Allodoli (1913)

Fonte:
Ettore Allodoli, La Casa di Keats biblioteca pubblica, «La Voce», 5, n. 21 (22 maggio 1913), p. 1083-1084.

«Fra quel jumbled heap of murky buildings che da Piazza di Spagna vanno al Corso, nel centro della città affaristica e procacciante, non lungi dai bordelli più noti, la casetta segnata col n. 26 sulla Piazza stessa rappresenta dinanzi alla volgarità che passa un suggestivo e simpatico rifugio dell’ideale. [...] Ci è cara, perché ivi più si sente diffuso lo spirito suo [di John Keats]; lì ci sono i libri che parlano di lui, i libri che egli lesse ed amò. [...] L’iniziativa di fondare questo ricordo è dovuta esclusivamente, com’è naturale, agl’inglesi. Quando gl’inglesi intendono veramente un poeta, lo circondano di una profonda ammirazione, ma non per curiosità vana, non per eccentricità, non per pubblicare su di lui un libro in ottavo, non per farsene un titolo da presentare a un concorso, ma perchè quel poeta è ormai un amico buono al quale bisogna fare gentilezze e complimenti. I pochi e bravi signori che per centoseimila lire comprarono quattro o cinque anni fa la casetta ove Keats morì, non si è trasformata in un club, in una società di letture, in un cenacolo; ma ha lavorato con serietà a costituire una bella biblioteca di libri e documenti non solo su Keats ma anche su Shelley, e col tempo raccoglieranno tutto ciò che è possibile raccogliere su altri poeti inglesi italofili.
La casa di Keats è nella stessa forma quale era nel 1821, quando il Poeta venne d’Inghilterra a morirvi. Sono quattro stanzette piene di libri, di ricordi, di quadri; un’architrave divide la sala più grande in due e da essa si va in un’altra più piccola che con un terrazzino è messa a livello della scalinata della Trinità dei Monti. Tutto in ordine, tutto in pace, tutto in silenzio; rari i visitatori; quasi tutti inglesi e americani; se sfogliate il registro, tra filze di nomi in kins, son, in ay trovate solo tre o quattro tondeggianti casati italiani.
Non io vorrei o potrei dar consigli alle ottime e colte persone che dirigono l’istituzione, a Sir [James] Reunel [ma Rennel] Rodd, ambasciatore d’Inghilterra, e a Nelson Gay; ma credo che, data la crescente difficoltà di studiare nelle grandi biblioteche, è ormai tempo d’intensificare la fondazione di piccole biblioteche speciali, dedicate a un pubblico speciale. Con Keats è connesso lo studio del tempo suo, dei suoi amici, dei suoi divulgatori. [...] Con Keats si collega lo studio di Hunt, di Haydon, di Reynolds, di Hazlitt, di Wordsworth; di tutto un periodo denso, vivace, movimentato. Siccome la direzione della K. S. Memorial House intende raccogliere tutto quanto si riferisce anche a Shelley, il cui raggio d’influenza è più esteso, e, nel futuro, vuole aggiungere anche lo studio di Byron, tra breve tempo la biblioteca e i documenti saranno si numerosi che diverranno oggetto di viva ricerca da parte degli studiosi. Sarebbe bene che i proprietari aprissero perciò una sala di lettura al primo piano o al superiore, rinunziando allo scarso reddito degli affitti (il museo keatsiano-shellyano è al secondo). Per certe ricerche, è assolutamente necessario rivolgersi qui; per esempio, son raccolte tutte le edizioni delle opere di Keats: l’Ode sopra un’urna greca, scritta nel febbraio o marzo 1819, fu pubblicata nel 1820 negli Annals of the Fine Arts. Ora, di questa rivista, ricca di notizie, di testi rari e importanti per la storia della letteratura inglese, si trova quasi tutta la collezione nella biblioteca keatsiana. I documenti inediti, lettere di Severn, di Trelawny, del capitano Roberts ecc. vengono, è vero, pubblicati nel Bullettino della fondazione, compilato da Rennel Rodd e Nelson Gay; ma non basta ciò a rendere pubblica l’utilità della raccolta; lo studioso ha bisogno, non dell’inedito di per sè, ma di consultare, di vedere libri che altrove non trova; e vederli e consultarli con più sveltezza e comodità. Ormai nelle grandi biblioteche non vanno che gli oziosi e i principianti: ci vogliono, per la cultura, diffusa e specializzata, dei luoghi tranquilli, frequentati da una determinata classe di persone, un ambiente più utile per il lavoro, più incitante per lo spirito. La casa di Keats a Roma può diventare uno di questi luoghi; chi la dirige ha i mezzi, il potere, l’intelligenza adatta a far bene; lo faccia. Quando qualche diecina di studiosi liberamente e fervidamente staranno a lavorare entro queste stanzette, sarà allora più onorato lo spirito del nostro Poeta, il quale ebbe per la cultura un ardore frenetico, e una febbre di letture, di conoscenze varie e diffuse. E voleva appunto morire dopo che la sua penna «avesse spigolato tutta la profonda mente per accumulare in grosse cataste l’un sull’altro i volumi, come il bel maturo grano nei ricchi granai».»

(Ettore Allodoli, La Casa di Keats biblioteca pubblica, p. 1083-1084).

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