Panzini (1938)

Fonte:
Alfredo Panzini, Figurine di biblioteca, «Corriere della sera», 63, n. 51 (28 febbraio 1938).

«La biblioteca civica della vetusta città di Rimini era come un diploma di nobiltà. Questa città non si dava pensiero, allora, di apparire vetusta, e così la biblioteca.
Governatore della biblioteca era il dottor Carlo Tonini, e dicendo il dottore, si intendeva lui. [...]
Seduto e quasi sepolto giù fra vecchi libri e codici, in fondo, nell’ultima sala col ballatoio settecentesco, il dottore continuava la paterna storia della sua cara città [...].
Apriva lo scrigno della sua dottrina a chiunque lo avesse richiesto, così come alle due del pomeriggio, quando chiudeva con tanta precauzione di grosse chiavi la biblioteca, apriva il borsellino a cerniera per fare la carità ai poveri che in lunga fila aspettavano il «signor dottore».
Impiegato, distributore, e bidello insieme della biblioteca, era un vecchietto dalla schiena curva e una barba prolissa come quella di San Girolamo. [...] Aveva anche, nei mesi freddi, l’ufficio di tenere acceso un braciere di carbonella, di nocchi d’ulivo, nella sala di lettura. [...]
Il parroco forese, di San Lorenzino in Strade, capitava ogni tanto, tondo e infiammato, con un cartafaccio da sottoporre al dottore per i casi dubbii di lingua e anche di teologia. Da anni, stava componendo un’opera sul Purgatorio.
Capitava anche il conte Battaglini. Veramente erano due questi patrizii; ma così somiglianti che si confondevano. Signorili, scarni, barba grigia, passavano oltre senza guardare. [...]
Confabulavano a lungo di cimelii, di quadri, di codici, di cui era ricco l’avito palazzo: di solennità religiose che essi facevano celebrare a tutto loro dispendio.
Veniva anche un certo Renzetti, tipografo, che ostentava la virtù repubblicana con un invariabile vestito di rigatino l’estate, e di mezza lana l’inverno. Era stato con Garibaldi fra quei monti. Lui voleva dire il Trentino.
Veniva per far sentire al dottore le sue poesie. [...]
Capitavano anche gli studenti che venivano da Bologna. La più parte della facoltà di medicina, terribili adoratori del santo vero e perciò molto scalmanati. Discutevano forte con un linguaggio da Convenzione francese, e facevano venir fuori dal fondo della biblioteca il dottor Tonini. – Andate là, ragazzi, non fate chiasso, parlate piano. C’è qualcuno laggiù che studia.
E veramente fra gli strombi, nelle sale recondite, sedeva su gli sgabelli antichi qualche dotto straniero a consultar codici e stampe rare. Questi stranieri venivano per la più parte da quella che era chiamata allora la dotta Germania; parlavano riguardosi, studiavano dall’apertura alla chiusura della biblioteca: senonchè questi biondi discendenti di Arminio avevano l’abitudine di farsi ogni giorno meno frequenti. Avevano scoperto, nelle fumose trattorie sotto la peschiera, bottiglie di Sangiovese, sogliole e calamaretti fritti.
Fra le teste più calde che entravano in biblioteca, era un Alfredo Mazzotti. La sua povertà era estrema. [...] Dentro quella fronte, battagliavano tutti i filosofi, i sociologi, gli scienziati, russi, francesi tedeschi, che avevano scoperto il santo vero, e lui, Mazzotti, ne reclamava le opere. [...]
Solenne veniva ogni giorno il dottore e medico Enrico Bilancioni.
– Dov’è Tonini?
– Laggiù in fondo.
Entrando in biblioteca (veramente lui diceva libreria), si toglieva il cappellaccio nero, e allora veramente la fronte dava al suo volto l’aspetto di antico Giove. [...]
Il dottor Bilancioni veniva in libreria per leggere a Tonini le sue epigrafi latine. [...]
Fu un grande avvenimento e trepidazione in tutta Italia quando si seppe che Re Umberto avrebbe visitato le Romagne. Ciò avvenne nell’agosto del 1888. Sua Maestà visitò Forlì, visitò Rimini, dove allora era ritornato Amilcare Cipriani.
Trattandosi di una città come Rimini, che siede tra l’arco di Augusto e il ponte di Tiberio, e in mezzo è il suggesto di Cesare, ci voleva bene un dichiaratore. Questi non poteva essere se non il dottor Tonini. Che pena, povero dottore! Che batticuore!
Non già per parlare con il Re; a tanti re, papi, imperatori, egli aveva parlato nelle sue storie, ma per uscire dai suoi vecchi cenci, metter su la palandrana nera, e al collo una cravatta con un fiocco fatto bene.
Ora, tutto è rinnovato nella già vetusta città di Rimini. Vie, piazze, arco, ponti, e anche la biblioteca chi la riconoscerebbe più?
Rimangono soltanto queste memorie.».
(Alfredo Panzini, Figurine di biblioteca, p. 3).

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