Guccini (2010a)

Fonte:
Francesco Guccini, Non so che viso avesse: la storia della mia vita, Milano, Mondadori, 2010.

«Biblioteche e librerie, che argomento, per me, coinvolgente. [...].
Ma partiamo dalle biblioteche. Ho avuto a che fare con queste abbastanza presto, nella mia vita. Mi sembra ci fosse scritto Biblioteca della GIL (Gioventù italiana del littorio) in quei libri che un antico funzionario del PNF del paese, temendo l'imminente arrivo degli americani, diede frettolosamente a mia madre perché, in qualche modo, se ne sbarazzasse.
Erano belli da vedere, con copertine in cartoncino e il simbolo delle Edizioni Mondadori intrecciato in qualche modo sulla costa telata a un fascio dorato, pieni poi di pagine illustrate; mia madre non se ne sbarazzò. È stato quello quindi il mio primo incontro con una "biblioteca" anche se, devo ammetterlo, era un po' di parte, piena di comunisti "cattivi e sovversivi" e di italianissimi e fascistissimi eroi buoni (non è poi cambiato di molto, il nostro mondo, da allora). Non ricordo tutti i titoli, ma c'erano anche Il piccolo alpino e libri ugualmente edificanti, sulla guerra d'Africa che ci "dette l'Impero", i voli transoceanici di Italo Balbo, giovinetti che si immolavano per la Patria e cose così. Dico c'erano perché, nel tardo dopoguerra, fui costretto da momentanee disavventure economiche a "furarli" da casa e a venderli, uno a uno, a un bancarellista di Canal Chiaro, a Modena, che, forse comunista cattivo e sovversivo, ghignò nel vedere quei reperti del Ventennio.
La seconda biblioteca arrivò più tardi, e fu quella dei Postelegrafonici, sempre di Modena. Mio padre mi portava un libro alla settimana, cercando che fossero in qualche modo "educativi" (ma perché tutto doveva sempre educare?). Rammento le favole dei fratelli Grimm, in un'edizione credo originale, non edulcorata dai vari Disney e che, oggi saprei dire l'esatto perché, mi terrorizzarono; mio padre forse aveva ingenuamente pensato che le favole, in qualunque modo scritte o presentate, fossero roba giusta per ragazzi. Ma quelle foreste così nordiche, piene di tranelli e lupi e orchi e streghe pronti a ghermire bambini, funzionavano in me peggio di quei libri gialli che, diceva la pubblicità dell'epoca, "non vi faranno dormire". Fortunatamente, ogni tanto, arrivava un Salgari, e i mari esotici, i misteriosi Tughs (si scrive così?) e le Tigri della Malesia mi riconciliarono con la lettura. Che continuò fino all'età quasi adulta, frugando sempre nella Biblioteca Postelegrafonica ma cambiando genere; furono gli autori americani, naturalmente per noi allora i preferiti, Hemingway, Dos Passos, Caldwell e Steinbeck, a farmi scoprire, soprattutto gli ultimi due, un'America di emarginati che non si conciliava con il sogno americano intravisto nelle patinate riviste tipo "Life" o "The Saturday Evening Post" lasciate dalle truppe alleate; soprattutto quest'ultima rivista, con le copertine disegnate da Norman Rockwell colme di tipi caratteristici, simpatici, così diversi da chi ti circondava, e pullulanti di buoni, ironici (ma non più di quel tanto ironici), sentimenti; che cosa avevano a che fare con gli hobos steinbeckiani di Tortilla Flat?
C'era anche la biblioteca scolastica, con libri un poco ributtanti, in cui scoprii però un autore western, certo Pearl Zane Gray, che immaginavo, chissà perché (forse il nome), donna. Nonostante questa evidente lacuna mi piacque, forse perché si conciliavano con i primi sentori e fremiti adolescenziali quegli amori di rudi cow-boy che, solo qualche anno prima, avrei allontanato da me inorridito.
Anche il prete (ma da noi si diceva il sor priore), d'estate, su al paese, aveva una bibliotechina, ma era roba da disperati della lettura, da gente forzatamente in crisi d'astinenza, quando avevi ormai letto e riletto tutto attorno a te, anche i romanzi d'appendice della prozia, perché quelle pie storie un poco sadiche e iellatrici di santi o di missionari spesso alle prese con lebbrosi o martirizzati da feroci indigeni, non potevano certo sostituire un sano Sandokan. Ricordo, in particolare, un libro agghiacciante (non ricordo il titolo), la storia di due pii giovinetti, fratellino e sorellina, rapiti dai massoni (ma chi erano costoro, mi chiedevo allora?) e sottoposti a torture inenarrabili (ma come erano puntigliosamente narrate!) per costringerli ad abiurare la Vera Fede e a diventare, pensate un po', Liberi Pensatori. C'era anche una particola sottratta con subdoli sotterfugi all'uso dovuto e usata per riti blasfemi. Pugnalata? Non ricordo, ma mi piacerebbe pensare che sanguinasse. Ovviamente, come nei romanzi d'appendice, tutto in fondo si ricomponeva e c'era il lieto fine, con i cattivi puniti e i buoni a godere la meritata ricompensa (ma quale? I fratellini si monacavano entrambi?).»

(Francesco Guccini, Non so che viso avesse, p. 98-100. La testimonianza prosegue con esperienze successive).

«Non c'è più purtroppo quel Pinocchio sul quale hai imparato a leggere, prima della scuola, sogno perso legato alla primissima infanzia, ma c'è, di un Collodi che è suo nipote, Sussi e Biribissi, "Storia di un viaggio verso il centro della terra" (che è un altro libro che hai letto, Biblioteca dei Postelegrafonici, nella Città della Motta [Modena]), e su c'è scritto:
"Per essere ricordata da te
caro Franco. zia Rina,
t'offre"».
(Francesco Guccini, Croniche epafaniche, Milano, Feltrinelli, 1989, p. 51).

«È noia, la noia quotidiana del poco spazio, l’aradio è di là, e se non c’è qualche famiglia che litìga o un libbro della Biblioteca dei Postelegrafonici da lèggere ti muori dentro, come il giorno. Ogni tanto c’è la luce di quei libri, Tarzan de le scimmie, uno che è un Lord inglese che poi i suoi muoiono e lui lo alleva una scimmia e diventa uno vasco da matti, Kammamuri [ma Caramuru] l’uomo di fuoco, che fa naufragio, come Robinson, e parla di frutta strana che neanche quella del frutaròlo, con pere che sembrano pere ma molto più buone, vuoi mettere, e il pao de fero che è un albero con un legno d’una durezza bestiale, che ci fai tutto anche delle scuri, La guerra del fuoco, con gli uomini preistorici e i mamut, le favole dei Fratelli Grimm, ma sono un po’ diverse da quelle che ti raccontavano, che fanno anche un po’ paura, e Sandocan col quale voli e trasvoli, scordi buio e compiti, che ti dici, ma se la vita fosse solo lèggere e senza compiti e altre balle non sarebbe più tògo?»
(Francesco Guccini, Vacca d'un cane, Milano, Feltrinelli, 1993, p. 35).

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