De Mauro (2004a)

Fonte:
Tullio De Mauro, La cultura degli italiani, a cura di Francesco Erbani, Roma-Bari, Laterza, 2004.

«D. Ma in termini di competitività culturale – per usare un altro termine un po' brutto – siamo o no arretrati rispetto ai paesi a noi più assimilabili?

R. In termini relativi ciò è indubbio. Finora non abbiamo parlato di altri indicatori che segnalano le disparità. Vogliamo parlare dei dati di vendita dei giornali? [...] Ma possiamo aggiungere le cifre sulla lettura di libri, assolutamente catastrofiche. O di un altro settore ancora: la quantità di strutture di pubblica lettura, per esempio le biblioteche di quartiere: lo sa che in Spagna più della metà dei libri letti sono presi in prestito in biblioteche territoriali? Noi abbiamo un pessimo sistema di biblioteche, tolte alcune isole felici nel Nord-Est del paese o in Emilia. [...]
Nell'ultima indagine multiscopo dell'Istat sulla lettura [...] i ricercatori hanno spostato il tiro anche sui non lettori. I non lettori, cioè quelli che non leggono né un libro né un giornale, sono i due terzi della popolazione italiana. E a loro hanno chiesto: perché non leggete? La sgranatura nelle risposte è abbastanza interessante. [...] Un altro risultato che fa riflettere è quel 3 per cento che accoglie tra le diverse una risposta suggerita dai ricercatori: non leggo perché non trovo biblioteche dove andare a prendere i libri. Cosa vuol dire questa risposta? Vuol dire che non esiste neanche la consapevolezza, se non in una porzione minima del campione, dell'esistenza di luoghi pubblici dove si possano prendere e leggere libri. Il 97 per cento dei non lettori non accampa nemmeno come pretesto l'assenza di biblioteche: nemmeno sospetta che potrebbero esistere. D'altronde solo poche persone sanno – non lo sa il Comune di Roma, non lo sa la Regione Lazio, non lo sa forse l'intera popolazione romana – che prima dei bombardamenti, in proporzione agli abitanti, la città di Baghdad offriva ai suoi residenti più luoghi di lettura pubblica che non la città di Roma (lo accertò l'Associazione italiana bibliotecari). A Roma nessuno sa di avere diritto, secondo gli standard internazionali, a trovare entro 600 metri da casa propria una biblioteca che gli metta a disposizione i libri appena usciti. E questo accade a New York o a Parigi, a Madrid o a Salamanca e a Barcellona. Allora, certamente l'Italia vive una condizione di arretratezza, ma è un'arretratezza indotta. Se non ci sono biblioteche, non si sa che potrebbero e dovrebbero esserci. Non sapendo questo, nessuno spinge per avere biblioteche. E quindi si degenera in una situazione di arretratezza collettiva. [...]

D. Funzionano male sia la pubblica fruizione che la conservazione di libri?

R. Funziona abbastanza male anche la conservazione, ma già funziona meglio nel deserto della pubblica lettura. Noi non possediamo nulla di paragonabile alle grandi strutture di altri paesi, alla rete formidabile di tutte le biblioteche – universitarie, pubbliche, di conservazione, locali – che esiste in Germania. Non abbiamo nulla di paragonabile alla Bibliothèque Nationale di Parigi, alla Library of Congress degli Stati Uniti, o alla British Library di Londra. In questi paesi gli investimenti sono consistenti e lo sono da secoli, per cui alimentano il bisogno di strutture del genere. Le racconto un episodio. Fino a metà degli anni Cinquanta la Biblioteca Nazionale di Roma era al Collegio Romano. Poi si decise che doveva essere trasferita in una nuova sede. La decisione fu brusca e brusca fu anche la chiusura della biblioteca, perché si pensava che il nuovo edificio sarebbe stato costruito velocemente. Successe che noi utenti della Nazionale ci organizzammo e facemmo un corteo per via del Corso, fin sotto Montecitorio, per protestare contro la chiusura. Il corteo era guidato dal professor Angelo Monteverdi, un filologo romanzo. Eravamo alcune centinaia di persone e bloccammo il traffico. Una cosa mai vista né prima né dopo! La biblioteca fu subito riaperta almeno in parte e poi, molti anni dopo, richiusa. Il nuovo edificio della Biblioteca Nazionale è stato costruito in modo dissennato – mi dispiace dirlo per i bravi architetti che ci hanno lavorato. In un periodo di vacche grasse, di curiose opinioni avveniristiche, doveva essere tutto automatizzato, ma i fondi per far funzionare l'automazione non c'erano, non ci sono mai stati. L'edificio è di una inutile grandiosità per tanti aspetti, tutti quanti hanno dato il loro contributo alla distruzione per lunghi anni della struttura, che è stata soggetta ripetutamente alla chiusura di sale, più o meno ragionevole. Insomma, nessuno ha più protestato e direi che oramai nessuno più protesta. Immaginare di fare un corteo per il miglior funzionamento della Biblioteca Nazionale è assolutamente improponibile. Qui incappiamo in un'altra forma di arretratezza. Ma è anche rassegnazione. Vede queste nostre case di professori, ingolfate di libri? Questo non accade in altri paesi.

D. I suoi colleghi tedeschi, inglesi o francesi non posseggono libri?

R. Un centinaio, forse qualche centinaio. Ma non mi è mai capitato di vedere più di tre, quattrocento libri in casa di professori stranieri. Si posseggono i libri di affezione. I classici più amati. È del tutto naturale che per il resto si vada in biblioteca. Insomma, queste pile oscene di libri che si ammucchiano sui nostri tavoli e sulle nostre scrivanie non si trovano altrove. E invece qui, a Roma, in una condizione già privilegiata, con grandi biblioteche di conservazione, se vogliamo accedere rapidamente a un libro, l'unica cosa è averlo a casa.

D. Quello che lei dice fa pensare a un altro degli effetti della condizione di minorità, per non usare la parola arretratezza, rispetto agli altri. Essa produce un eccesso di individualismo, una cura esasperata dei luoghi privati a scapito di quelli pubblici, che invece negli altri paesi godono di molta più attenzione.

R. È vero. Possedere i libri diventa un vanto. Giovanni Spadolini aveva una biblioteca di 30 mila volumi. [...] Il mio amico Tullio Gregory ha una splendida biblioteca in casa. Oh, che casa! Umberto Eco ha una spettacolare biblioteca. Un altro mio vecchio amico, morto da tanti anni, diceva di sé: io studio le cose su cui sono riuscito ad avere i miei libri. [...] Se Tullio Gregory e io buttassimo via i nostri libri e dicessimo: «Vogliamo meno libri in casa e più biblioteche», avrebbe forse un effetto. Ma temo anche che la gente si metterebbe a ridere. In molte università abbiamo cercato di arricchire le biblioteche di facoltà, ma da tanti anni scarseggiano i finanziamenti per tenere il ritmo della produzione libraria. Gregory, che per molto tempo ha meritoriamente diretto la biblioteca dell'istituto di Filosofia di Villa Mirafiori, qui a Roma, una biblioteca importantissima che si è andata nutrendo di lasciti, a un certo punto, vista la scarsità di mezzi a sua disposizione, decise di non acquistare più nulla di italiano, solo testi e riviste straniere. È stata una scelta dolorosa e anche paradossale: i libri specialistici pubblicati in Italia qualche volta pure servono. Ma le nostre biblioteche, per esempio nel settore linguistico, non riescono a dar conto di ciò che si stampa all'estero. Per essere aggiornati bisogna ogni tanto andare fuori d'Italia. E poi comprare i libri indispensabili alla propria ricerca.
[...]
Siamo partiti dai libri e stiamo parlando di libri, ma, usando di nuovo la percezione di tanti amici e colleghi stranieri che vengono a trovarci, sono sempre colpito da quanto restino stupefatti non solo per le nostre biblioteche private, ma in genere per le nostre case, per come sono curate, arredate, tirate a lucido. E per la differenza che scorgono con quello che vedono fuori di qui. ».

(Tullio De Mauro, La cultura degli italiani, a cura di Francesco Erbani, p. 28-34).

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