma, ragioni metriche e di stile rendono questa preferibile ad altre varianti (perché invece di affinché, sapere invece di scienza) raccolte sui muri di altre università italiane. Più o meno negli stessi anni (ma io l’ho potuto sapere solo assai più tardi) due allora giovani studiosi della Sapienza, Alessandro Bausani, grande orientalista, e Mario Lucidi, avevano concepito l’idea di una raccolta sistematica delle scritte sui muri di vespasiani e gabinetti e, anzi, avevano cominciato l’impresa e ne avevano già il titolo: Corpus Inscriptionum Latrinarum. Qui il distico avrebbe fatto la sua figura.»

(Tullio De Mauro, Parole di giorni un po' meno lontani, p. 169-171).

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