Pasquali (1929a)

Fonte:
Giorgio Pasquali, Biblioteche, «Civiltà moderna», 1, n. 1 (15 giu. 1929), p. 46-61.

«I bibliotecari di tutto il mondo si raduneranno a Roma nel prossimo giugno e percorreranno poi il nostro paese, visitando biblioteche e archivi, da un capo, si può dire, all'altro di esso. [...] I bibliotecari stranieri ammireranno in Italia biblioteche ricchissime di manoscritti, fornite mirabilmente di libri antichi e tenute al corrente della produzione moderna in una maniera che appar miracolosa, se si riflette alla ristrettezza delle dotazioni; ma specie quelli tedeschi e per certi riguardi anche gli americani giudicheranno la nostra organizzazione alquanto arcaica.
Di biblioteche l'Italia ne ha troppe e troppo poche. In alcune città, a contare solo le grandi biblioteche pubbliche statali, le più senza un indirizzo particolare, senza una specializzazione facilmente riconoscibile, non bastano le dita della mano: in Roma la Nazionale, la Casanatense (questa per vero specializzata e specializzata bene), l'Alessandrina, l'Angelica, la Vallicelliana, la Lancisiana; qui in Firenze, la Nazionale, la Marucelliana, la Laurenziana, la Riccardiana. Una delle città del mondo nella quale si studia di più, Berlino, con un numero di abitanti sei volte maggiore di Roma, con popolazione poco concentrata, cioè con distanze enormi, ha solo due grandi biblioteche pubbliche, la Nazionale e l'Universitaria, e queste non per caso sono collocate una accanto all'altra. Troppe biblioteche dello stesso genere nella stessa città portano una doppia serie di inconvenienti: economici e di comodità di lavoro. [...]
Ma i danni per l'economia del lavoro dei frequentatori sono, secondo me, anche più gravi, perchè il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato: e sabato sarebbero in questo caso i libri e le biblioteche. Ora uno studioso non può, a Roma, esser sicuro che un libro manchi, se non ha prima consultato i cataloghi almeno di quattro o cinque biblioteche (e intendo anche qui come altrove per biblioteche solo quelle appartenenti allo Stato italiano e pubbliche, escludendo quindi la Vaticana e quella dei Lincei e quelle dei Ministeri, della Camera, del Senato, dei moltissimi istituti scientifici stranieri e così via), di quattro o cinque biblioteche separate l'una dall'altra da chilometri e chilometri di strada. [...]
Il rimedio? Fondere le biblioteche pubbliche minori con le maggiori della stessa città? [...] Opposizioni sentimentali non mi commuovono gran che: anch'io apprezzo la malìa dello studio in un'antica e venerabil sala, cui si giunga attraverso broli verzicanti e chiostri di architettura perfetta, ma mi indispettisco poi, se la venerabil sala ha troppo poca luce, e se d'inverno nonostante il termosifone vi si battono i denti, e se i silenzi dei secoli sono rotti dalla voce troppo alta di un impiegato romagnolo, brav'uomo probo e operoso, se altri mai, ma di carattere eccitabile e dotato da natura di voce troppo più sonora che non richiederebbe il suo ufficio. [...]
Ma la fusione e concentrazione non risolve ancora il problema. L'Italia, si è detto, ha troppe biblioteche; ma essa ne ha anche troppo poche: troppo poche di specializzate e troppo poche di popolari. Le specializzate si vanno a poco a poco formando: non c'è ministero, non c'è pubblica istituzione che non abbia ormai una sua libreria accessibile solo a una cerchia che offre garanzie particolarissime, ma a quella accessibile quasi senza formalità e senza limitazioni. E non c'è in ispecie Facoltà o scuola universitaria la quale, nonostante le presenti ristrettezze, non s'ingegni meglio che può di tener al corrente la propria biblioteca particolare a uso dei propri maestri e dei propri scolari. Che molte, forse tutte seguano in ciò criteri errati per pedanteria burocratica, e scemino così il beneficio che potrebbero recare, non si deve tacere, e si dirà brevemente più sotto. Ma una tale biblioteca, comunque organizzata, allevia il compito delle biblioteche pubbliche: lo studente che si trova un libro a portata di mano, lo consulta a suo agio tra una lezione e l'altra, e non si scomoda ad andare nella pubblica, cioè rinunzia a incomodare per cosa superflua i pochi impiegati di questa, distogliendoli da altri compiti, meno facilmente fungibili. Ma di biblioteche popolari si vedono in Italia appena appena i princìpi, e invano par combattere per esse da molti anni un bibliotecario davvero illuminato e moderno, Luigi de Gregori. In Italia le funzioni delle biblioteche statali, che non possono essere se non funzioni scientifiche, e quelle delle biblioteche popolari non sono ancora distinte, e s'intralciano a vicenda. Alla Nazionale si recano del pari il dotto per studiare e lo scolaro, lo sfaccendato, il fiaccheraio che vuol passare un'ora in letture dilettevoli. Si deve dire che, se del sistema presente soffrono tutti e due, quello che alla fine si accorge di aver fatto peggio i suoi conti, è non il dotto ma lo scolaro o lo sfaccendato? Una disposizione generale del regolamento vieta di concedere in lettura, tranne per fini scientifici, opere di amena letteratura. Romanzi, dunque, nelle biblioteche pubbliche non se ne possono leggere; eppure v'è un pubblico al quale un romanzo, diciamo, di Alessandro Dumas padre o anche i Pirati di Mompracem sarebbero nutrimento spirituale più confacente che p.e. l'Igiene dell'Amore, che pure non tutti i bibliotecari s'accordano nel comprendere tra le letture amene. [...] Si è rimediato inventando una sala a parte per studiosi, la quale non semplifica davvero il servizio. A me pare strano che nelle biblioteche, che sono fatte per studiare, ci sia una speciale stanza nella quale sola si possa studiare. E per eliminare questa contraddizione proporrei di sostituirla con un'altra, che è più grave solo nella forma verbale: nelle biblioteche pubbliche non ci dovrebb'essere sala pubblica. Così è in paesi che pure si credono ormai più democratici che l'Italia: in Germania per avere accesso alle biblioteche occorre avere certi requisiti, p.e. quello, che anche da noi dovrebb'essere pienamente sufficiente, di essere scolaro di scuole superiori; ma, una volta ammessi, si è in possesso di tutti i diritti, non si è esclusi da nessun locale, si possono senza garanzie sussidiarie ottenere libri in prestito.
Ma, perchè questo procedimento sia tollerabile, occorre che siano create finalmente le biblioteche popolari. Per una tale istituzione i tempi corrono, mi sembra, meno sfavorevoli di quel che parrebbe a prima vista. Non c'è circolo fascista di cultura che non si vanti della propria biblioteca circolante. Basterebbe che le istituzioni di una città si coordinassero tra loro e rendessero accessibili le proprie raccolte anche a chi non è iscritto al partito, perchè le fondamenta per le biblioteche popolari fossero bell'e gettate. In molte città le Case del Fascio hanno esercizio pubblico di ristorante e di albergo diurno; in molte esse si sono date speciale cura dello scolaro medio e dello studente. Nè ci sarebbe forse neppur bisogno di allargare la concessione dell'uso di tali biblioteche a tutto, indistintamente, il pubblico. [...] Che tali biblioteche siano destinate in larga misura al prestito, non mi par che guasti; che siano distribuite in rioni diversi, anche periferici, mi sembra piuttosto un vantaggio: così è, se sono bene informato, anche nelle grandi città dell'America del Nord. [...]
La maggior parte delle biblioteche pubbliche sono aperte dalle nove alle quattro, cioè nelle ore nelle quali proprio quelle classi sociali che per la loro professione hanno più bisogno della biblioteca, studenti, maestri di scuole medie, professori, hanno di solito lezione. E quelle medesime sono anche le ore di ufficio per professionisti, avvocati o medici, che cercano a spizzico di soddisfare impulsi e curiosità scientifiche. E chi, con uno sforzo, magari saltando il desinare, provi a recarvisi tra il mezzodì e le due, troverà che proprio in quel tempo quasi tutti i servizi sono o sospesi o rallentati, perchè una buona parte del personale si è allontanata per la refezione. In altre parole, con l'orario presente le biblioteche servono solo a chi non se ne serve. Non è necessario che sia così: la maggior parte delle biblioteche tedesche è aperta, almeno per quel che è sala delle riviste e sala di lettura, dalle otto di mattina alle dieci di sera. E non si vede perchè questo debba rimanere appannaggio della Germania, tanto più che simili prolungamenti di orario sono stati attuati sia pure in misura un po' minore e con qualche limitazione che in Germania non c'è, nella Marucelliana di Firenze e, se non m'inganna la memoria, anche a Brera. [Un orario ottimo, pomeriggio e sera, ha a Venezia la Querini-Stampalia; uno buono, pomeridiano, la piccola Comunale di Belluno.] [...]
Nelle biblioteche italiane si scrive troppo, e il troppo scrivere rallenta il servizio. Io penso a quel che avviene nelle cosiddette sale del prestito, che ancora nelle biblioteche maggiori sono per lo più stanzuccie rimediate. Chi vuole un libro, scrive nome di autore, titolo e segnatura sur una scheda, consegna questa a un impiegato e aspetta che il libro gli sia portato. Intanto arrivano altre persone che riportano opere avute in prestito; fanno calca allo sportello irrazionalmente unico del prestito, si urtano con gli aspettanti. Quando il libro richiesto arriva, il richiedente è chiamato allo sportello, dove lì per lì deve riempire e firmare una scheda a due o tre divisioni, identiche tranne nell'ordine delle indicazioni. L'impiegato esamina la scheda, la corregge, la ritira, e poi scrive anche lui a sua volta un lasciapassare. E intanto la folla aumenta e non entra più nella stanza, e il servizio ristagna. In questo campo il governo presente, che pure ha bandito guerra alle scartoffie, non ha ancora mutato nulla; una biblioteca almeno ha di suo reso più complicata la scheda di ricevuta. [...]
Nelle nostre biblioteche la sala pubblica di lettura è anche in questo veramente sala di lettura che il libro riconsegnato deve la sera per lo più ritornare a posto: non si riesce a immaginare che esso possa normalmente rimanere oggetto di studio per parecchi giorni di seguito; e anche dalla maggior parte delle sale di studio o riservate il libro deve essere rinviato al suo posto nei magazzini almeno a fine di settimana. [...]
In Italia il numero di opere delle quali un lettore può contemporaneamente fare uso, è almeno nella sala pubblica strettamente limitato; in altre parole, in sala di lettura è impossibile qualsiasi lavoro scientifico. Limitazioni, ve ne sarebbero teoricamente anche per le sale di studio: in pratica i bibliotecari, più assennati dei loro regolamenti, sanno passarci sopra con leggerezza. [...]
E non limitato è per lo più in Germania il numero delle opere che uno può prendere in prestito. Introdurre questa libertà nelle biblioteche italiane, rimettersi alla discrezione degli studiosi, che sono spesso egoisti, significherebbe secondo taluno spogliare le biblioteche, rendere impossibile una consultazione rapida. Questi tali avranno ragione. Ma conviene dire che per gli studiosi il prestito è necessario, anche perchè la maggior parte dei dotti dai venticinqu'anni in poi non può per nervosità lavorare in biblioteca, può, cioè, scorrere libri e prendere appunti, ma non pensare, quando v'è troppa e troppo rumorosa e mobile gente nella stessa stanza. [...]
E agli stessi fini di render possibile il prestito e insieme di alleggerire altri servizi, quelli della distribuzione, servono le sale di consultazione delle grandi biblioteche, dalle quali opere che vi hanno posto permanente, non dovrebbero potere esser allontanate se non eccezionalmente. Ma la sala cosiddetta di consultazione, e s'intende di libera consultazione, deve, se vuol giovare a qualche cosa, essere veramente tale. Se no, serve anch'essa ad aumentare il numero delle scartoffie. Dev'essere lecito a ciascuno tirar giù libri a sua posta senz'appunti e senza schede, e solamente esser vietato di rimettere a posto le opere consultate, che non avviene mai senz'errori. Si costringano gli studiosi a scrivere il loro nome in un registro, ogni volta che entrano in sala di consultazione, si stabilisca un controllo rigoroso alla porta, ma nulla di più, o si renderebbe illusoria l'utilità. Questa necessità non è, mi pare, ancora intesa bene in Italia. Ancora nella estate scorsa io avevo vantato l'utilità somma che gli studenti ricavavano dalla grande, luminosa, comoda e ben fornita sala di consultazione della biblioteca della Facoltà di lettere di Firenze. Mentre io a Kiel scrivevo questo in un articolo, il rettore e il consiglio della Facoltà di lettere, turbati dai troppi libri scomparsi negli ultimi tempi da quella sala, deliberavano di assiepare gli scaffali, sinora aperti, con una rete di filo di ferro e di non concedere nessun libro in «consultazione» se non contro scheda regolarmente firmata. Una sala di consultazione nella quale i libri sono resi intangibili e invisibili, una sala di consultazione con schede: due bell'e buone contradictiones in adiecto. [...] E, per quanto la discrezione del valente e dolce collega che regge ora quella biblioteca, si adopri al solito a mitigare la rigidità, come a me pare, non del tutto giustificata di quelle disposizioni, nella cultura degli studenti e nelle loro dissertazioni si mostrano già gli effetti di questo non avere più quasi un'intera biblioteca davvero sotto mano. Nella biblioteca della Facoltà di lettere di Firenze nessuno va ormai più per mero piacere. Si deve esigere che i giovani studino, ma si deve anche procurar loro modo di studiare comodamente. [...]
Nelle nostre [biblioteche] i nuovi acquisti rimangono a lungo a ciondolare in direzione; sono catalogati solo dopo mesi; divengono accessibili alla lettura piuttosto tardi e clandestinamente; solo molto più tardi, per una disposizione del regolamento, possono essere dati in prestito. [...] Ma il male è che una esposizione al pubblico dei nuovi acquisti, poco importa se rapida o tarda, non è nè prevista dai regolamenti nè, che io sappia, praticata in alcuna biblioteca dello Stato italiano.
D'altro ancora avrei voluto parlare, p.e. di certe limitazioni poste alle fotografìe dei codici, che, senz'esserci utili, ci recano pregiudizio nell'opinione degli scienziati stranieri. Ma ho voluto per questa volta limitarmi ad argomenti d'interesse generalissimo. [...]
Il problema dell'alta cultura è da noi, lo ripeto ancora una volta, in primo luogo, un problema di biblioteche.»

(Giorgio Pasquali, Biblioteche, «Civiltà moderna», 1, n. 1 (15 giu. 1929), p. 46-61. Poi in Vecchie e nuove pagine stravaganti di un filologo, [Firenze], De Silva, 1952, con piccole varianti, l'aggiunta sulle biblioteche di Venezia e Belluno – presumibilmente inserita nelle Pagine stravaganti di un filologo, Lanciano, Carabba, 1933 e qui riportata in parentesi quadre – e una Postilla finale scritta per la nuova edizione).

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