Zavattini (1958)

Fonte:
Cesare Zavattini, Una, cento, mille lettere, a cura di Silvana Cirillo, Milano, Bompiani, 1988.

«Caro Mondadori, [...]
Credo sia bene che ti faccia trovare questa esposizione molto alla buona del progetto dell'inchiesta televisiva cui ti accennai, dal titolo provvisorio L'Italia che legge. [...]
Si tratta di un'inchiesta televisiva, dunque, da svolgersi settimanalmente per la durata di sei mesi circa, sul tema L'Italia che legge, con lo scopo di accrescere, con un mezzo di propaganda potente e accetto come la televisione, l'interesse per i libri del nostro tempo, del nostro Paese, per la cultura moderna di cui sono la espressione. In breve, bisogna tentare con la televisione un assalto nuovo, massiccio, metodico, insistente e spettacolare contro l'inerzia dell'italiano, che nelle statistiche dell'ignoranza universale occupa uno dei posti peggiori.
Già centinaia e centinaia di nostri paesi hanno sui loro tetti le antenne televisive, anche i paesi più remoti e poveri; è ormai il panorama odierno. Ma assistiamo contemporaneamente a questo fatto, che in molti di questi paesi non entra ancora non diciamo una biblioteca, ma neanche un libro, e soprattutto non entra un libro di letteratura moderna. Fra i poeti e gli scrittori di questo mezzo secolo e il pubblico ci sono sempre le antiche distanze, i pregiudizi di casta da una parte e un atavico disinteresse dall'altra. Ma per fortuna (o sfortuna, a seconda degli scopi), tre anni di televisione hanno dimostrato che si possono compiere miracoli sulla psicologia del nostro prossimo, si possono mobilitare milioni di occhi, di orecchi, di persone intorno a qualsiasi tema, appassionare la gente a una persona, a un piccolo fatto umano; rendere famoso dalla mattina alla sera chi prima era un ignoto, sollevare delle curiosità, più o meno profonde, ma vaste e piene di conseguenze, negli animi più sordi fino a questo momento. [...]
Questo viaggio, che possiamo definire anti-accademico, potrà essere compiuto ordinatamente dal Nord al Sud o dal Sud al Nord, ma potrà anche svolgersi in modo diverso, cioè le tappe succedersi secondo la necessità del discorso generale. Che avrà la sua parte imprevista, ovviamente. Infatti ogni «inchiesta» televisiva o giornalistica parte sì da finalità che devono essere ben chiare in colui che le compie, ma bisogna che lasci tuttavia alla sincerità, alla schiettezza, alla umanità infine delle persone incontrate un notevole margine e tutto l'incanto che dall'imprevisto si sprigiona sempre.
Ecco qualche indicazione per le prime puntate: potremmo andare, per esempio, in una scuola elementare, magari il primo giorno di scuola. [...] e da questo esordio allegro e insieme patetico, si può andare in una scuola per analfabeti, di gente adulta, anche vecchi, e là conoscere la storia di qualcuno di questi, e saranno sempre storie avvincenti: come mai solo a questa età possono studiare, e le emozioni che provano, e quali libri essi vorrebbero leggere per primi; e poi andare dai ciechi, e niente come la lettura fatta dai ciechi con le loro sensibili mani dà il senso del bisogno della lettura come contatto col mondo, come moto verso la luce; e parlare anche con questi ciechi, entrare un po' nella loro anima, nella loro ansia di sapere; e poi andare sui treni, quei treni che da tanti borghi portano lavoratori di tutte le categorie, di tutte le età, nella grande città. In quei trenini, in quei tram di periferia, c'è una ragazzina che legge, o un operaio: interrogarli, vedere chi sono e che cosa leggono, e che cosa vorrebbero leggere, e che autori conoscono della nostra letteratura. [...]
Lungo l'itinerario, le puntate, noi entreremo anche in una grande biblioteca, oserei dire nel luogo più impopolare del nostro Paese. Si pensi all'apparente uniformità della gente china sui libri, in quelle fredde silenziose sale, in contrapposto alla diversità dei loro interessi, dei loro romanzi privati. Stando una mattina intera in una biblioteca a interrogare queste donne, questi uomini, a conoscere i motivi complessi, pratici o lirici, che li hanno condotti lì, vivificheremo l'ambiente, come percorsi da un gran vento, si apriranno gli animi, quello del giovane studente, dell'illustre professore, del dilettante, o di chi in un piccolissimo libro cerca la storia di una parola, o in un libro immenso pieno di immagini cerca, facendolo balzare come da una tomba, un aneddoto o un dato su un uomo quasi sconosciuto e tuttavia mirabile; ci sarà la giovanetta e la vecchia, il povero e il ricco, e chi sfoglierà l'incunabolo e chi il libro uscito proprio il giorno prima. Si potranno intercalare questi interrogatori con delle variazioni che arricchiscono questo o quel tema e ce lo faranno analizzare anche da altre parti. Se, per esempio, un giovane è lì per preparare una tesi di laurea sopra Verga o su Pirandello, potremo inserire degli elementi informativi ed evocativi su questi autori, con la libertà di tempo e di spazio che dà il mezzo televisivo.»
(Cesare Zavattini, lettera a Alberto Mondadori, Roma 25 settembre 1958, pp. 422-426)

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