Ungherelli (1979)

Fonte:
I compagni di Firenze: memorie di lotta antifascista, 1922-1943, a cura di Giovanni Gozzini, introduzione di Renzo Martinelli, Firenze, Istituto Gramsci, Sezione toscana-CLUSF, Cooperativa editrice universitaria, 1979.

«È facile domandare: come potevamo avere questi libri? Questo prezioso materiale era stato il risultato di un lungo lavoro svolto dai compagni del carcere attraverso traffici con qualche guardia politicamente avvicinabile che li aveva portati da fuori o sottratti dal magazzino dove erano stati messi come libri sequestrati; oppure ce li procuravamo attraverso l'acquisto di libri borghesi che avessero in appendice documenti marxisti o libri in lingue straniere, poi tradotti dai compagni più preparati.
Grazie al traffico intelligente e discreto organizzato con l'esterno, anche nel nostro carcere eravamo entrati in possesso di un rilevante numero di libri, che via via aumentavano. Siccome era ormai impossibile nasconderli, sia per il ridotto spazio dei nascondigli che i compagni avevano organizzato in ogni camerone, sia perché si trattava di leggerli e di studiarli con una certa tranquillità, sotto la stessa sorveglianza delle guardie carcerarie, l'unico mezzo era quello di legalizzarli, imprimendo nel loro frontespizio il visto della censura. Le iniziative per riuscire a ciò furono varie. A volte i compagni specializzati in questa attività, con un uovo sodo sbucciato dal guscio e ancora caldo, appoggiando questo sulla timbratura di un libro passato dalla censura da poco tempo, riuscivano ad assorbire il timbro e a riprodurlo pressando l'uovo sul libro entrato in carcere illegalmente. Altre volte c'era qualche compagno che ci riusciva con una cartina per sigarette portata ad un preciso grado di umidità. Quando i libri avevano sul frontespizio quel benedetto timbro che li rendeva legali a tutti gli effetti, li usavamo con più tranquillità.
Questi metodi spesso non erano sufficienti. Perciò il metodo più pratico, almeno nel periodo di cui io fui testimone, si dimostrò quello di rilegare i libri, nel senso cioè di mettere le copertine e le prime pagine dei libri legali su quelli illegali, intercalando anche le pagine che internamente erano timbrate. Così copertine e pagine di libri ammessi servivano per rilegare e mascherare i nostri libri. Ciò che rimaneva del libro permesso veniva distrutto. [...] Quando le guardie carcerarie venivano a fare le perquisizioni, dato che in ogni camerone vi erano centinaia di libri, non si mettevano certo a leggerli tutti, ma controllavano i timbri e li scuotevano per vedere che non ci fosse nascosto nulla; poi se ne andavano senza accorgersi che in quei libri vi era un materiale per noi più che prezioso, perché ci serviva a prepararci con accanimento alle future lotte.»

(Sirio Ungherelli, in: I compagni di Firenze: memorie di lotta antifascista, p. 269-355: 338-339. Dopo la condanna da parte del Tribunale speciale, emessa il 17 novembre 1942, Ungherelli era stato mandato a scontare la pena nel carcere di Castelfranco Emilia, da cui fu liberato il 22 agosto 1943).

Relazioni