Bargellini (1956)

Fonte:
Piero Bargellini, La mia biblioteca, «Almanacco dei bibliotecari italiani», 1956, p. 61-65.

«Dico subito che la mia biblioteca è la Marucelliana, di Firenze. Anche oggi, dopo più di quarant'anni, non posso entrare in quel palazzetto settecentesco, posto nell'antica Via Larga (ora Cavour), senza provare un'acutissima commozione.
Ho detto, senza esagerare, acutissima commozione, e spero che mi si crederà, dopo aver detto quello che la Biblioteca Marucelliana è stata per me.
Non avevo che dodici anni, e venivo, ogni giorno, dal Mugello in città, per frequentare una di quelle scuole, che oggi si chiamerebbero d'avviamento al lavoro, e che allora si chiamavano tecniche.
A Firenze, dove pure ero nato, non avevo casa, non avevo parenti, non avevo neppure conoscenti. Partivo dal Mugello all'alba e vi ritornavo a notte fatta. Come e dove avrei potuto passare le ore fuori di scuola, studiare e fare le lezioni?
Mio padre conosceva un bibliotecario della Marucelliana, il signor [Giuseppe] Mariotti. Ne parlò a lui. Il signor Mariotti ne parlò al direttore [Angelo] Bruschi, il quale, per quanto severissimo, prudentissimo, fece per me uno strappo al regolamento e mi ammise, dodicenne, in sala di lettura.
Sapevo dunque di essere un irregolare, un sopportato. Perciò entravo quasi furtivamente e salivo con rispetto le scale sorvegliate da una Minerva di marmo giallastro. Nelle giornate umide, sugli scalini veniva steso un velo di segatura, e ho ancora nelle narici l'odore di legno bagnato, al quale s'univa quello della pergamena arida.
Spingevo cautamente la porta verde, imbottita e orlata di nero lucido incerato, con due occhi ovali di vetro, dai quali spiavo, in punta di piedi, prima d'entrare, se c'era in vista il direttore Bruschi.
Entravo, cercando di non fare rumore, e prima di sedermi, sostavo sulle griglie del calorifero ad aria. Saliva, da quelle griglie d'ottone consunto, un calduccino delizioso, che mi fasciava le gambe nude e gelate. Le scarpe, molto spesso bagnate dalla mattina, fumavano per l'umidità che evaporava. Sarei rimasto volentieri a lungo, ritto sulle griglie esalanti aria calda, ma temevo di dar troppo nell'occhio e di venir sorpreso in quella posizione dal direttore. Mi sedevo, spostando la sedia con estrema cautela, all'ultimo posto del lungo tavolino, col panno verde, costellato di macchie d'inchiostro.
Slegavo il pacco dei libri, badando che la fìbbia della cinghia non sbattesse sull'orlo di legno. A ogni scricchiolìo, vedevo la fronte del signor Mariotti corrugarsi. Dopo tutto, era lui il responsabile della mia condotta.
Studiavo e facevo i compiti nel più perfetto dei silenzi, sbirciando, di quando in quando, chi giungeva, facendo sbattere con noncuranza, beato lui! la porta imbottita, o chi si recava con disinvoltura, fortunato lui! allo sportello della distribuzione, per non parlare dei privilegiati, ai quali era permesso, nientedimeno! il prestito dei libri.
Dopo qualche mese, conoscevo ormai di vista tutti i frequentatori più assidui: il vecchietto tossicoso, che riempiva d'appunti i suoi taccuini ricoperti d'incerata; il giovane col fiocco nero svolazzante, certamente un poeta anarchico, che allungava le magre gambe sotto il tavolino e, con le mani in tasca, fissava lungamente il soffitto; il signore calvo, certamente un professore, al quale era consentito aprire i grandi scaffali a rete metallica, per tirar giù i grossi volumi rilegati di cartapecora; ma la figura che più mi distraeva era quella d'uno strano maniaco, che gesticolava, parlando con se stesso, e perdeva da ogni tasca fogli sgualciti e bisunti.
Ad un certo momento, di dietro la vetrina, usciva un'ombra che scivolava, senza rumore, rasente gli armadi. Il direttore Bruschi sembrava davvero un'ombra priva di corpo. Piccolo, curvo, con la testa inclinata sulla spalla destra, incedeva a brevissimi passi: non camminava, ma pedinava con estrema levità. Pallidissimo, quasi esangue, vestiva sempre di nero, e su quel colore, il volto sembrava anche più bianco. Gli occhiali d'oro, sul viso emaciato, erano l'unica nota salda di vita.
Dalle maniche lunghe, uscivano i bianchi polsini, ai quali parevano appuntate le mani diafane.
Al suo apparire, per me era come quando una nuvola passa sul sole. Ne avvertivo la presenza, con un senso di freddo e di timore.
L'ombra si avvicinava silenziosamente. Come un uccello, al giunger della notte, mette il capo sotto l'ala, nel più folto dell'albero, anch'io abbassavo la testa tra i libri; forse chiudevo anche gli occhi, quando capivo, non so per quale sensazione, che il direttore era fermo alle mie spalle. Certo mi osservava, scrutava i miei libri; scorreva le mie lezioni. Tremavo di quel suo interessamento, che temevo ispirato a severità (seppi poi che invece era ispirato a compassione).
Poi l'ombra passava ed io, con un sospiro di sollievo, tornavo a respirare e a vedere; anche a sbirciare curiosamente.
E un giorno mi feci ardito, d'avvicinarmi allo sportello della distribuzione. Nel testo di stilistica (allora si studiava, non l'estetica, ma la stilistica), avevo trovato, tra gli esempi di prosa autobiografica, il titolo del Fuoco, di Gabriele d'Annunzio.
Forse perchè da mio padre avevo udito citare quel poeta, insieme con il Carducci, mi venne l'idea di chiedere il libro in lettura.
Mi accostai, sulla punta dei piedi, allo sportello di vetro. Presi una scheda (rosa) e la riempii. Attesi, con trepidazione, il momento di porgerla al distributore. Questi (ma non era il signor Mariotti) la prese, la lesse e mi guardò. La rilesse; mi riguardò. Scosse la testa.
– Quanti anni hai? – mi chiese sarcasticamente.
– Dodici – risposi con poca voce.
Il distributore si tenne la scheda dinanzi agli occhi, come si osserva un biglietto di banca, per vederne la filigrana; riabbassò lo sguardo su di me, poi disse con meraviglia mista quasi a dolore:
– E a dodici anni chiedi già libri di questo genere?
Strappò la scheda (rosa) ed aggiunse:
– Ringrazia Dio, che non lo dico al direttore!
Non so come tornai al mio posto, tanto le gambe mi si erano perse. Sentivo su di me gli sguardi del vecchio raccoglitore di schede, del giovane poeta, del professore, del maniaco. La sala mi era come piombata sulla testa, con i suoi pesanti scaffali di noce, che turbinavano pazzamente.
E sorte che l'ombra del direttore Bruschi non uscì fuori, severa e agghiacciante, da tutto quel rovinìo!»

(Piero Bargellini, La mia biblioteca, «Almanacco dei bibliotecari italiani», 1956, p. 61-65. Mariotti era uno degli uscieri della Marucelliana).

Biblioteca Marucelliana - bancone della distribuzione (1899 circa)

(Il bancone della distribuzione della Biblioteca Marucelliana, installato nel 1899)

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