D'Ancona (1882)

Fonte:
Il primo passo: note autobiografiche, raccolte per cura di Ferdinando Martini e Guido Biagi, Firenze, Sansoni, [1923].

«Avevo diciott'anni, e mi ero messo a leggere l'Introduzione allo studio della filosofia del Gioberti, che pareva mi aprisse dinanzi agli occhi della mente un mondo nuovo di idee e di fatti. [...]
Bazzicavo intanto in Magliabechiana, ove un giorno il Papi mi fece vedere un codice. Chi rammenta il Papi? Era un brav'uomo: e quel ch'è più, un bravo e zelante impiegato, come allora, – in quei tempi d'ignoranza, si dice – ce n'era fra gli addetti inferiori delle biblioteche assai più forse che in questi di universale dottrina e di concorsi. Non so veramente come dall'esser guardia palatina fosse passato in Magliabechiana, ma certo è che sapeva quello che c'era in biblioteca, specie in fatto di manoscritti, come il suo collega Ricci era un indice vivente rispetto a notizie biografiche. Il Papi mi aveva preso a benvolere, e direi quasi a proteggere, ed io ne ero contento; e ricordo ancora la scrollata di capo che fece un giorno quando un certo abate, uno dei pezzi grossi della biblioteca, mi negò la Calandra del Bibbiena, perchè credeva ch'io volessi, Dio ci guardi, la Bibbia! Ma il Papi, quando non c'era il tenebroso abate, o un suo accolito dal viso di cartapecora, con un naso adunco e due occhietti maligni da topo, il Papi aiutava i miei studj e le mie ricerche. Un giorno dunque dovendo riporre un codice, mi disse con quel suo vocione baritonale e quel suo fare fiorentinesco: Oh, la guardi questo! – e mi pose fra le mani un grosso manoscritto di scritture politiche del Campanella. Io che avevo cominciato ad apprezzare i nostri vecchi filosofi dalla lettura del Rinnovamento del Mamiani, lo aprii qua e là, lo voltai e rivoltai, e allettato dai titoli di quegli scritti, lo pregai di lasciarmelo perchè potessi studiarlo. Mi piaceva soprattutto il vedere che quegli scritti del Campanella non fossero di mera speculazione, ma di politica teorica insieme e pratica, e trattassero del modo di rilevare le sorti d'Italia nel secolo XVII.»

(Alessandro D'Ancona, Il mio primo delitto di stampa, in: Il primo passo, p. 3-13: 4-6. Il contributo era comparso già nella prima edizione, 1882, e fu poi raccolto da D'Ancona in Ricordi ed affetti, Milano, Fratelli Treves, 1902, p. 399-415).

«Intanto qualche saggio delle mie ricerche avevo stampato nel Genio, e mi aveva fruttato incoraggiamenti e conforti, e tra le altre buone cose l'invito dell'ottimo Giampietro Viesseux [i.e. Vieusseux] alle sue riunioni del sabato sera, ove mi era dato agio di avvicinare tanti studiosi italiani e stranieri. Vero è, per compenso, che nello stesso tempo Francesco Palermo, bibliotecario granducale, mi chiudeva l'adito alla Palatina, e il Bonaini mi licenziava dall'Archivio di Stato sebbene raccomandato a lui dal Vieusseux. Ma il 30 aprile '59 ritrovandolo in un cortile di Palazzo Vecchio, come se nulla fosse stato, mi venne incontro dicendomi: – Caro Sandrino, e come va che non capitate più in Archivio? c'è tante belle cose pei vostri studj! – Com'era mutata l'aria!».
(ivi, p. 12).

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