Cancogni (2014)

Fonte:
Manlio Cancogni, Il racconto più lungo: storia della mia vita: conversazione con Giovanni Capecchi, Novara, Interlinea, 2014.

«Un giorno mi telefona Cassola, che non vedevo da qualche mese, per una delle solite rotture. [...] Mi telefona e mi dice se gli porto un libro: anche lui faceva Legge e così ci si dette appuntamento all'Università, che allora [nel 1935] era stata trasferita alla Città degli Studi, mentre il primo anno di Università era stata in centro a Roma, nella vecchia Sapienza. In quel primo anno avevo scoperto la città, all'Università non ci andavo, entravo ma non andavo a lezione, nei miei quattro anni di Università avrò sentito venti lezioni, ma nemmeno, perché comunque mi piaceva andare là, ero uno studente universitario, dopotutto, era ancora una élite quella che poteva studiare, mica come oggi. [...]

[Capecchi:] Quindi fissasti l'appuntamento con Cassola per portargli il libro...
... e si comincia a chiacchierare. Per andare a Bassano, m'ero fermato a Venezia, dove non ero mai stato, ed ero andato a vedere la Biennale di pittura, importantissima. Si poteva vedere tutto, contrariamente a quello che poi si è creduto e soprattutto si è voluto far credere. Durante il fascismo si era informatissimi dell'arte, della musica, delle letterature; si poteva leggere tutto, anche i libri antifascisti, in biblioteca. Naturalmente non si poteva andare a fare propaganda...»

(Manlio Cancogni, Il racconto più lungo, p. 97-98).

«Ti ho già parlato del barbiere di Sarzana che era il mio istruttore, in un certo senso, perché mi dava delle indicazioni su come dovevo fare la propaganda comunista legalmente: «Tu devi mascherare questa propaganda attraverso la conoscenza della storia. Se tu spieghi la storia da un punto di vista marxista, fai propaganda e non è proibito dalla legge». In libreria si trovava anche il Manifesto del Partito Comunista, perché era in appendice ai Saggi sul materialismo storico del Labriola; e c'erano libri di storiografia marxista, come per esempio la Storia della Rivoluzione francese del Mathiez, la Storia moderna del Giappone, il Napoleone del Tarle, che si potevano prendere dal libraio. E poi si leggevano le Esperienze della guerra di Spagna del Matthews. C'era una libertà enorme di informazione durante il regime, giustamente deprecato, ma non per questo.»

(ivi, p. 113).

«[Capecchi:] Hai parlato dell'importanza che il Joyce di Dedalus e dei Dublinesi ha avuto per te e hai accennato a Proust e alla Recherche. I libri di Kafka hanno rappresentato per te una lettura importante?
Mi ha suggestionato. Lessi La metamorfosi in Biblioteca Nazionale [di Roma], prima della guerra, e rimasi schiacciato da questa lettura. Veramente: un senso di compassione così non l'avevo mai provato.»

(ivi, p. 138).

«Si stava a Roma: c'erano Mafai, Guttuso... Tra l'altro nel '36 avevo scoperto in biblioteca un volume dove c'era illustrata tutta la pittura impressionista, che in bianco e nero ci guadagna, suggerisce veramente qualche cosa di straordinario (quando la vai a vedere dal vivo, è sciupata dal tempo, è scurita). L'emozione, per me, fu travolgente: l'incontro, soprattutto, con Monet. Tanto che nel luglio del '36 mi fermai, come ti ho detto, alla Biennale di Venezia, dove, nelle sale della Francia, c'era una retrospettiva di Degas. [...] E così io coltivavo questo interesse per la pittura moderna.»

(ivi, p. 148).

«Io ci credo poco alle esercitazioni verbali, compreso Finnegans Wake, che io non ho mai affrontato, anche se con spirito religioso tenni tra le mani la prima copia che arrivò a Roma nel 1939, appena uscita, alla libreria Piave [ma Piale] in piazza di Spagna. Uscirono anche dei tentativi di traduzione in rivista, su "Prospettive", su "Oggi", un settimanale di grande tiratura: ma naturalmente non si può tradurre quella lingua. [...]
Io ero un ragazzino fino a diciotto anni. Ho cominciato a crescere veramente a diciotto-diciannove anni, all'Università, quando ho cominciato a frequentare la biblioteca (non l'Università che, come ti ho detto, frequentavo poco). C'è stata, come dire, un'educazione intellettuale che ha prevalso. Facevo delle grandi scoperte. Leggevo Schopenhauer, Nietzsche, Ibsen. Andavo un po' a casaccio. Ho cominciato a mettere ordine nelle letture quando ho conosciuto Cassola.»

(ivi, p. 155).

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