Mafai (2012a)

Fonte:
Miriam Mafai, Una vita, quasi due, a cura di Sara Scalia, Milano, Rizzoli, 2012.

«Roma era allora per noi un villaggio che potevamo attraversare a piedi, dai prati brulli di Castro Pretorio, dove non era raro veder brucare le pecore e si andava costruendo la nuova università, fino a via Montebello dov'era la nostra scuola elementare intitolata a Enrico Pestalozzi e, lì all'angolo, una cartoleria ricca di colori Giotto e di quaderni a righe. Sempre accompagnate, potevamo arrivare fino a via Volturno per comperare, all'edicola, il «Corrierino dei piccoli», e fare una breve passeggiata davanti alla stazione, luogo misterioso e affascinante, sul cui frontone spiccava un gigantesco orologio. Alle volte, con mio padre, arrivavamo fino alla piazza dove le Naiadi oscenamente abbracciate ai cigni lanciavano in alto spruzzi d'acqua, poi ci inoltravamo lungo via Nazionale, con un paio di grandi alberghi, bar eleganti e belle vetrine di tappeti, vestiti, profumi. All'altezza del Traforo, subito dopo l'imponente Palazzo delle Esposizioni, la nostra passeggiata finiva.
Da lì mio padre proseguiva da solo per raggiungere, a Palazzo Venezia, un suo vecchio amico, Nino Santangelo, che, lo sguardo affettuoso dietro i grandi occhiali da miope, gli metteva a disposizione i volumi e le riviste della Biblioteca di Storia dell'Arte che dirigeva.
«Chi di noi allora sapeva di Goya, Bruegel e Piero se non attraverso qualche riproduzione?» annotava mio padre. «E poi la pittura moderna: un vero giardino di delizie. È qui che trovammo Chagall e Kokoschka, è qui che entrammo in contatto con la pittura di Parigi...».
Ma noi non eravamo autorizzate ad arrivare fin là, tanto meno a entrare in biblioteca. All'altezza del Traforo noi sorelle tornavamo indietro seguendo svogliate la cameriera di nonna che ci aveva accompagnate.»

(Miriam Mafai, Una vita, quasi due, p. 30-32).

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