Alfieri (1976a)

Fonte:
Vittorio Enzo Alfieri, Maestri e testimoni di libertà, Milazzo-Palermo, Sicilia nuova, 1976.

«I libri di Croce, come i fascicoli della «Critica», circolavano in cerchie ristrette di amici, che si sentivano come dei congiurati: che anche la cultura, la pura cultura, la ricerca letteraria non contaminata da politica, l’erudizione storica in cui si cercava un’evasione da quella insopportabile vita, era una congiura. [...]
Il silenzio intorno al nome «vitando» continuava; e continuava l’ignoranza dei giovani: chi frequentava le biblioteche allora poteva constatare che i libri di Croce ben raramente erano chiesti in lettura e potrebbe persino testimoniare su un fatto di evidenza psicologica, ma certo non documentariamente provabile, ossia che molti non chiedevano le opere di Croce «per paura di compromettersi». Non vi era quasi biblioteca pubblica in cui un funzionario o almeno un inserviente non fosse una spia gratuita o addirittura stipendiata dell’«Ovra»: credo che ciò, fino ad oggi, non sia stato detto da nessuno, ma è bene che finalmente lo si dica, e vorrei potessero unire alla mia la loro voce, tra quelli che incontravo in biblioteca, anche gli amici morti come Alessandro Casati e Paolo Treves e Gerolamo Lazzeri e Siro Attilio Nulli, oltre ai vivi come Piero Treves, Francesco Perri, Carlo Cordié e alquanti altri. Chi si avvicinava al banco delle riviste per consultare la «Critica», chi era troppo povero per essere abbonato o troppo pauroso per compromettersi con un abbonamento che significava essere tosto iscritti nelle liste nere della polizia, lo faceva con passo furtivo, con aria guardinga, e consultava la rivista al banco stesso, magari tenendone aperte insieme altre due, e cercando il più possibile di passare inosservato. Episodi di bassezza che parrebbero incredibili, se non fossimo certi che i nostri ascoltatori hanno letto e ben ricordano il loro Tacito.»

(Vittorio Enzo Alfieri, Croce e i giovani, in Maestri e testimoni di libertà, pp. 9-34: 26-29).

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