Codignola (1910)

Fonte:
Ernesto Codignola, Pisa, «La voce», 2, n. 5 (13 gen. 1910), p. 245-246.

«Pisa è città di silenzio e di raccoglimento: quanto fu fervida, agitata, violenta la sua vita passata, nell’ora della grandezza, tanto è stagnante e monotona l’odierna: dorme essa, come un’antica divinità obliata, il sonno delle glorie morte. [...]
Non vi è una sola biblioteca circolante decente: qualcuno che tentò l’impresa fallì: l’unica è ora quella della libreria Bemporad, composta in gran parte di romanzi da popolino. Neppure riuscirono pochi volenterosi ad istituire le biblioteche popolari. [...]
Nonostante parecchie lacune gravissime anche la biblioteca universitaria è assai ricca e rifornita: ma la sala di lettura è inadattissima ed insufficiente: essa non solo è adibita anche alla distribuzione, ma è nello stesso tempo sala di passaggio di tutti gli studiosi e degli impiegati, che devono attraversarla per recarsi negli altri locali, dove sono riposti i libri. Siccome le migliori opere, specialmente filosofiche e giuridiche, sono comprese nei lasciti e doni Carrata, Piazzini, Ferrucci e Gabba e non sono date a prestito, quello sconcio riesce dannosissimo agli studiosi ed esige una soluzione pronta ed energica, che non dovrebbe offrire soverchie difficoltà ora specialmente che si sta riordinando tutto l’edifizio universitario. È assolutamente impossibile raccogliersi nella lettura di opere scientifiche e filosofiche in una sala, dove si è disturbati ogni momento da un continuo andirivieni, sbatacchio di porte e cicalecchio di passanti e di impiegati. [...]
In questo ambiente di indifferenza e di mediocrità sono falliti finora tutti i tentativi di svecchiare un po’ la coltura e di agitare qualche nuova idea. [...]
Un gruppo di giovani tentò qualche mese fa di scuotere questo torpore e fondò un Circolo di Coltura, che si prefiggeva, oltre che una più intima e spirituale comunione fra gli studenti, l’apertura di una biblioteca circolante, di una sala di lettura con buone riviste italiane ed estere e più tardi di un’università popolare: i fondi dovevano essere raccolti con un ciclo di conferenze e poi con una sottoscrizione popolare. Ma i promotori ebbero l’ingenuità di invitare a parlare uomini, che agitassero idee con serietà e coscienza, e non le solite celeberrime e nauseanti nullità dell’accademia e del giornalismo, e mal gliene incolse.»

(Ernesto Codignola, Pisa, «La voce», 2, n. 5 (13 gen. 1910), p. 245-246: 245).

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