Papini (1913c)

Fonte:
Giovanni Papini, Un uomo finito, Firenze, Libreria della Voce, 1913.

«Caro Giuliano: noi siamo oggi due uomini e non più due ragazzi. Abbiamo moglie e figlioli; abbiamo parecchi doveri; abbiamo, in un certo senso, cura d’anime. Eppure io credo che se qualcosa di meno falso è uscito mai dall’anime nostre; se qualcosa di noi resterà, dopo la morte, nelle anime altrui, lo dovemmo e lo dovremo a quelle fredde feste d’inverno, a quelle fughe in due verso la terra ignuda e l’altezza pura. [...]
Noi siamo accosto e lontani, amico mio, ed io non so nulla di te e tu non sai più niente di me.
Ma se ti rivedo seduto dinanzi ai banconi immensi e scarabocchiati della biblioteca, nelle mattinate e nei pomeriggi del lavoro appassionato, chino sui libri aperti, sulla carta apparecchiata, e risento la tua voce che mi chiedeva o mi rispondeva qualcosa (e si guardava intorno colla coda dell’occhio perchè l’uomo severo che gira su e giù non si avvedesse del nostro cicaleccio illegale) allora capisco ogni cosa e tu ridiventi mio, tutto mio, come in quei giorni lontani della nostra impaziente vigilia.»

(Giovanni PapiniUn uomo finito, p. 66-68; Giuliano va identificato con Giuseppe Prezzolini, che era solito firmare i suoi articoli pubblicati su «Leonardo» con lo pseudonimo di Giuliano il Sofista; la descrizione della biblioteca è verosimilmente da riferirisi alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze)

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