Rossi (1933-1943)

Fonte:
Ernesto Rossi, Elogio della galera: lettere 1930-1943, prefazione di Alessandro Galante Garrone, introduzione e cura di Gaetano Pecora, Roma, Il mondo 3, 1997.

«Sono stato cinque giorni senza niente da leggere. Ore eterne. [...]
Sabato ho potuto avere dal cappellano due libri: La storia del Regno di Napoli del Colletta e I colloqui con Mussolini del Ludwig.
La storia del Colletta era un pezzo che desideravo conoscerla e la leggo molto volentieri. È scritta bene e segue un indirizzo spirituale che corrisponde perfettamente al mio. I Colloqui del Ludwig sono interessanti press'a poco per le stesse ragioni per le quali ti dissi di leggere il libro dello Sherril. Mette conto di farlo conoscere a tutte le persone che hanno ancora un po' di senso critico.
Il cappellano ha per suo conto una discreta biblioteca, di cui ho visto il catalogo; ci son diverse "Storie universali" in parecchi volumi. Spero di poterne avere qualcuna da leggere, almeno fintanto che non mi siano arrivati i miei libri da Piacenza.»
(lettera alla madre dal carcere di Regina Coeli – come le successive –, 20 novembre 1933, p. 229- 230. Rossi vi era stato trasferito da Piacenza alcuni giorni prima).

«Quel che specialmente mi abbatte è lo stare senza far nulla. Ho avuto da leggere ben poco e di scarso interesse.
Il direttore mi ha consentito di scegliere qualche libro in una biblioteca, in cui son diverse opere storiche buone. Ma ancora non le ho avute. [...]
Ho letto i primi cinque libri della Storia del Regno di Napoli del Colletta, che m'imprestò il cappellano. Non son riuscito ad avere gli altri cinque, che completano l'opera. È una storia terribilmente triste, come son tutte le storie scritte da persone intelligenti, che hanno avuto una larga esperienza della vita. [...]
Non avendo altro, ho letto anche un grosso libro in cui sono stati raccolti tutti gli scritti e i discorsi di D'Annunzio aviatore durante la guerra. Ci sono delle pagine stupende. La commemorazione per la morte del compagno Fra Ginepro è veramente commovente. E dalla lettura di tutto il libro risulterebbe chiara l'impressione dell'alto valore che ha avuto l'attività guerriera di D'Annunzio. Ma poi, quando si legge che, scrivendo di se stesso, dice d'essere "un eroe che non può esser diminuito in nessun modo e che è predestinato a sempre più grandeggiare nel più remoto evo", e quando si legge nel libro del Ludwig che gli ha confessato, come artista, che a Fiume andò "solamente per agire", per amore della bella gesta, ci si domanda: tutto quel che ha fatto, anche senza guardare agli anni dopo l'impresa di Fiume, per i quali la nostra vista può essere offuscata dalla passione di parte, che vale? Dal punto di vista umano cosa ha affermato con la sua vita e con i suoi scritti? E si resta in dubbio, malgrado il riconoscimento dell'indiscutibile grandezza della sua arte.
In questo momento posso darvi una buona notizia. Il sottocapo m'ha portato sei libri che avevo scelti nel catalogo del direttore. Mi sembra di rinascere. Finalmente per parecchi giorni non sarò più solo.»
(lettera alla madre e alla moglie Ada, 1° dicembre 1933, p. 232-234).

«Leggo troppi libri stupidi e ne sono disgustato. Questa settimana: Eva ultima, di Bontempelli (che scemenza!), Cleopatra, d'un tedesco (nelle "Scie" di Mondadori: idem come sopra), e Dante vivo di Papini, che m'è piaciuto pochino, pochino.»
(lettera alla madre, 25 giugno 1934, p. 253).

«Riccardo [Bauer] mi parlava appunto giorni fa d'un libro della biblioteca "speciale" qua del carcere: La vita dello spirito [ma Il regno dello spirito] del Caird (edizioni Vallecchi), per dimostrarmi il valore completamente diverso del pensiero protestante antidogmatico, profondamente religioso, ma d'una religiosità in cui il concetto del divino tende a divenire immanente a tutti gli aspetti della vita, in confronto al pensiero cattolico, e specialmente al pensiero cattolico italiano.»
(lettera alla madre, 3 aprile 1936, p. 330).

«Il libro su Bismarck, di cui mi parli, fu uno dei primi che lessi della biblioteca del carcere, quando venni qua da Piacenza, e mi par d'avertene allora scritto a lungo.
Fra le biografie del Ludwig mi parve la migliore, non per quel che dice il Ludwig, ma per gli scritti che riporta del Bismarck, una delle più perfette realizzazioni che si sian conosciute nella storia moderna di quelle idee che più mi repugnano: superomismo, volontà di potenza, ragion di Stato.»
(lettera alla madre, 17 settembre 1937, p. 389).

«Ho anche letto una raccolta di novelle del Maupassant: Toine. L'ho avuto per combinazione. Mancando le prime pagine, nel catalogo del cappellano non c'era il nome dell'autore, ed io l'avevo richiesto, credendo fosse un saggio storico di Taine... Io sono un grande ammiratore del Maupassant: in questa raccolta c'è una novella: Les moustaches, molto frizzante, che, se tu la leggessi, credo varrebbe a farmi perdonare i baffi, quando me li farò crescere.»
(lettera alla moglie Ada, 12 febbraio 1939, p. 467).

«Sull'esistenza di Dio, ricordo, ebbi anche una curiosa discussione, se così si può chiamare, col cappellano d'allora, quando arrivai qua a Roma, subito dopo l'arresto. Non avevo niente da leggere e le giornate nell'ozio e nell'immobilità non passavan mai. Mi veniva voglia di batter la testa nel muro, tanto per far qualcosa. I due libri alla settimana della biblioteca del carcere, senza possibilità di scelta, servivano a poco meno di niente. Per disperazione chiesi il cappellano, pensando che avrei potuto ottenere da lui almeno i Vangeli.
– Vuoi il Vangelo, – mi domandò quando venne: uno spilungone giovane; – allora credi in Dio?
– No, no – precisai – ma il Vangelo è un libro che leggo sempre volentieri. [...]
E così ebbi un Vangelo piccino, piccino, senza neppure gli Atti degli Apostoli, ma sempre buono per tenermi compagnia.»
(lettera alla moglie Ada, 4 giugno 1939, p. 486-487).

«Ci hanno ritirato tutti i libri del carcere, perché devon fare un riscontro generale. Per noi non è gran male, ma per chi non ha libri propri, star senza per più d'un mese, specie se è isolato, è una sofferenza grave. Una delle cose, per mio conto, di maggiore importanza in un buon ordinamento carcerario, è proprio il servizio del prestito dei libri. È l'unica àncora di salvezza per impedire il completo abbrutimento di tanti poveri diavoli costretti all'ozio.»
(lettera alla moglie Ada, 16 luglio 1939, p. 495-496).

«A "Regina Coeli" siamo entrati verso le 21, e dopo le diverse formalità e il deposito della roba in magazzino, siamo stati condotti al quarto braccio, dove abbiamo passato sei anni. [...]
Questi primi giorni sono i più duri, perché ancora non abbiamo perso certe abitudini civili che avevamo riacquistate al confino, e perché nell'isolamento le ore non passan mai, se non si ha qualcosa da leggere. M'ero portato nella valigia due libri di studio – uno d'economia e uno di storia – ma, nonostante le mie insistenze, non sono ancora riuscito a farmeli consegnare. M'hanno portato il catalogo della biblioteca speciale del carcere: ma nei sei anni che sono stato qui li ho già letti tutti. Speravo ne avessero aggiunti dei nuovi, invece c'è solo qualche altro libro di religione. Ho, però, fatto un lungo elenco di quelli che rileggerò volentieri e spero oggi d'averne alcuni. Nei tre giorni passati ho avuto solo un paio di romanzetti Salani per signorine, idioti quanto mai, ma che pure ho centellinato più che ho potuto, per farli durare.» 
(lettera alla madre, 13 luglio 1943, p. 526. Dal novembre 1939 ai primi di luglio 1943 Rossi era stato al confino, a Ventotene).

Relazioni