De Mauro (2012a)

Fonte:
Tullio De Mauro, Parole di giorni un po' meno lontani, Bologna, Il Mulino, 2012.

«Gli orali della maturità filarono via col vento in poppa. [...] Per ultima mi toccò l'interrogazione di latino e greco con il professor Marchi. L'esame fu minuzioso e lungo. Alla fine Marchi mi chiese che cosa avevo in mente di fare poi. Gli dissi che, in un modo o nell'altro, volevo insegnare nelle scuole, fare il professore. Avevo in mente il modello di Mario Themelly e dei miei recenti professori di liceo. Ma mi ricordavo anche la suorina di prima elementare, suor Rosa, e la professoressa Urban e Nuccia Musatti. Mi pareva il mestiere più bello del mondo. Mario Themelly, quando gli confidai il mio proposito, approvò, condivise la mia valutazione, anzi credo di dovere a lui le parole il mestiere più bello del mondo, ma subito mi mise in guardia sulle difficoltà che avrei trovato nella situazione italiana e sugli assai moderati compensi. Marchi non fece obiezioni, mi chiese solo ragionevolmente che cosa pensavo di insegnare. Ero incerto, gli dissi, tra il fascino della matematica e della fisica, ma anche quello della storia e dell'antico mondo greco. Gli confessai le ricorrenti difficoltà economiche familiari e quindi gli accennai all'idea, discretamente ventilata dai miei, che studiassi giurisprudenza per avere presto più carte in mano per lavorare e guadagnare. Scosse il capo. «Lei», mi disse, «sa che cos'è la Normale?». Non ne avevo idea. Mi spiegò rapidamente, un luogo a Pisa, un collegio, dove studiare duramente, ma spesato di tutto, e con una biblioteca [della Scuola normale superiore] intera a disposizione e professori, spesso i migliori, a disposizione, e non solo italiani. Concluse: «Lei deve prepararsi per fare in autunno il concorso di ammissione alla Normale per la classe di lettere». Gli dissi che accettavo l'idea. «Bene, allora, se vuole riuscire, deve quest'estate precisare e rafforzare la sua preparazione. Può scrivere?». Mi dettò quella che, questa volta, era una vera reading list. Tempo fa, per rispondere in qualche modo a una laudatio, ho dovuto rievocarla dinanzi ai colleghi della Sorbona, perché gli autori di quella lista erano stati tutti grandi maestri di quell'istituzione parigina: da Michel Bréal a Meillet, di cui mi assegnò in pratica l'opera omnia. Unica eccezione, un libro in italiano, Storia della tradizione e critica del testo di Giorgio Pasquali.
Seguii quasi subito le sue indicazioni di lettura, ma non fino in fondo il suo consiglio.
Quasi subito, perché terminati gli esami, usciti i quadri, Mario Themelly mi offrì, e io accettai con gioia, due settimane di ospitalità in una sua casetta nella montagna abruzzese, sulle ultime balze del Sirente. Si trattenne un paio di giorni, poi mi lasciò solo a camminare in solitaria per la brulla montagna, a franare insieme a sassi e massi, con qualche incoscienza, lungo coste e canaloni franosi fino a valle, a inoltrarmi nelle gole del Sagittario, a nutrirmi attingendo ai sacchi di fagioli e fiaschi d'olio conservati in casa, a rimuginare sul mio avvenire, a pensare alla mia bella compagna lontana con cui, senza telefono, non potevo corrispondere. Con lei, risceso a Roma, mi lasciai guidare verso l'università e mi inoltrai nella grande sala di lettura dell'Alessandrina. Ordinavo uno dopo l'altro i libri della lista di Marchi, Bréal non suscitò grandi entusiasmi nonostante il tema, ben altro effetto sentii leggendo le due brevi, grandi storie del greco e del latino, l'introduzione allo studio comparativo delle lingue indoeuropee, la grammatica comparata del greco e del latino. Come d'abitudine, leggevo e riassumevo su un quaderno pagina dopo pagina. Ripescai i libri di Galante e cominciai a studiarli, Passy più che la grammatica sanscrita. La mia compagna comprò e mi passò la Storia di Pasquali, che potevo leggere a casa, sprofondando in essa. La prova alla Normale si avvicinava. I quindici giorni di lontananza mi avevano fatto sentire assai forte il legame con la mia compagna lontana. Lei mi spingeva ad andare a Pisa. Preferii non farne niente e restarle vicino a Roma. Tradendo il buon professor Marchi, mi iscrissi alla Facoltà di lettere della Sapienza, lettere antiche, filologia classica.»

(Tullio De Mauro, Parole di giorni un po' meno lontani, p. 165-167).

«Alla licenza liceale il professore di latino e greco che ci esaminava, il professor Marchi di Firenze, un allievo del filologo Giorgio Pasquali, mi propose di presentarmi alla Normale di Pisa. [...] Gli chiesi cosa dovessi fare e lui mi stilò una lista di libri, da Storia della tradizione e critica del testo di Pasquali fino ai libri di Meillet.
[...]
Ho cominciato a seguire questo programma di letture nell'estate dopo la licenza liceale, guidato da una mia compagna che mi precedeva di un anno, una ragazza di cui ero innamorato. Lei era già all'università, faceva Lettere. Mi ha accompagnato lei la prima volta alla Biblioteca Alessandrina e così ho passato l'estate a leggere libri di linguistica. Poi un po' per amore, un po' per altri motivi ho preferito rinunziare alla Normale (chissà poi se mi avrebbero accettato) e restare a Roma, ma ancora con le idee confuse. Ho cominciato a frequentare le lezioni di Antonino Pagliaro, che insegnava Glottologia [...]».

(Tullio De Mauro, La cultura degli italiani, a cura di Francesco Erbani, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 63-64).

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