Pirandello (1889)

Fonte:
Giuseppe Lo Iacono - Cristina Angela Iacono - Giovanna Iacono, La Lucchesiana di Girgenti, Caltanissetta: Lussografica, 2018.

«Mio amato Maestro,
la recente sventura e i tristi casi da quella diramati alla mia povera casa, mi ridussero, sin dai primi giorni del mio ritorno in Sicilia, in così malo stato, da rendermi inetto a resistere al violento attacco d'una malattia, che mi ha condotto quasi al limitare della morte [...]. Attribuisca a ciò la causa del mio lungo silenzio, e abbia una parola di compatimento pel suo povero Pirandello, il quale per altro non ha mancato di ricordarla sempre con affetto e devozione, serbandosi fedele alla promessa fattale di recarsi – non a pena gli è stato possi[bi]le – in Girgenti, a cercare se in quella Biblioteca Lucchesiana (dal nome del fondatore, monsignore Andrea Lucchesi-Palli – seconda metà del Sec. XVIII.) fossero degli antichi manoscritti.
Molti difatti ne trovai, e alcuni, stimo io, di qualche valore. Eccomi ora a dargliene notizia, quanto più estesa mi sarà possibile. Son circa cento e quasi tutti tenuti male, anzi alcuni ridotti a tale da non poterne far più conto e copia. Bibliotecario è un certo prete Schifano, presso che illetterato, il quale nella lite pendente tra la sede vescovile e il municipio sulla proprietà di quella Biblioteca, non rende da anni e anni ragione della sua incuria né all'una né all'altro. E tutto va in perdizione. Non saprei adeguatamente manifestarle la strana e dolorosa impressione ricevuta al primo entrare in quella sede, cui non dirò mai dello studio e del raccoglimento, e bisogna ch'Ella lavori un po' d'immaginazione. Vidi nella penombra fresca che teneva l'ampio stanzone rettangolare, presso un tavolo polveroso, cinque preti della vicina Cattedrale e tre carabinieri dell'attigua caserma, in maniche di camicia, tutti intenti a divorare un'insalata di cocomeri e pomidoro. Restai ammirato. I commensali stupiti levarono gli occhi dal piatto e me li confìssero a dosso. Evidentemente io ero per loro una bestia rara e insieme molesta. Mi appressai rispettosamente (perché no?) e domandai del bibliotecario. «Sono io» mi rispose uno degli otto, con voce afflitta dal boccone non bene inghiottito. – Io vengo a chiederle il permesso di vedere se in questa... non dissi taverna, ma biblioteca, sono dei manoscritti... – Là giù, là giù, in quello scaffale in fondo – m'interruppe la stessa voce impolpata d'un nuovo boccone – e gli otto bibliotecari sì rimisero a mangiare. – O Marius De Maria, sospirai io, pittore bizzarro e fratel mio d'elezione!
Lo scaffale accennatomi era aperto: chi ne avesse avuto voglia avrebbe potuto servirsi a comodo; ma quei libri non conosco[no] altri visitatori che i topi e gli scarafaggi. Lo scaffale è a tre ordini: Sul primo stanno 34 volumi di manoscritti arabi, fonte copiosa di studi al compianto senatore Michele Amari, il quale per essi frequentò tre mesi interi la biblioteca. Nel secondo ordine stanno:
I°. Due volumi di Relazioni d'Ambascerie del XVI secolo [...].
XXI. Una Geografia.
Nel terzo ordine poi sono VI volumi di antichissimi Diplomi manoscritti, tra i quali molti importantissimi con data del 1098.
Scorsi quasi tutti in una settimana e mezza questi manoscritti; ma attendervi bene sopra non potei sia perché lo stato di mia salute me lo vietava, sia perché in un luogo come quello tutto è possibile, tranne che studiare. Chiesi al Municipio, chiesi alla sede vescovile il permesso di portarmi in casa qualche volume e non ne ebbi che risposte incerte piene di strane esitazioni. Poi non potei più nulla, e tutto restò lì.»

(Luigi Pirandello, lettera a Ernesto Monaci, Palermo idi di settem. 1889, in: La Lucchesiana di Girgenti, p. 219-225).

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