Venturi, Adolfo (1927a)

Fonte:
Adolfo Venturi, Memorie autobiografiche, Milano, Hoepli, 1927.

«Tornato a Modena, mi buttai a capofitto sui libri; ma da noi la critica artistica, ridotta a far cavatine dal soggetto delle opere d’arte, era ben povera. Non guardavano ad esse, ma solo all’intorno, Rovani, Berchet, Panzacchi, De Zerbi; e conveniva rifugiarsi nella critica letteraria per respirar meglio.
Intanto permetti che ti presenti la condizione della repubblica letteraria modenese in quei giorni beati della mia giovinezza. Il luminare dell’archeologia, Don Celestino Cavedoni, si era spento. Ricordo ancora quel prete, alquanto sudicio, con una gran zazzera. Sembrava uno spauracchio, ma nonostante la bruttezza e l’incuria selvatica della persona, tutti s’inchinavano all’uomo venerando quando passava a passi uguali, lenti, cadenzati, per la Biblioteca palatina, e, più di tutti, s’inchinava profondamente un vecchio satiro, certo conte Mario [ma Luigi Francesco] Valdrighi, autore di una Musurgiana e di altri studi su oggetti musicali. Il conte bibliotecario, tipo di moschettiere, raccontava aneddoti senza fine, di solito scollacciati, e chiudeva il racconto con grasse risate, alle quali faceva eco un distributore di libri, certo [Isnardo] Astolfi, Sancio Pansa del donchisciottesco conte, e proprietario di un gran naso, che il Conte aveva definito estense, ben degno invero di Rinaldo d’Este o di altri principi della serenissima casa. Chiusa la biblioteca nel pomeriggio, l’illustrissimo Conte passava al gran caffè, che stava lungo la via Emilia, e dove convenivano professori di Università, un impiegato della Banca d’Italia, certo Evaristo Evangelisti, e i suoi amici del giornale modenese, Il Panaro
(Adolfo Venturi, Memorie autobiografiche, p. 12-13)

«Divoravo gli scritti del [Giuseppe] Campori, guardavo uno ad uno tutti i manoscritti della R. Biblioteca Estense, m’impadronivo dei materiali storico-artistici portati a Modena con la biblioteca Poletti, ove vivevo intere giornate.»
(ivi, p. 17)

«Per lo studio della miniatura fui molte volte a Bologna, a confrontar i corali del Museo Civico bolognese con quelli della Biblioteca Estense, nati insieme nella felsinea città. Mi proponevo di definire, nella miniatura del Dugento a Bologna, i due periodi di Oderisio da Gubbio e di Franco Bolognese; raccoglievo elementi per una possibile distinzione, e seguivo anche il prolifico miniatore Niccolò da Bologna, che ha illuminato codici trecenteschi sparsi per ogni dove. Mentre li studiavo, avvenne lo scandalo di certo frate, che ricambiava favori donneschi con dono di miniature di Niccolò, tagliuzzate da corali e antifonari. Il processo per un pezzo rallegrò i Bolognesi, pronti alle grasse risate e alle grassocce novelle; furono recuperate alcune miniature, altre andaron disperse, e si videro frammentarie nelle aste pubbliche, come si vedono a Torino nel Museo Civico e nelle altre collezioni pubbliche e private.
Raccolsi tutta la mia attenzione sui miniatori ferraresi; a Ferrara, nel Duomo, rividi tutti i corali illustrati dal dotto canonico Antonelli, ammirando in ispecie quelli eseguiti al tempo del vescovo Roverella, e determinando la personalità di Guglielmo Giraldi detto il Magro, nelle miniature ispirate all’arte rude e forte di Cosmè Tura, quali si veggono nella Biblioteca Estense a Modena, nella Vaticana di Roma, nella Nazionale di Madrid
(ivi, p. 60-61)

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