Boine (1911)

Fonte:
Giovanni Boine, Un ostacolo alle biblioteche, «La voce», 3, n. 5 (2 feb. 1911), p. 499.

«L'articolo 192 della Legge comunale e provinciale (Testo unico 21 maggio 1908) enumera in venti paragrafi le spese obbligatorie pei comuni: ve n'è uno per l'istruzione elementare. Altre disposizioni particolari rendono anche obbligatorio, per i comuni dove funzioni, un certo contributo fisso per l'istruzione secondaria. Ma di biblioteche niente: dolorosa constatazione per me che di leggi non so.
Ecco qui il mio caso. In un comune di provincia (capoluogo di provincia veramente, ma piccolo comune tuttavia) e non importa dir quale [Porto Maurizio, poi Imperia], un gruppo di giovani, saputo di un notevole fondo di libri di proprietà comunale, chiuso da parecchi anni con sette chiavi a delizia delle tignole e dei ragni, si adoperò per trarlo alla luce ed ordinarlo. Libri di fraterie soppresse, in gran parte, ma spesso libri rari e libri utili, la base di una biblioteca infine. Fecero i cataloghi, regalarono essi stessi delle opere, il Consiglio comunale sollecitato diede un locale ed incoraggiò. – Ora un bel giorno si trattò finalmente di aprire questa biblioteca al pubblico e di ottenere per essa dal comune una dotazione fissa ed annuale affinchè potesse vivere e vivere regolarmente.
E fu così ch'io conobbi l'articolo 192 della Legge sopraccitata: poichè le spese per la biblioteca non sono spese obbligatorie, un Consiglio non può per esse istituire un canone fisso e perenne [...]. – Nel caso pratico, nel caso delle biblioteche civiche delle grandi città, la perennità e la fissità della sovvenzione (condizione prima di esistenza e di regolare funzionamento) sono assicurate dalla consuetudine. Nel caso mio, che non è quello di una grande città a grandi bilanci (anzi è purtroppo il caso di un comune a bilancio malfermo), tutto ciò significa press'a poco l'arenamento. [...]
Che se [...] la paura della giunta provinciale [...] o il demone del risparmio trionfassero; poiché una biblioteca non è obbligatoria anche se il comune è capoluogo di provincia; ecco che questi poveri giovani ingenui ed entusiasti avrebbero con gran scherno e gaudio dei bottegai concittadini e più dei lor coetanei amici di passeggiate in bicicletta e giuocatori di bigliardo che di biblioteche si strafottono, questi poveri giovani avrebbero in conclusione buttato un anno di fatiche.
Ora, sarà perché non m'intendo di legge, ma [...] non son riuscito a capire ancora perchè mai le biblioteche non siano come le scuole e come le pubbliche latrine obbligatorie. La gente colta si sta, solitamente, beata nelle città grandi e ci legge libri in abbondanza senza fatiche, per liberalità del governo, dei privati o dei municipi. Obbligatorie o no, delle biblioteche nelle città grandi si usa: se ne dice male e se ne dice bene, ma se ne usa. Ma nelle città piccole, dove le amministrazioni o dormono o sono attente agli stomaci e ai calli più che ai cervelli dei cittadini e dove la coltura perchè nasca e cresca bisogna aiutarla ed imporla, qui [...] l'obbligo legale ci dovrebb'essere.
Perchè [...] la biblioteca ha un suo così naturale e così necessario officio di completamento della loro scuola che gli istituti secondari (non so per la saggezza di quale ministro) appunto per esserne ciascuno forniti hanno tutti quanti per legge una lor dotazione annuale e regolare. Che se la legge fosse adempiuta [...] ciascuno dei nostri licei e dei nostri istituti avrebbe una sua bibliotechina ordinata [...].
Ma i barbassori secondari invece, m'è parso nella mia breve esperienza liceale, devono essere delle biblioteche scolastiche o nemici o gelosi; che fa nei risultati lo stesso. Generalmente gli studenti della libreria del loro istituto non san nulla: è chiusa con sette chiavi o è nell'ufficio del preside come nell'antro dell'orco; non ne san nulla e quindi non ne chiedono. Io per mio conto mi ricordo d'averla ai miei tempi, ancora in ginnasio, scoperta per caso, appunto come si scopre una cosa nascosta. Ci avevan messo dentro, per mancanza di locali, le signorine, ne avevan fatto il gineceo. Ed io, ragazzetto spaurito e timido che di fondo ad un corridoio tratto tratto ne vedevo di tra la porta socchiusa sgonnellar fuori e sciamare ridendo le ragazze che pigliavan tutte dieci in latino ed in greco, per un certo pudibondo rispetto, non azzardavo d'accostarmi. Ma avvenne un giorno... che m'accostai. Dev'esser stata la curiosità di veder più da presso un certo uccellaccio impagliato, rizzato su d'una scansia con l'ali tese e con gli occhi vetrigni e fissi su me, che mi fece entrare. Libri tutt'intorno fin su in alto, file di libri dietro i vetri chiusi, ed un gran silenzio. Sbigottimento. Poi curioso, gioioso cercare con gli occhi le diciture dell'opere fra i riflessi dei vetri e gran voglia di leggere, di leggere, di passar lì tutto il mio tempo. E più volte dopo scuola, quando non v'era nessuno, ci ritornai e mi stavo dinnanzi alle scansie un poco come dinnanzi all'altare tra curioso e rispettoso, tra avido e pudico; finchè una volta il preside, buon vecchio garibaldino, mi ci sorprese e capì. Quanta roba ci lessi e sfogliai da allora in quella biblioteca! I libri me li portavo anche in scuola e li sbirciavo di sotto il banco, tutto in essi, mentre dalla cattedra il professore insegnava gli aoristi e la storia letteraria per generi; e poi a casa e poi ancora in biblioteca. Avevo io stesso la chiave delle scansie (ragione per me di compiacimento e di fierezza) e come volevo le aprivo e le chiudevo, sbizzarrendomi a scorrerle tutte quante da cima a fondo, rimanendo dell'ore intere sulla scala a pioli per aria, con un libro per mano, finchè si facesse scuro e nel silenzio di quella gran sala tombale a terreno, con quell'uccellaccio minaccioso allato, un poco non mi pigliasse la paura.
Fu lì dentro ch'io m'avvezzai a studiare da me [...]. 
Ora mi chiedo perchè io mi fossi solo in questa biblioteca, perchè mai i professori non ci mandassero anche gli altri scolari, e perchè s'io non li aprivo tutti, gli scaffali si rimanessero chiusi ed i libri spesso non tagliati. Io ero per conto mio ben contento di non aver compagni rumorosi intorno e me ne stetti con essi ben zitto come chi ha trovata la pignatta dell'oro, ma la via ch'io come a caso seguivo nel formarmi una coltura era ben la via più naturale ed anche gli altri l'avrebbero dovuta seguire. Niente. Me ne sono più tardi informato: ci son forse tre o quattro licei in tutta Italia dove la biblioteca è una cosa attiva. Negli altri, [...] le biblioteche o sono embrionali o chiuse o non esistono. [...]
Però io vado inutilmente facendo della metafisica e l'articolo 192 starà lì immutato... e la nostra fatica di un anno rimarrà presso a poco e per chissà quanto ancora, sterile.»

(Giovanni Boine, Un ostacolo alle biblioteche, «La voce», 3, n. 5 (2 feb. 1911), p. 499).

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