Romagnoli (1917)

Fonte:
Ettore Romagnoli, Minerva e lo scimmione, 2ª ed., Bologna, Zanichelli, 1917.

«I tedeschi chiamati in Italia non furono moltissimi: l’Italia non è la Turchia, non è la Grecia, non è nemmeno l’America; e il più elementare sentimento estetico rendeva insopportabile un professore che veniva a raccontarci i fasti di Roma, balbettando e deturpando la lingua di Dante. [...] A Roma, alla cattedra su cui aveva seduto Ruggero Bonghi, Giulio Beloch era stato chiamato dalla fiducia del governo italiano ad esporre la storia Romana. [...] Adolfo Berwin dirigeva, con la brutalità d'un caporale prussiano, la Biblioteca di Santa Cecilia. [...] Ma in ogni grande città d'Italia c'erano poi istituti scientifici tedeschi, formicolanti, come s'intende, di persone altrettanto scientifiche, stabili o di passaggio. Per rimanere a Roma, e lasciando stare il padre Ehrle, direttore della Biblioteca vaticana, il quale dunque operava su terreno neutro, c'erano i due grandi covi dell'Istituto storico prussiano e dell'Istituto archeologico germanico.
Del primo, non so gran cosa. Le vicende del secondo sono note anche al gran pubblico, perché se ne è parlato nei giornali. Sorse come istituto internazionale; ma con uno dei suoi abilissimi colpi di mano, la Germania se ne rese padrona assoluta. [...]
Nei primi tempi dell'alleanza fu sede ai dottissimi idillî degli scienziati tedeschi e italiani. Questi frequentavano la biblioteca e assistevano alle sedute: quelli scendevano per tutta Roma, e massime nel Foro, a scavare e far da padroni. Largivano anche, ai più fedeli aficionados italiani, diplomi di soci corrispondenti, ricercatissimi e gustatissimi.
Ma col tempo, il miele diventa fiele, il vino diventa aceto, l'amore diventa uggia. Un bel giorno, a dirigere gli scavi del Foro fu mandato Giacomo Boni, il quale con molto garbo chiuse le porte in faccia agli ex padroni. – «Ma noi rappresentiamo la scienza tedesca». – «E io rappresento il buon senso italiano». – Da quel giorno gli scavi cominciarono a dare i risultati che tutto il mondo conosce ed ammira.
Ma anche da quel giorno cominciarono i malumori. La cortesia teutonica si appannò d'un velo. I direttori sì, rimasero corretti verso gli ospiti italiani; ma lasciarono mano franca ad un bulldog, inserviente ma spadroneggiatore, il quale invigilava gli studiosi italiani come il gatto guarda il sorcio, e piombava su loro alla menoma infrazione ai centomila regolamenti della biblioteca. I diplomi divennero più rari: fioccarono invece restrizioni su restrizioni. Ad un bibliotecario gentile se ne sostituì da Berlino, per direttissima, uno cerbero. E ad ognuno dei menomi incidenti agrodolci a cui dette origine la politica un po' oscillante degli ultimi anni, partiva dall'Istituto la minaccia di chiudere la biblioteca agli studiosi, e il rimprovero di ingratitudine agli Italiani, perché, avendo quel po' po' di agevolezza di poter usufruire d'una tale biblioteca, non erano abbastanza pronti a curvar la schiena ad ogni beneplacito del divo kaiser e dei suoi rappresentanti di Roma.
[...] Ma il semplice concederci l'uso di una loro biblioteca, era tal servigio da poterlo compensare solamente il nostro più assoluto vassallaggio. E quando al vassallaggio ci cominciammo a ribellare, ancora assai prima che scoppiasse la guerra, le porte di quel paradiso archeologico furono infine inesorabilmente chiuse ai reprobi Italiani.»

(Ettore Romagnoli, Minerva e lo scimmione, p. 142-146).

Relazioni