Selden-Goth (1927)

Fonte:
Gisela Selden-Goth, Deutsches Kunsthistorisches Institut in Florenz, «Prager Tagblatt», 6 November 1927.

«Da gibt es unter einem der braunen, vorspringenden Palastdächer in Florenz an der stillen Piazza s. Spirito ein paar hohe. lichte Säle voll schöner Bücher und Bilder; da kannst du hineingehen, niemand frägt dich nach Woher und Wohin, du brauchst keinen Bestellzettel auszufüllen, an keiner Ausgabestelle zu warten, kannst stundenlang an den regalbedeckten Wänden entlang wandern, dich an einen der breiten Arbeitstische setzen, lesend, schauend, blätternd, niemand stört dich. Du läßt dein Buch einfach liegen. Der alte Kustode reicht dir beim Fort ­gehen höflich Hut und Mantel, ohne auch nur einen prüfenden Blick auf die volle Aktenmappe zu werfen, die du vielleicht unter dem Arm trägst. Eine Bibliothek, die den Lesenden als willkommenen Gast, nicht als möglichen Bücher-dieb oder -schänder empfängt. Diese Einstellung ist mir ein bleibender, freundlicher Eindruck geblieben, seitdem ich - gewöhnt an deutsche Bibliotheksordnung, deren mannigfache Vorsichtsmaßregeln und Mißtrauensvota mein Leserempfinden oft verletzt haben — zum ersten Male die Räume des Kunsthistorisches Institutes betrat. Ich habe mich zwischen seinen vielen tausend Büchern stets heimlich gefühlt, wie zu Hause zwischen meinen eigenen, und die Freude des Lesens in solcher Umgebung hat mich oft an die ewige Diskussion alter Bücherfreunde denken lassen: Ob Bibliotheken offen oder verschlossen aufzustellen seien? Zugunsten der Ansicht, daß keine Behütung vor möglichem Schaden die Psychologische Freude des Benutzers am durch keinerlei Glasscheibe oder Schutzordnung behinderten, beseligenden Stöbern aufwiegt. [...]
Nun ist vor kurzem das Institut wieder in eigene Räume übersiedelt, es nimmt seine Arbeit in den gleichen Sälen des Palazzo Guadagni auf, die es schon vor dem Kriege inne hatte und die, großzügig und vornehm adaptiert, für jede künftige Entwicklung reichlich Raum bieten. [...]
Hier sitzen junge Gelehrte, zumeist Stipendiaten des Deutschen Reiches, glückliche Menschenkinder, die ein Stück Lebensferien in Florenz genießen, und grübeln über Probleme, wie die Rekonstruktion irgendeiner Pisanoschen Kanzel oder die ursprüngliche malerische Dekoration einer alten toscanischen Kirche. Die Kunstgeschichte ist unerschöpflich reich an solchen Problemen; man hört in diesen Sälen auf Schritt und Tritt, wie viel es noch überall zu tun gäbe, trotzdem die Bibliothek auf über 15.000 Bände angewachsen ist und auf dem Tisch der Neuerwerbungen täglich Sendungen eben erschienener kunstgeschichtlicher Werke aufgelegt werden. Es steckt ein gutes Stück Idealismus in dieser Arbeit, bei jenen, die sie leisten, wie auch bei jenen, die sie unterstützen. Die lange Liste der Mitglieder jenes Freunde-Vereines zeigt, in wie vielen Ländern, in wie verschiedenen Berufsklassen das Interesse für die Arbeit des kunsthistorischen Institutes rege ist. Oeffentliche Anstalten und Privatpersonen, in erster Linie selbstverständlich aus Deutschland und Italien, doch auch aus Oesterreich, der Schweiz und Amerika sind mit regelmäßigen Jahresbeiträgen vertreten, bis Glasgow und Moskau, Amsterdam und New Haven, U.S.A. werden von allen Seiten Bücher und Photographien gespendet, so daß die dem Institut im letzten Jahre als Geschenke zugeflossenen Bibliothekswerte siebzig Prozent der Anschaffungen betragen. Die erst in letzter Zeit systematisch ausgebaute Photographiensammlung verdient ob ihrer Leitung ein besonderes Wort. [...]
Seitdem das Institut seine Vortrüge und wissenschaftlichen Besprechungen für seine Freute wieder aufgenommen hat, ist es für die Florentiner deutsche Kolonie zu einer Artgeistigen Heims geworden. Sonderbare Berufsnotwendigkeiten und Lebensschicksale haben viele Deutsche herverschlagen, andere Eigenbrötler hält die Liebe zum Sonnenduft über dem Lungarno schmerzlich und unlösbar hier fest. Im Palazzo Guadagni finden sie sich manchmal auf einige Stunden zusammen, um Diskussionen über toscanische Frühplastik oder die Arazzi der Medici zu hören. Die gastfreundliche Bibliothek nimmt sie in ihren Bann.»
(Gisela Selden-GothDeutsches Kunsthistorisches Institut in Florenz, p. 9)

«Nella tranquilla piazza S. Spirito, sotto uno dei tetti marroni e sporgenti di Firenze, ci sono alcune sale alte e luminose, piene di bei libri e quadri; ci puoi entrare, nessuno ti chiederà da dove vieni o dove stai andando, non avrai bisogno di compilare un modulo d'ordine o di aspettare in qualche punto di distribuzione; puoi vagare per ore lungo le pareti ricoperte di scaffali, sederti a una delle grandi scrivanie e leggere, guardare e sfogliare senza che nessuno ti disturbi. Lascia lì il tuo libro. All’uscita il vecchio custode ti porgerà educatamente cappello e cappotto, senza nemmeno dare un'occhiata alla borsa piena che porti sotto il braccio. Una biblioteca che accoglie il lettore come un ospite, non come un potenziale ladro o dissacratore di libri. Questo atteggiamento mi è rimasto impresso in modo indelebile da quando sono entrata per la prima volta nelle stanze del Kunsthistorisches Institut, abituata, come sono, ai regolamenti delle biblioteche tedesche, le cui molteplici precauzioni e cautele hanno spesso offeso il mio senso della lettura. Mi sono sempre sentita tra le sue migliaia di libri, come a casa tra i miei e il piacere di leggere in tale ambiente spesso mi ha fatto schierare, nell'eterna discussione dei vecchi bibliofili se le biblioteche debbano essere aperte o chiuse, a favore dell'opinione che nessuna cautela possa battere la gioia dell'utente che vaga non ostacolato da alcun vetro o ordine di protezione. [...]
Da poco l'Istituto si è ritrasferito nelle sue stanze, riprendendo l’attività nelle stesse sale di Palazzo Guadagni che occupava prima della guerra e che, generosamente e nobilmente adattate, offrono ampi spazi per qualsiasi sviluppo futuro. [...]
Qui siedono giovani studiosi, per lo più borsisti del Reich tedesco, felici creature che si godono una fetta di vacanza a Firenze, meditando su problemi come la ricostruzione di qualche pulpito pisano o l'originale decorazione di una vecchia chiesa toscana. La storia dell'arte è inesauribilmente ricca di tali problemi; si sente ovunque in queste sale quanto ci sia ancora da fare, anche se la biblioteca è cresciuta fino a superare i 15.000 volumi e le opere di recente pubblicazione sulla storia dell'arte sono disposte quotidianamente sul tavolo delle nuove acquisizioni. C'è una buona dose di idealismo in questo lavoro, sia da parte di chi lo fa che di chi lo sostiene. La lunga lista di membri degli Amici dell'Istituto mostra quanti paesi e quante professioni diverse sono interessate al lavoro dell'Istituto di Storia dell'Arte. Istituzioni pubbliche e privati, dalla Germania e dall'Italia, naturalmente, ma anche dall'Austria, dalla Svizzera e dall'America, partecipano con regolari contributi annuali. Libri e fotografie vengono donate da tutte le parti del mondo, da Glasgow a Mosca, Amsterdam e New Haven, U.S.A., tanto che il patrimonio della biblioteca ricevuto in dono dall'Istituto nell'ultimo anno ammonta al settanta per cento delle acquisizioni complessive. La collezione fotografica, che solo recentemente è stata sistematicamente ampliata, merita una menzione speciale. [...]
Da quando l'Istituto ha ripreso le sue conferenze e le discussioni scientifiche è diventato una sorta di casa spirituale per la colonia tedesca a Firenze. Strane necessità professionali e destini di vita hanno portato qui molti tedeschi, molti altri sono dolorosamente e definitivamente trattenuti qui dal loro amore per il profumo del sole sopra il Lungarno. Si incontrano talvolta a Palazzo Guadagni per qualche ora, per ascoltare discussioni sulla prima scultura toscana o sugli Arazzi dei Medici. La biblioteca ospitale li affascina.»

Si ringrazia Giovanni Petrocelli per la segnalazione della testimonianza e per la traduzione del testo

Relazioni