Bianciardi (1957)

Fonte:
Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale, 3ª ed. accresciuta, Milano, Feltrinelli, 1974.

«Dal meridione venne Simonetta, un salernitano grasso, con i baffi: aveva sposato una ragazza della nostra città, e gli avevano trovato quella sistemazione, come responsabile del lavoro culturale. [...]
Simonetta invece fece un’altra proposta concreta, per la crisi del libro: la biblioteca, si doveva utilizzare la biblioteca comunale, per farne un centro di lettura, di dibattito, di incontro. Intorno all’attività della biblioteca si poteva mobilitare un pubblico il piú possibile vasto di intellettuali cittadini, avvocati, professionisti, medici, insegnanti.
La biblioteca della nostra città era stata fondata da una singolare figura di prete garibaldino, illuminista e guerrazziano. Roma lo aveva sospeso a divinis [...]. I locali che ospitavano la biblioteca un tempo appartenevano ad un convento: la sala di lettura, dalle volte altissime, fresca e silenziosa, un tempo era stata il refettorio. C’erano molti cimeli preziosi, nella nostra biblioteca: trentadue incunabuli, di cui uno rarissimo, forse unico, molte cinquecentine, centinaia di manoscritti, un atlante del cinquecento illustrato a mano e un curioso libro su foglia di palma, in lingua tamil.
Non ci entrava quasi mai nessuno, perché il vecchio bibliotecario non amava i seccatori. Come molti dei suoi colleghi, considerava la biblioteca un suo luogo privato e cacciava con grandi urlacci i ragazzini del ginnasio che a volte si affacciavano là dentro e chiedevano di poter dare un'occhiata alle riviste. Era un ometto piccolo e grigio di capelli, sempre vestito di nero, con i polsini e il colletto di celluloide bianca; un tipo triste e misantropo, che viveva solo, con una vecchia serva, senza parenti né amici. Si chiamava Chellini Sforzi, due cognomi, come quasi tutti i bibliotecari, i quali in genere son persone modestissime, ma par che non badino all’economia, in fatto di nomi.
Simonetta fece venire un intellettuale da Roma, per una riunione a cui invitò una trentina di persone [...]. Spiegò quale sia l’ufficio di una biblioteca in un paese civile e moderno. La biblioteca italiana di solito si limita alla conservazione del glorioso nostro patrimonio bibliografico e anche nei registri del comune il bibliotecario vien definito “conservatore della biblioteca.” Un patrimonio ricchissimo, senza dubbio, ma sterile, ove non si proponga la diffusione della lettura e del sapere. Una biblioteca veramente moderna deve proporsi di andare incontro al lettore, invitarlo alla lettura, presentandogli il libro aperto. [...]
Prese subito la parola Simonetta [...]. Ripeté che una biblioteca moderna deve proporsi la diffusione del libro, e che quindi noi dovevamo, lí in biblioteca, prendere tutta una serie di iniziative in questo senso: letture, conferenze, dibattiti, diffusione del libro popolare. Potevamo giovarci delle numerose iniziative editoriali già esistenti, delle collane popolari, per esempio. [...]
Intanto bisognava che da quella prima riunione uscisse un comitato provvisorio, per preparare il programma di attività [...]. Si sarebbero riuniti fra quindici giorni, sempre in biblioteca.
Il vecchio Chellini Sforzi, seduto in un angolo, li stava a sentire con la faccia scura, visibilmente assillato dal pensiero che tutte quelle novità dovevano proprio accadere là dentro. Eppure doveva star zitto, perché c’era la sua pratica per la pensione già in corso, e sperava che il comune lo congedasse con l'abbuoni di cinque anni di servizio. [...]
Alla fine dell'anno Simonetta se ne andò. [...]
Per il lavoro culturale fecero venire Minuti, un elemento molto attivo, che si era messo in luce con la diffusione della stampa, a Campagnatico. [...]
Naturalmente andò da Marcello. [...] “Bene, bene, bravo professore, lo so che lei si è dato da fare. Bravo, bravo. Ora andremo avanti, vedrà, c’è da prendere tutta una serie di iniziative. Che ne pensa della biblioteca? Mi pare un po’ ferma, un po’... come dire? un po’ invecchiata. Non le pare? Ora che il vecchio Chellini Sforzi è in pensione potremmo rimodernarla, farla diventare un centro vivo di dibattito, di discussione, di diffusione della cultura. No? Insomma la biblioteca potrebbe diventare un po’, come dire? la nostra casa di cultura. Vedesse a Milano cosa fanno alla casa della cultura! Vedesse a Livorno [...]”.
E cosí, grazie a Minuti e al contributo del comune, trasformammo la nostra biblioteca. Comprarono la scaffalatura nuova, metallica, intensiva, a palchetti mobili. Riempirono di scaffali un intero stanzone, tante file bifronti di scaffali metallici disposti a pettine, a due piani, con un praticabile di lamiera e la ringhierina cromata: illuminazione al neon, un tubo per corsello. Sotto i libri, sopra i periodici. Per la sala di lettura comprarono mobili nuovi, un bel portariviste di legno e vetro, la vetrinetta per l’ingresso, dove esporre i recenti acquisti, gli avvisi per i soci e le locandine degli spettacoli. [...]
La settimana dopo venne uno da Roma [...], si congratulò per il nuovo assetto della biblioteca, tirò fuori dalla borsa alcuni opuscoli e disse che dovevamo organizzare tutta una serie di manifestazioni per la cultura giovanile [...].»

(Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale, 3ª ed. accresciuta, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 65, 68-70, 87-89, 91. La prima edizione uscì sempre da Feltrinelli nel 1957. La fondazione della Biblioteca comunale di Grosseto era stata dovuto al canonico Giovanni Chelli; era poi stata diretta per circa un ventennio, dal 1921 in poi, dal sacerdote Antonio Cappelli, e quindi per un breve periodo da Maria Emilia Broli. Dopo i danni della guerra, Bianciardi la riordinò dal principio del 1949 e la diresse fino all'agosto 1954).

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