Provenzal (1925)

Fonte:
Dino Provenzal, Una grande libreria circolante, «Leonardo», 1 (1925), n. 1, p. 5-7.

«Il mio ottimo Padre, un po' nella speranza d'arrotondare il magro stipendio e molto per appagare il suo gran desiderio di palpar libri, sfogliarli, averli vicini a sè, fondò, più di cinquanta anni fa, una libreria circolante che i vecchi rammentano ancora a Livorno. Ma dovette chiuderla presto perchè gli affari andavano a rotta di collo; nella mia infanzia è un ricordo quella libreria morta prima ch'io nascessi e di cui restavano tracce nelle migliaia di volumi accumulati in ogni stanza e in ogni mobile di casa, in armadi, cassapanche e credenze, in salotto, in cucina e in soffitta.
[...]
Voi tutti amate i libri perchè sono utili? Va benissimo: ed io, appunto perchè siano utili, li uso, non li serbo [...]: quando di un'opera ho spremuto il sugo, ho copiato ciò che mi occorre, ho scritto -- se proprio non posso farne a meno -- ciò che ne penso, per quale ragione debbo tenerlo [!] lì mentre forse altri la desiderano o forse ne hanno bisogno?
Via, via! La sua sorte è segnata. O lo regalo alla Biblioteca Labronica per devozione di figlio (lì, come ogni uomo di famiglia desidera la trattoria, feci le mie prime letture di adolescente provandoci più gusto che nella ricca biblioteca paterna), o lo presto a qualche persona di quelle che hanno l'uso di non restituire i libri ricevuti, oppure lo brucio.
Ho detto proprio così: «lo brucio»: e prego i bibliomani di non scandalizzarsi. Nessuno più di me è persuaso che anche in libri mediocri si può imparar qualcosa e che il libro di cui non so che farmi io può servire benissimo ad altri, ma quando ho tra le mani un mucchio di scipitaggini pornografiche che è vergogna regalare ad un amico e delitto far catalogare in una pubblica biblioteca io strappo le pagine a una a una e le appallottolo per ficcarle poi nella stufa. [...]
Alla Labronica vanno specialmente gli opuscoli, i libri rari, gli esemplari con dedica, quelli che un giorno sarà difficile trovare allo studioso ed è bene perciò siano collocati stabilmente in un luogo sicuro, in una specie di banca. Il paragone m'è stato suggerito dall'avere osservato che se uno non paga un debito ad un amico è appena un uomo scorretto, se non paga ad una banca è un ladro: così, chi non restituisce un libro avuto in prestito ad un privato è un uomo medio normale, mentre colui che non fa il proprio dovere verso la pubblica biblioteca vede davanti a sè gendarmi, tribunale, carcere e, nella migliore ipotesi, il nome e cognome infamato nel Bollettino della Istruzione pubblica.
Ma i più dei libri sono quelli che presto agli amici non dicendo loro «teneteveli», ma affidandomi al destino che ne sa più di noi. Qualcuno ritorna, ogni tanto, e quasi sempre nel momento meno opportuno [...].
Poi il libro è restituito o, assai più facilmente, è prestato col consenso (o senza) dell'amico prestatore, e così gira di mano in mano finchè lo riceve il barroccino del rivenditore d'onde passa in altre mani meno aristocratiche. Naturalmente anche questa seconda esistenza ha una fine, quella che per gli uomini è più dolorosa e per i libri più bella: finisce allo spedale o in galera: ossia reca un conforto alle ore nere della cella, alle ore bianche della corsia, interminabili le une e le altre: e agli uomini che per colpa o sventura hanno perduto la libertà non racconta la vita vera, quella che è al di là del cancello e ch'essi ricordano con tristezza, ma una vita come la rappresentano gli scrittori [...]».

(Dino ProvenzalUna grande libreria circolante, p. 5-7. L'autore ripubblicò questo articolo nel suo volume Il libro del diavolo, Milano, La Cardinal Ferrari, 1928).

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