Blum (2000b)

Fonte:
Rudolf Blum, La Firenze bibliotecaria e bibliofila degli anni 1934-1943 nei ricordi di un tedesco non ariano, a cura di Diego Maltese, «La Bibliofilia», CII (2000), n. 2, 3.

«Munito di una raccomandazione di [Enrico] Rostagno, mi presentai alla direttrice della Biblioteca Laurenziana, dottoressa Lodi, a lui succeduta; volevo esaminare al più presto possibile il catalogo della biblioteca della Badia e i codici che provenivano da essa. La signora Lodi accolse con favore il mio programma e assicurò il suo appoggio. Ella era, come già il nome indicava, ebrea; era ritenuta una direttrice severa e, come non pochi dei suoi correligionari, una fascista convinta. Io dubito di averle detto come stavano le cose, tuttavia sospetto che lei – anche per via del mio nome – mi ritenesse ebreo.
Così ora mi recavo piuttosto spesso in Laurenziana, per studiare il detto catalogo della biblioteca della Badia e guardarmi uno dopo l’altro i manoscritti da questa passati alla Laurenziana. Essendosi confermato ciò che mi aveva detto Rostagno, decisi di scrivere, come tesi di diploma, uno studio sulla biblioteca della Badia e i codici di Antonio Corbinelli. Il professor [Domenico] Fava, direttore della Biblioteca nazionale, nostro professore di bibliografia, si offrì quindi di rilasciarmi una tessera, che mi dava diritto d’entrata alle sale di studio nel nuovo edificio della Biblioteca. C’era lì, appunto, oltre alla grande sala di lettura generale, in cui stavano poche opere di consultazione, una serie di sale più piccole, che erano fornite di eccellenti apparati di consultazione, ma riservate solo a studiosi con la tessera. Ero felice di poter usare di nuovo una biblioteca di ricerca di prim’ordine. Le condizioni di lavoro nella Biblioteca nazionale fiorentina erano addirittura ancora migliori che nella Biblioteca di Stato e universitaria di Berlino. Se uno aveva bisogno di un libro che non si trovava nell’apparato di consultazione, lo ordinava per scritto all’impiegato di sorveglianza e questi lo faceva prendere subito da un inserviente nel magazzino e portare al suo posto.16
Quando informai il professor [Carlo] Battisti di che cosa mi stavo occupando, egli mi assicurò che la bibliografia sui dialetti italiani, che dovevo fare, bastava del tutto come tesi di diploma. Con l’occasione gli domandai se dopo superato l’esame avrei potuto impiegarmi presso una biblioteca statale. [...] Avevo anche paura allora di essere costretto, per trovare lavoro in una biblioteca statale o ecclesiastica, a prendere la tessera del partito fascista o a farmi cattolico. Tuttavia mantenni il mio proposito di ottenere il diploma di bibliotecario paleografo. Sebbene, secondo Battisti, non avessi bisogno di presentare a tale scopo un lavoro scientifico, continuavo a recarmi, peraltro non così spesso come prima, in Laurenziana per vedere i codici provenienti dalla Badia.
Un giorno del marzo 1936, proprio quando stavo per andar via, la direttrice mi fece pregare di passare da lei. Mi disse che il bibliotecario della biblioteca Landau-Finaly, certo dottor Dreyer, tedesco, voleva andare di lì a poco in pensione; si cercava perciò chi lo sostituisse. Mi chiese se non volevo presentarmi per quel posto.»

16 I lettori della sala di lettura generale dovevano ordinare alla distribuzione i libri desiderati e quindi aspettare che i volumi venissero presi da un inserviente.

(Rudolf Blum, La Firenze bibliotecaria e bibliofila degli anni 1934-1943 nei ricordi di un tedesco non ariano, p. 230-231)

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