Abbate (1962)

Fonte:
Michele Abbate, in: La generazione degli anni difficili, a cura di Ettore A. Albertoni, Ezio Antonini e Renato Palmieri, Bari, Laterza, 1962.

«Trasferitomi a Bari [da Potenza] per frequentare l'Università negli ultimi mesi del '40, intrapresi una singolare corsa col tempo: la 'cartolina rosa' mi raggiunse mentre stavo leggendo le ultime pagine della Storia d'Europa del Fisher. In quegli anni avevo – o forse sarebbe più esatto dire, credetti di avere – bruciato le tappe in una febbrile lotta contro le tenebre. Mentre il mondo mi crollava intorno, con inestinguibile, seppur ingenuo, furore avevo compiuto la mia iniziazione ai valori della civiltà negata e offesa, avevo dato un passato al tragico presente in cui ogni speranza pareva naufragare, avevo allontanato dal mio capo il destino della vittima inconsapevole.
Gli unici ricordi non effimeri di quei due anni e mezzo, relativi alla mia vita personale, sono legati alle centinaia di libri divorati, alle decine di quaderni riempiti di appunti, alle migliaia di ore trascorse al tavolo di studio dall'alba a notte inoltrata, con gli unici intervalli delle corse in biblioteca [Nazionale] a procurarmi altri volumi. Sepolti sotto la polvere degli scaffali e qualcuno nelle casse dei libri vietati, scoprivo in ciascuno di essi (fossero la Politica di Aristotele o i Saggi di Montaigne, la Critica della ragion pratica o gli scritti marxistici di Antonio Labriola) un atto di accusa contro il fascismo, del materiale più esplosivo di qualsiasi bomba o carica di dinamite, la testimonianza di una umanità trionfante sopra le aberrazioni, la certezza della fondamentale superiorità della ragione, dell'invincibile forza della coscienza.
Tutto questo non può che apparire, oggi, estremamente romantico. Ci si può domandare inoltre perché, a parte una possibile azione negli ambienti giovanili fascisti, nei quali pure si discuteva e nei quali non era difficile far valere (come in un paio di occasioni potei constatare) una intelligenza più esercitata e una cultura meno rozza, per seminare il dubbio e indirizzare lo scontento, non pensassi ad entrare in contatto con gruppi di giovani e di anziani orientati in senso contrario al regime, che pure non mancavano nella città di Laterza, dei Fiore, nella città dove si stampavano i libri di Croce, che per me come per molti altri furono in quegli anni la scoperta più significativa e la guida più importante. [...]
Quando, nel febbraio del '43, chiusi in fretta il Fisher e il De Ruggiero, Meinecke e Weber (Thomas Mann e Faulkner, Vittorini, Alvaro e il primo Pavese) e, rimuginando le teorie degli pseudoconcetti e degli opposti-distinti, mi trovai soldato fra i soldati, studenti universitari come me, al corso per allievi ufficiali (che mi rivelava quanto profonde fossero le connessioni fra certa mentalità e certo costume militareschi e l'essenza psicologica del fascismo e come questo facilmente avesse potuto allignare sul terreno storico di tutta una tradizione statale accentratrice e burbanzosamente autoritaria e paternalistica), capii finalmente che avrei potuto dare un senso e uno scopo non egoistici al mio rovello precedente aiutando altri ad aprire gli occhi, a pensare al futuro, alla necessità di costruire una patria più civile.»

(Michele Abbate, in La generazione degli anni difficili, p. 27-44: 33-36).

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